10 Gennaio 1920 - Anno II - Numero 1
COMOEDIA
Fascicolo periodico di commedie e di vita teatrale - Direttore amministrativo Eugenio Gandolfi - Casa Editrice Italia (Milano)
- In questo numero:
- LA DONNA DI NESSUNO il testo completo della commedia in tre atti di Cesare Lodovici rappresentata la prima volta al Teatro Dei Filodrammatici di Milano il 22 dicembre 1919 dalla Compagnia Borelli e Beltramo - Cesare Lodovici (Cenno biografico) - Alda Borelli (Medaglione) - Rassegna teatrale (di Gino Rocca )
CESARE LODOVICI Apuano di Carrara. Avvocato… Esordì con “l'Idiota” tre atti rappresentati dalla Compagnia Talli al Teatro Diana di Milano, la sera del 17 settembre 1915. Fu o parve una battaglia: in platea volarono pugni e invettive. Egli era assente: sul S. Michele, dove, proprio quella sera volava altro che pugni e fischiava altro che chiavi. Torna alla prova con questa “Donna di nessuno” scritta durante l'angosciosa cattività di Theresienstadt, nell'atmosfera triste e raccolta della famosa Fortezza cara agli italiani per il martirio di Pellico e di Maroncelli nostri e del serbo Princip, l'incendiario, che vi mori consunto. Tra quel primo e questo lavoro è trascorsa; una vita: la guerra - l'agonia - la prigionia - il ritorno alla libertà. Tutto questo ha potuto mutare forse lo stile e un poco forse la sostanza, divenuta qui meno romantica: non gli intendimenti dell'autore. Il quale, specialmente in questa “Donna di nessuno” si propone di mostrare e svolgere un fatto tragico senza rumore e senza gesti da tragedia, convinto, a torto o a ragione, che nella vicenda quotidiana della nostra vita sia, per chi voglia vederla, una diffusa e apparentemente tranquilla tragicità che non si accentra mai in nuclei salienti quelli presentati a teatro come scena-madre ma quasi ama celarsi con pudore sotto il velo delle parole più semplici e più comuni. Cosi Anna, la Donna di nessuno, finché non vede la realtà, per virtù di un uomo riesce a comprendere la vita quale essa è, si accorge di non avere più nulla per quest'uomo, e, poiché lo ama, compie un sacrificio ancora, “senza rumore” gravissimo. Vuol essere il dramma di quelli che smarriscono la strada. Ma quel che vuoi essere non ha importanza. Che si veda quello che è, attraverso quello che pare, questo è sostanziale.
ALDA BORELLI E' la Alda. Così, senz'altro, la chiama il suo pubblico, con quell'affettuosa intimità che accorda soltanto alle attrici più care. Per una serie di casi - non tutti hanno la vita che meritano - essa è giunta da poco alla libera e autonoma espansione della sua attività artistica. Le platee l'hanno vista come appariva poco prima della guerra, meravigliosamente semplice, vera, efficace: se stessa. Si è capito di istinto che questa attrice prosegue la nostra bella tradizione nazionale, che questa attrice nasceva dalla stessa sostanza donde erano uscite le nostre Ristori, le nostre Marini, e la Duse, irraggiungibili. Si è capito che anche per questa nuova, come per quelle non dimenticate, scopo, mezzo, forza, amore erano la verità dell'espressione, la composta naturalezza del gesto. Nessuna stilizzazione comoda e: statica, ma un perenne vigile sforzo perchè ogni personaggio sia reso colla sua verità caratteristica, perchè la multiformità della vita sia trasfusa nella finzione scenica. Finzione? No. Sulla scena si vive la vita reale. Perciò accade a lei il contrario di quello che si riscontra negli artisti - anche grandi - che hanno una maniera: questi portano la scena nella vita, e se devono dirvi “buon giorno, caro”, ve lo diranno come se a pochi passi da voi fosse il pubblico. Cosi vi accade spesso di sorridere, parlando con un divo o con una diva. Figlia d'arte, alla sua missione ella era predestinata. Nasce da una famiglia di patrioti - Emiliana di Reggio. - La nonna conobbe i rigori della reazione, e fu confinata per quaranta giorni. Il babbo fu Garibaldino. Ingegnere di merito, abbandonò per le scene, la sua sicura professione. La Alda bambina fu messa in collegio. Ricorda ancora con un affettuoso sorriso il suo professore, disperato di lei. In collegio ella - dice - cominciò a recitare, a una premiazione scolastica, quando, ritirando il suo premio l'aula era piena di buon senso e di buone madri - ella senì il dovere di piangere senza voglia e senza necessità. Di fuori splendeva il sole, il bel sole di Dio. Allora capì che si poteva far qualche cosa nel mondo dell'arte. E fece molto, però senza piangere a freddo mai più. L'arte è amore, e molto di quell'idealismo che fece della sua ava una martire per l'idea nazionale, è sostanza della sua vita e dell'arte sua. Aveva poco più di dodici anni, quando entrò in arte. Esile, slanciata, sviluppata oltre la sua età fece parte della compagnia Marchi. Con Pia Marchi stette due anni. Poi, sei mesi con la quasi-stabile Napoletana di Squillace. Fu prima donna con De Farro: poi con Alfredo De Sanctis che la sposò. Aveva allora 16 anni. . Con De Sanctis rimase fino al 1914. In quell'anno avvennero due casi decisivi per la sua vita. Le morì il padre e lasciò la compagnia De Sanctis. Si disponeva a procedere sola, verso l'autonomia che ora ha raggiunto. Ma vi è stata la guerra. E nei tre anni 1915-16-17 dovette far riposo. Un riposo non troppo dolce, tra le ansie e il frastuono del presente e le preoccupazioni per l'avvenire. I suoi amici la dissero sdegnosa: i suoi nemici la dissero pigra e svogliata. Svogliata, no. Chi la conosce sa bene che infaticabile lavoratrice e coscienziosa ella sia. La verità è, che, in quelle condizioni, non era possibile ricomporre la compagnia drammatica. E i fondi? Non ci sono capitali? Si fa del cinematografo. Qualche film, e la compagnia risorge. Ora è sola. All'Eliseo a Roma, avviene il riconoscimento ufficiale del suo valore. E si inizia quella sua seconda vita, tutta sua, che la porterà alla sua meta, ben alta e non lontana. Perchè questa attrice dalla voce d'oro, dal volto pallido - un bel viso tutto nostro, italiano, dolce e vigoroso, tranquillo e misterioso, uno di quei volti di donna nostra che Stendhal amava - dalla figura agile e come avvivata da un impeto contenuto, dall'accento sincero e semplice, dal talento vivido, è una intelligenza d'avanguardia. Perciò la amano i giovani, che sono sicuri di trovare in lei una preziosa collaboratrice, preziosa nell'intendere, coraggiosa nell'affermare, in mezzo a tutte le difficoltà del conservatorismo teatrale, così esteso e così radicato, la suprema necessità.