CRT Centro di ricerca per il teatro e Comune di Milano MILANO D'ESTATE presentano:
Himalaya la dimora dei ghiacci (1984)
danze e musiche cerinoniali
- Programma: FESTA DI NOZZE ((Ladakh) - I LAMA DI RUMTEK (Sikkim) - DANZE DI KINNAUR (Humachal) - RAG (Afghanistan) - SUFIANA KALAM (Kashmir)
- Danzatrici del Ladakh - Danzatrici di Kinnaur
Programma di sala (pagine 36)
- Sciamanismo e teatro (Theodore Kirby)
- Rappresentazioni sacre (Lama Anaganka Govinda)
- La musica sacra tibetana (Lobsang P. Lhalungpa)
- Musica e liturgia (Lama Anaganka Govinda))
- Le singole danze
- Fotografie di Renzo Freschi, Franco Laera e Sangeet Narak Akademi
Sciamanesimo e teatro
La relazione fondamentale tra lo sciamanesimo e le arti della recitazione d'una cultura primitiva è quasi sempre stabilita dal suo rapporto con il sogno e con l'episodio psicotico onirico che sono la scaturigine della creatività. Il contatto con fantasmi o spiriti, incontrati nelle radure o nelle foreste, che “forniscono” nuove maschere, canzoni o danze, è la fonte della creatività in Nuova Guinea come nel Nord America.
Gli stati di evasione da se stessi accompagnati da allucinazioni sono spesso trasposti in termini di miti delle origini in vista delle recite o delle mascherate. Tali eventi supernaturali stavano alla base del tipo di “ricerca della evasione” prevalente nel Nord America, in cui al ricercatore erano date canzoni e rituali che, in effetti, lo definivano per il resto della vita. Esperienze particolarmente forti di questo tipo caratterizzano l'iniziazione sciamanica, dando la preminenza alla creatività conferita dallo spirito, sicché spesso soltanto le esperienze dello sciamano in trance o in sogno si ritengono abbastanza forti da svelare l'immagine delle maschere o i ritmi per le cerimonie tribali. I riti invernali degli Irochesi sono svolti dalla False Face Society (La Confraternita delle Facce False) con recitazioni nelle quali i partecipanti recitano i sogni particolarmente forti che hanno avuto.
Spesso per esprimere la particolare veracità che il rapporto con gli spiriti conferisce alle maschere si dice che la maschera è lo spirito. Questo è intenzionalmente eccessivo, ma non è del tutto esatto quanto alla rappresentazione. La maschera riceve la presenza e assume le funzioni dello spirito. La maschera sta essenzialmente in rapporto con la trance, in quanto è un catalizzatore dello spirito che rappresenta. Molte convenzioni stilistiche fondamentali nella rappresentazione della faccia nelle maschere africane derivano dall'aspetto della faccia in trance (Thompson 126ff). Quando uno sciamano Tlingit della costa Nord Orientale indossa la maschera, “si crede che egli sia posseduto dallo spirito rappresentato e gli sfoghi dello sciamano sono al momento considerati come le parole dello spirito” (Stewart, 327). Lo stesso dicasi per gli interpreti kachina della America Sud Occidentale e per i Lenape ad Oriente (Stewart, 321-22). Le maschere dei Mandinka della regione africana del Gambia hanno “la capacità di vedere nel passato, nel presente e nel futuro il potere di percepire il male, di identificare stregoni e streghe, di discernere la presenza di spiriti” (Weil 282). Queste sono appunto le capacità del medium in trance. Nella cultura mandinka questi poteri “corrispondono alla possessione di uno spirito” e “chi porta la maschera è animato dalla propria volontà” (Weil 283).
Il concetto fondamentale della maschera si associa all'uso della colorazione del corpo o dei costumi elaborati che trasformano chi li porta in un'immagine scolpita animata. Come osservato, tali sembianze sono essenzialmente astratte. Una funzione di questa astrazione è di creare una separazione dalla normale realtà visiva, una disgiunzione simile a quella data dallo stato di trance. Come la possessione nelle marionette, la relazione della trance con le statue suggerisce una relazione della trance con la recita mediante “immagini scolpite animate”. In Cina, la statua della divinità che possiede il medium è portata dietro di lui nelle processioni, seduta in una portantina come una persona. Nel Tibet, una enorme figura della dea Lhamo su una massiccia struttura è portata da uomini posseduti dal suo spirito.
Gli attori principali in tali occasioni sono gli “stregoni” che non portano maschere ma hanno lo stesso tipo di cappello e costume, ornati con emblemi simili a quelli portati dalla immagine della divinità. Questi stregoni sono fondamentalmente degli sciamani; essi non solo rappresentano il dio e s'identificano con esso, ma ne sono posseduti e sono lo strumento con cui egli parla (Lommel, M, 97).
L'immagine scolpita mascherata s'identifica direttamente con ciò che è indubbiamente la fase più attiva nell'evoluzione del teatro sciamanico. La personificazione in costume degli spiriti e in particolare dei demoni, è associata sia con i rituali sciamanici sia con i drammi che da essi si sviluppano. Come una categoria generalizzata, tali riti e recite possono essere definiti “drammi di demoni”. Il rito invernale kwakiutl è essenzialmente un lungo dramma di demoni. In Asia, possiamo osservare esorcismi rituali che sembrano archetipi dell'evoluzione in dramma delle rappresentazioni di demoni. Un importante tipo è rappresentato dal cham caratteristico della zona mongolo-tibetana, dove il Buddhismo Lamaismo è pervaso dalle pratiche di uno sciamanesimo Bòn antecedente. Il rapporto di Waddel sul cham tibetano attinge molto alla descrizione di E. F. Knight del 1893 e presenta una vivida immagine di questo spettacolo esorcistico.
Ad un segnale dei piatti le grosse trombe (lunghe otto o dieci metri) e altri strumenti, pifferi, tamburi, ecc., e acuti fischi (con le dita in bocca) producono un fracasso assordante per richiamare i demoni dannosi e nemici. “La musica divenne veloce e furiosa e schiera dopo schiera differenti maschere si precipitarono impetuosamente, alcune battendo dei tamburelli di legno, altre aumentando il frastuono con sonagli e campanelli. Tutte queste maschere erano orribili e la malignità di esseri infernali traspariva su alcune di esse. Danzando al suono di questa musica selvaggia con strani passi e gesticolazioni, essi ululavano in un coro selvaggio ... Le figure variamente mascherate di spiriti del male si accalcarono, schiera dopo schiera diavoli con la testa di bue o di serpente: mostri con tre occhi, con zanne all'infuori, le teste cinte di tiare di teschi umani; lama dipinti e mascherati per rappresentare scheletri; demoni con la faccia da drago, nudi salvo che per un pezzo di pelle di tigre attorno ai fianchi, e molti altri ... Ma non appena questi [sacerdoti] esorcizzavano una di queste orrende bande, un'altra torma entrava urlando. Era una lotta disperata” (Waddel: 542-25).
L'impressione è di un continuo flusso d'azione, ma il cham è in effetti una sequenza di scene “separate” e non recita una narrativa completa drammatica o simbolica. Nel cham della Mongolia, per esempio, l'azione sembra alquanto più forrnalizzata e questa separazione appare chiara. Gli esecutori usano un solo corridoio dal quale diversi gruppi sono convocati a turno dalla strana e cacofonica musica di una orchestra di piatti, corni e flauti con femori umani. Fuori dall'entrata per le maschere uscirono nell'arena un paio di demoni Gugor. Uno portava una maschera bianca con una espressione adirata e l'altro portava una maschera liscia bianca. Erano accompagnati da due scheletri, un vecchio con otto giovani, mascherati, due musici che suonavano la musica d'entrata delle maschere, due monaci che portavano turiboli e un monaco che faceva strada alle maschere. I due danzatori gugur che personificavano i Guardiani della Sapienza cantavano mistici incantesimi (il Kalarupa). Attraverso i movimenti della loro danza essi invocarono i demoni e gli spiriti per risparmiare le loro terre dalla distruzione. I gugor lasciarono l'arena concludendo la loro danza (Forman e Rintschen,111-12)
Il cham del Nepal, che è essenzialmente identico a quello della Mongolia, è una sequenza di tredici scene di questo tipo, “comunque, la maggior parte delle rappresentazioni potrebbero essere collocate ovunque fra i tredici atti senza turbare il senso e lo scopo della rappresentazione. Il solo filo che unisce le danze individuali è una idea religiosa, la manifestazione del bene che sopraffà il male” Uestad, 107). Possiamo ritenere che questa struttura a sezioni separate di una serie di danze ritualistiche sia l'archetipo del dramma di demoni come caratteristica di una importante fase nell'evoluzione del teatro. Le origini del teatro come lo conosciamo noi si debbono ricercare nelle tecniche per le quali alle recitazioni e alle danze separate sono state date totale unità narrativa e drammatica ( ... ).
Theodore Kirby
(In Conoscenza religiosa, n. 3/4, luglio-dicembre 1982)