QUANDO A MEZZANOTTE, IL 99 PER CENTO DELLA CITTA' DORME, COMINCIA IL RITO DELLA "PASSERELLA".
(Dal "Corriere d'informazione", anno 1947)
Invidiamo i giovani pazienti delle nuove generazioni che attendono, per lunghe ore, muti, in fondo alle sale dei teatri di rivista, nel tenebrone dei posti in piedi, con una pazienza e una fede che chiameremmo tranviaria, il quarto d'ora della "passerella". Care gioie proibite alla nostra età, ai nostri occhiali, alla nostra aria involontariamente autorevole: Noi fummo quelli della "mosssa", quelli che per vari anni chiesero a gran voce la mossa, in certi locali proibita "per ordine prefettizio", era scritto su un cartello; guarda un poco di cosa si occupavano i prefetti di Giolitti! La chiedevamo a Maria Campi, a Yvonne de Fleuriel, a Pina Brillante, e ce ne andavamo a casa contenti se in cambio delle nostre grida di invocazione, quelle brave ragazze, vestite con lunghe sottane in pailleté, rispondevano con un colpo sbarazzino di anca che ci pareva il non plus ultra della malizia. Noi fummo quelli della mossa, inchiodati ai loro posti dai carabinieri di servizio. I giovani che dai loro posti in piedi invidiano le nostre poltrone sono i rappresentanti della generazione della passerella. Quando nell'aria c'è odor di finale e di sfilata sulla ribalta avanzata, quando le maschere avanzano carponi a portar dal guardaroba i pastrani dei plutocrati ormai scettici, o, per dirla alla francese, désabusés, allora, allo scoccare della mezzanotte, i gagliardi giovani amatori della passerella avanzano per i corridoi delle poltrone, in fitta, silenziosa, e anche fondamentalmente timida schiera, avanzano con i loro grossi pastrani di origine paterna ancora umidi di neve, coi loro piedi freddi, con il loro cuore caldo e con i loro occhi ardenti, bloccano i passaggi, si affollano alle spalle del direttore d'orchestra, vengono come una giovane mandria all'abbeverata di quella che dovrebbe essere la fontana della bellezza e della giovinezza. Le attrici, le subrettine, le chansonnieres e le giris avanzano a passi cadenzati sul ponte; la cipria, la felicità, il rossetto e anche qualche ombelico graziosamente intagliato passano a un metro dagli occhi dei più lesti a farsi avanti. Comincia la mezzora degli assetati, si aprono le porte del paradiso degli entusiasti della coscia tornita, del seno velato, dei capelli biondo cenere, del birignao americano, dell'occhio bistrato. Passano le "vedette", passano le fanterie di Venere, le giovani puledre e le poderose cavalle su cui cavalca, eterno iddio, Cupido. Otto, dieci, dodici volte - finchè le giovani squadre non siano assalite da urgenti preoccupazioni tranviarie - la sfilata si ripete mentre alle spalle dei più tenaci la sala si fa malinconicamente vuota. Trionfo con odor di nevischio e di segatura di legno, mentre le désabusées custodi dei gabinetti si avvolgono stanche nello scialletto.