10 Maggio 1920 - Anno II - Numero 9
COMOEDIA
Fascicolo periodico di commedie e di vita teatrale - Direttore amministrativo Eugenio Gandolfi - Casa Editrice Italia (Milano)
- In questo numero:
- LE LIANE il testo completo del dramma in tre atti di Gino Rocca rappresentato per la prima volta al Teatro Argentina di Roma il 7 maggio 1920 dalla Compagnia Talli / Melato / Betrone - Gino Rocca (Cenno biografico) - Augusto Marcacci (Medaglione) - Rassegna teatrale (di Gino Rocca )
GINO ROCCA è nato a Mantova nel 1891; ma è veneto. La sua prima commedia è veneziana e fu scritta per Ferruccio Benini, che la rappresentò al Kursaal Diana di Milano nel 1912. Benini aspettava il capolavoro, e Gino Rocca, ospite del grande artista a Conegliano, cominciò a scrivere "le Piegore" che dovevano essere rappresentate a Roma e che la guerra e la immatura fine dell'interprete troncavano a metà. La sua infanzia e la sua prima giovinezza trascorsero a Venezia ed a Treviso, dove si licenziò dagli studi liceali per tuffarsi nella vita goliardica torinese, seguendo i corsi di giurisprudenza in quella università. Erano i tempi di Sandro Camasio e di “Addio giovinezza!” Qualche cosa di quella vita e di quei tempi è rimasto nel carattere e nell'arte di Gino Rocca: c'è in lui quell'atteggiamento spavaldo e sentimentale, giovanile sempre e irruente, che rese tanto popolare e simpatico il protagonista dell' Uragano. Lasciò il diritto; e fu giornalista, critico drammatico al Popolo d'Italia. Partì per la guerra, e cadde due volte ferito, con i granatieri, ad Oslavia e sul Carso, raggiungendo il grado di capitano. Capitano, fu al Comando della IV Armata, dove, diede l'opera sua alla compilazione di un giornale di guerra “La Trincea” Ora ha ripreso il suo posto di critico; ha conosciuto le gioie del più vivo successo con il suo romanzo “L'uragano”, ha finito di scrivere “I canestri azzurri” in tre atti per Dina Galli; prepara un romanzo nuovo “Capelli corti” e - come scrisse Sabatino Lopez nella prefazione di quelle otto trame che videro la luce prima del romanzo – “lavora, si diverte e sorride sempre”. Egli si preoccupa, sopra tutto; di guadagnare il tempo perduto nella lunga parentesi sanguinante della guerra; poi che, dal lieto successo ottenuto con Ferruccio Benini interprete del “Sol sui veri”, “le liane” soltanto lo riconducono più maturo al fuoco della ribalta dopo sei anni di silenzio.
AUGUSTO MARCACCI. Intervistiamo Augusto Marcacci. Egli ci narra le prime vicende della sua vita d'attore con molta modestia: perché, se, fra i giovani, egli è uno degli arrivati, è anche uno dei pochi che sappia che cosa significhi il rispetto della propria arte e la giusta modestia, che è oggi tanto rara ed è soltanto una profonda coscienza della difficoltà da superare, in tutte le carriere, a qualunque tappa si sia giunti. Difficoltà egli ne ha dovuto superare moltissime: fino dalla sua entrata in arte. Non essendo figlio d'arte, ma figlio d'una buona famiglia fiorentina, di medici e di scienziati, si voleva fare di lui un console o un ufficiale di marina. Aspirazioni nobilissime, che il ragazzo ribelle incominciò a deludere durante; il liceo e l'università, prendendo parte a quante più recite studentesche poteva, fin dalla prima, nella quale debuttò in veste di prima donna in una rivista goliardica. Ed un giorno provava, fra studenti, la parte di “Neri” nella Cena delle beffe, alla Pergola di Firenze, quando la sala del teatro, che durante le prove viene tenuta sempre nell'oscurità, fu improvvisamente illuminata, ed egli vide comparire, nel fondo, niente di meno che l'illustre autore: Sem Benelli. Fu per lui un'emozione indescrivibile. E quando l'autore ebbe assunta la direzione delle ultime prove, e si mise a correggere tutti gli altri filodrammatici, salvo il Marcacci, questi, avutosene a male, chiese al poeta perchè risparmiasse a lui solo le osservazioni. “Ma perchè ... lo sciupererei!” esclamò il Benelli: e gli offri immediatamente di scritturarlo nella sua compagnia. Di fronte a tale offerta non c'era più da esitare. Fu tuttavia, con molta trepidazione che il giovane studente sottopose la decisione all'autorizzazione paterna. “Purché tu ti faccia onore” gli fu risposto Ed il Marcacci, che pur capiva che si sarebbe fatto onore, senti fin d'allora tutta la responsabilità del suo passo. Una settimana dopo, egli aveva raggiunto la compagnia “Benelliana” della quale facevano parte Teresina Franchini e il Tempesti. E con tale compagnia restò un anno interpretando “Avito” nell'Amore dei Tre re, “Landino” nella Maschera di Bruto, ed altre parti di minor rilevo. Poi, per due anni. dal 1913 al ‘15, interruppe la sua carriera per continuare gli studi, e per laurearsi in legge all'Università di Genova nel 1915. Ma eccolo, nel 1915, riprendere a recitare, nella compagnia di Ugo Farulli, che raggiunge per una ragione sopratutto sentimentale: per ritrovarvi la fidanzata, Nella Baratta, allora “prima attrice giovane” di quella compagnia. Viene la guerra; il Farulli scioglie la compagnia; e il Marcacci .... si sposa. Ma d'ora innanzi le scritture non gli mancano più. Nel Novembre del '15 egli entra a far parte della compagnia Ferrero – Palmarini – Celli - Pieri, dove ha i primi affettuosi insegnamenti dal direttore Ferrero, e, dove per tre mesi, può finalmente svolgere un bel repertorio di “primo attore giovane”: nei Tre amanti di Zozzi ottiene, a Napoli, un notevole successo. Nella Quaresima del '16 lo ritroviamo colla Carini – Gentili – Dondini - Baghetti: in tale compagnia egli ha la prima affermazione nel suo ruolo, a Milano, nel Viluppo di Lopez e nel Segreto di Bernstein sotto la direzione di Luigi Carini, che lo colma di buoni insegnamenti. Anche a Roma la critica lo nota e lo loda: oramai egli non è più un principiante: è una “promessa” sicura. Ma la grande aspirazione di tutta la sua carriera viene soddisfatta nella Quaresima del 1918, quando Virgilio Talli lo scrittura per “parti primarie” nella bellissima compagnia della quale fanno parte la Melato, il Betrone, il Berti, il Niccoli ecc. Ed il Marcacci segue con amore e con devozione la guida e i consigli del grande maestro; moltiplica la sua energia, studia e ristudia, si perfeziona di più, si plasma e si rinsalda di fronte ai più aspri cimenti. Nel 1918, la parte del figlio, “Giulio Querceta” nella Porta chiusa di Marco Praga, gli procura i primi applausi calorosi, il pieno consenso e la viva simpatia d'un severissimo pubblico: quello del “Manzoni” di Milano. Nuovi successi “personali” ottenne nell'Imboscata, nella Marcia Nuziale, e, di nuovo, nei Tre amanti. Durante un periodo di mancanza del “brillante” dalla compagnia Talli, il direttore gli affida parti comiche: nella Maschera sul volto, nel Passerotto, nel Goldoni, parti ch'egli sostiene con rara e sobria efficacia. Ogni interpretazione affidatagli nei lavori nuovi viene subito notata dalla critica con parole di lode. "Minotte" ne L'uccello del Paradiso”, “Leonardo” in Quella che t'assomiglia, le due ultime commedie del Cavacchioli, lo pongono in prima linea nella considerazione del pubblico, accanto agli astri maggiori della compagnia. Nella Nemica di Nicodemi, sostituendo recentemente il Betrone, ottiene una bellissima affermazione. Il pubblico, ormai, lo conosce e lo predilige. In una compagnia della quale fanno parte due grandi beniamini, come la Melato e il Betrone, è già molto che un altro attore, più giovane, sia notato con simpatia e noi abbiamo sentito il nome del Marcacci fra le poltrone e in platea, lodarlo con parole entusiaste .... E il pubblico non sbaglia mai. Oggi, mentre si vanno perdendo la belle tradizioni d'una volta e la distinzione dei “modi” egli ci sembra il più puro rappresentante del ruolo di “primo attor giovane”. Qualcosa in lui ci fa rievocare la memoria di Enrico Reinach, il più grande “amoroso” dell'arte. Una grande e istintiva signorilità, una dizione dagli stessi maestri giudicata perfetta, un calore di passione e una forza persuasiva nella drammaticità, lo studio assiduo e l'assiduo controllo di sé stesso, queste doti che hanno fatto di lui quegli che occupa il più ambito posto fra i “primi attori giovani” ci danno la sicurezza che egli sarà, domani, uno fra i pochi eletti ad affrontare felicemente il “ruolo” di “primo attore” che dovrà dargli la grande notorietà. Perché, di fronte a molte “montature” odierne, egli è una tra le poche forze schiette e oneste sulle quali l'arte drammatica possa veramente contare.