Teatro Massimo Bellini di Catania presenta:
Mas'Aniello (1960)
Tragedia in tre atti di Vittorio Viviani. Musica di Jacopo Napoli
- Interpreti principali: Antonio Annaloro (Mas'Aniello) Luciana Serafini (Bernardina Pisa) Piero Guelfi (Carlo Catania) Antonio Zerbini (Don Giulio) Lorenzo Gaetani (Vicere di Napoli)
- Maestro Concertatore: Oliviero De Fabritiis
- Regia: Vittorio Viviani
- Maestro del coro: Roberto Benaglio
- Coreografie: Alberto Testa
- Scene: Cesare M. Cristini
- Allestimento: Teatro San Carlo di Napoli
Link Wikipedia
- 1. Annaloro 2. Serafini 3. Guelfi 4. Zerbini 5. De Fabritiis 6. Benaglio
Programma di sala (pagine 44)
- Stagione lirica Quaresima 1960
- "Mas'Aniello" prima esecuzione in Sicilia
- Jacopo Napoli
- Vittorio Viviani
- Tragedia napoletana (Giuliano Consoli)
- Argomento
- Interpreti
- Fotografie
TRAGEDIA NAPOLETANA
“Giovane di 24 anni ... uomo spiritoso e faceto, di mezzana statura, d'occhio nero, più tosto magro che grasso, con una zazzerina e mostaccetto biondo, scalzo in camicia, e calzonetti di tela, un berrettino in testa da marinaro, bello però d'aspetto, animoso e vivace quanto dir si può, e gli effetti l'han dimostrato…” così il Giraffi ne “Le rivoluzioni di Napoli” scolpisce la figura di Tommaso Aniello, illustre pescivendolo del Mercato napoletano, rione nel quale era nato nel 1620. Egli aveva dunque 27 anni quando si mise a capo della rivolta contro il vicerè di Spagna Ponze de Leon, o meglio ancora contro i sistemi fiscali instaurati nel vicereame a favore dell' erario di Filippo IV, sostenuti da gran parte della nobiltà partenopea. La leggera differenza di date non avrebbe alcun rilievo se il libretto dell' opera Mas'Anielio musicata da Jacopo Napoli non fosse stato concepito in funzione rigorosamente storica, come attestano le numerose annotazioni, dovute al Cognetti, al Giraffi, allo Schipa e a diversi altri ottimi storiografi napoletani. Ma è una differenza che ci aiuta, in certo senso, a capire meglio la misura, il metro, adoperato per valutare l’uomo, l'eroe, il capopopolo. Infatti (l'errore non è solo del Giraffi) quasi tutti tendono a ringiovanire il focoso pescivendolo, tendono a nobilitarne la figura fisica, non potendo rivalutarne i trascorsi psicologici. D'altro canto, per un personaggio dalle vicissitudini così tempestose, dal carattere così contraddittorio, vissuto in una epoca in cui i primi fremiti di liberalismo serpeggiavano fra i ceti meno abbienti, dopo essere stati luminosamente assorbiti nelle classi più colte che già generavano letterati ed artisti, la lieve deformazione di prospettiva è inevitabile. Ecco perchè non ci sorprende affatto che Vittorio Viviani, autore della tragedia in tre atti Mas' Aniello e lo stesso musicista Jacopo Napoli, non siano riusciti a sfuggire a questa naturale suggestione, presentandoci un protagonista vittima più di se stesso che dei suoi errori, succube degli avvenimenti più grandi di lui, più che della sete di potere. I napoletani, si sa, hanno nel loro carattere uno sfondo di naturale fatalismo. Accettano il destino, la vita, gli avvenimenti, come qualcosa che solo in parte può essere modificata dalla volontà umana. E Mas' Aniello, Jacopo Napoli e Vittorio Viviani sono napoletani per nascita, per mentalità e per atavico retaggio. La “Tragedia” dunque di cui parla il librettista non è quella che coinvolse il pescivendolo in un moto popolare, non è neppure quella del popolo vittima e succube della propria ignoranza e delle angherie dei gabellieri; è quella che si dovrebbe scrivere con la “t” maiuscola, quella che i greci chiamavano “fato” e che i popoli orientali accettano come un'immanenza senza riparo. In questa grande tela, affrescata con colori vivaci ed incisi, con i chiaroscuri dei singoli caratteri dei personaggi che nel nostro caso impropriamente si chiamerebbero secondari, con il riflesso, a volte umanamente retorico, a volte sanguignamente primitivo, della reazione popolare, in questa grande tela, dicevamo - la figura di Mas’aniello (contrazione dei due nomi, Tommaso Aniello, del nostro pescivendolo) si inserisce naturalmente, senza particolari contorni, senza stagliarsi sul fondo in funzione simbolistica. Questa, a nostro avviso, la parte più valida della fatica creativa di Jacopo Napoli e di Vittorio Viviani. Questo avere voluto mostrarci l'uomo, così come essi lo vedono, e non come la leggenda, la polvere del tempo, lo ha patinato. Ambedue sanno che questa figura napoletana è cara al loro cuore, ma fanno di tutto perchè questo sentimento non faccia velo alla loro mente. Da questo sforzo, tenace e continuo, scaturisce un altalenare di luci ed ombre, quasi mosse da una mano che sia indotta a porgere, ritraendosi nel momento in cui il dirimpettaio sta per cogliere quanto essa contiene. Ed anche in questo librettista e musicista sono stati solidali. La loro è qualcosa di più della semplice collaborazione. E’ osmosi di sensazioni, è ricerca all' unisono di effetti, è volontà comune di ottenere uno stesso risultato con i medesimi mezzi, vocali o scenici non importa. In questo senso, è facile osservare che il Mas' Aniello è un' opera dalla struttura essenzialmente moderna, che non ricalca schemi melodrammatici tradizionali o precostituiti, che possiede in se il germe di una forma teatrale che si presta ad ulteriori ed interessanti sviluppi. Musicalmente la tematica di Jacopo Napoli si svolge in piena coerenza con lo spirito informatore del soggetto scenico, lasciando cioè agli avvenimenti il compito di suscitare nello spettatore le emozioni più vive. E’ una musica fatta più di sensazioni che di colore, più di intelligenza che di scaltrito mestiere, più di equilibrio che di emotività. Un musicista che rinuncia volutamente ad un finale d'opera ricco di “effetti”, per lasciare allo spettatore la padronanza delle proprie deduzioni; che rifiuta ogni accorgimento stru¬mentale per lasciare alla melodia il compito di descrivere, senza puntualizzare, merita di essere ascoltato con attenzione ed interesse. Né del resto al Napoli fanno difetto l'esperienza teatrale o la spontaneità, che non si tratta di un musicista sprovveduto o alle prime armi, dato che il suo Malato immaginario è diventato maggiorenne da qualche anno, e Miseria e nobiltà è del 1946, e da queste opere, al suo Tesoro, che è di appena tre anni fa, il tempo non è trascorso invano per la sua vena artistica. Basta pensare a questo proposito alle intelligenti revisioni scarlattiane ed a quelle delle Sinfonie del Cimarosa, oltre, naturalmente, al Curioso accidente ed a I pescatori, opere di vasto respiro, per rendersi conto che l'arco creativo di questo compositore si trova nella fase ascendente ed evolutiva. Mas' Aniello è stato rappresentato per la prima volta al Teatro alla Scala il 25 marzo 1953 e ripreso al San Carlo di Napoli nella stagione 1957/58.
GIULIANO CONSOLI
A lato: Napoli - Viviani