Teatro dell'Opera di Roma presenta:
Werther (1970)
Dramma lirico in tre atti e quattro quadri di Eduard Blau, Paul Milliet e Georges Hartmann. Versione ritmica italiana di Taglioni - Tozzetti e Menasci. Musica di Jules Massenet
- Interpreti principali: Alfredo Kraus (Werther) Bianca Maria Casoni (Carlotta) Walter Alberti (Alberto) Fulvia Ciano (Sofia)
- Maestro Concertatore: Franco Mannino
- Regia: Filippo Crivelli
- Maestro del coro: Tullio Boni
- Scene e Costumi: Lorenzo Ghiglia
- Direttore allestimento: Giovanni Cruciani
Programma di sala (pagine 56)
- I dolori del giovane Werther (Giulio Confalonieri)
- Dopo la prima a Roma ...
- Argomento
- Interpreti
- Fotografie
DOPO LA PRIMA A ROMA del 1899
Di Massenet, il celebrato maestro francese, che ha saputo mantenere così alte le tradizioni liriche del suo paese, non conoscevamo che il Re di Lahore, un'opera giovanile sovrabbondante di fulgide bellezze, e la Manon, uno squisitissimo ricamo di note musicali che ha suscitato dovunque il più schietto entusiasmo. Fra queste due opere, che sono parte non indifferente del patrimonio artistico dell'illustre maestro, questo Werther, per la chiarezza e la limpidezza dei ritmi, la fortunata combinazione delle frasi melodiche, rappresenta un notevolissimo progresso del pensiero lirico dell'autore. Qui nessuna frase a sbalzi, nessun colorito falso, nessuno appello alla bizzarria, ma la coesione evidente della unità, la volontà manifesta di andar diritto pel proprio cammino; in una parola una musica senza banalità, facilmente comprensibile, elegantissima. Ciò che occorre principalmente notare in questo Werther è la sua semplicità, la sua sobrietà; è un'opera appassionata senza enfasi, eloquente senza declamazioni; e la genialità dell'ispirazione il sentimento della modernità, il rispetto alle tradizioni classiche mirabilmente congiunti, giustificano l'interesse che il delicatissimo spartito ha saputo dovunque suscitare. Notevole l'introduzione dell'opera, nella quale spicca la frase colla quale l'orchestra accompagna l'entrata e le prime parole di Werther. Si ode in questo canto un disegno d'orchestra, una specie di motivo dominante che ritorna durante il corso dei due primi atti e serve di tema al preludio del secondo. L'entrata di Werther delinea nettamente il personaggio e la sua invocazione alla natura, una frase larga, piena di movimento e di espressione, non lascia alcun dubbio sullo stato del suo animo e sui sentimenti che lo agitano. Il breve intermezzo che descrive il cadere della notte e il sorgere della luna rischiarante a poco a poco la scena, è di una fattura squisita, e il sogno di Werther e di Carlotta sotto le ombre della sera offre una varietà di toni che il musicista ha affermato e reso nel modo più felice. Tutto spira grazia, passione, seduzione, in questo duetto magistrale ricco di colorito con cui si chiude il primo atto che consideriamo il migliore dell'opera, e che condensa tutte le frasi caratteristiche confidate all'orchestra e congiunte ai vari personaggi sino alla fine. Nel secondo atto, caratteristica la scena fra i bevitori, interrotta dall'eco lontana dell'organo risonante nel presbiterio; splendido il monologo di Werther, una melodia vibrante, patetica, ispirata; deliziosa la romanza di Sofia col suo ritorno pieno di grazia e di brio e che rassomiglia a un grido della giovinezza e della primavera. Ma complessivamente l'atto offre poche situazioni drammatiche, e dal punto di vista musicale è abbastanza povero. Nell'atto terzo notevole il canto di Carlotta che rilegge le lettere di Werther, con accompagnamento movimentato e commovente di violini; assai bella e appassionata l'altra romanza di Carlotta: Il pianto che si vuol frenare, di grandissimo effetto; esuberante di vita, di colore, di passione il duetto tra Werther e Carlotta con cui si chiude la prima parte dell'atto. Il poema sinfonico della Notte di Natale e il duetto finale tra i protagonisti dell'opera, sono altrettante gemme di quest'atto che si chiude col canto di Natale intonato dai figlioli del Potestà. Nonostante tutti questi pregi, nell'opera di Massenet, per la tetraggine dell'argomento, c'è forse un fondo di monotonia, ma il maestro Mugnone ha in grandissima parte attenuato tale difetto mediante tagli sapienti, talché il sintomo di stanchezza che altrimenti si sarebbe avvertito, è stato fortunatamente evitato. Cesardi - LA TRIBUNA 31 dicembre 1899
Di Massenet, il celebrato maestro francese, che ha saputo mantenere così alte le tradizioni liriche del suo paese, non conoscevamo che il Re di Lahore, un'opera giovanile sovrabbondante di fulgide bellezze, e la Manon, uno squisitissimo ricamo di note musicali che ha suscitato dovunque il più schietto entusiasmo. Fra queste due opere, che sono parte non indifferente del patrimonio artistico dell'illustre maestro, questo Werther, per la chiarezza e la limpidezza dei ritmi, la fortunata combinazione delle frasi melodiche, rappresenta un notevolissimo progresso del pensiero lirico dell'autore. Qui nessuna frase a sbalzi, nessun colorito falso, nessuno appello alla bizzarria, ma la coesione evidente della unità, la volontà manifesta di andar diritto pel proprio cammino; in una parola una musica senza banalità, facilmente comprensibile, elegantissima. Ciò che occorre principalmente notare in questo Werther è la sua semplicità, la sua sobrietà; è un'opera appassionata senza enfasi, eloquente senza declamazioni; e la genialità dell'ispirazione il sentimento della modernità, il rispetto alle tradizioni classiche mirabilmente congiunti, giustificano l'interesse che il delicatissimo spartito ha saputo dovunque suscitare. Notevole l'introduzione dell'opera, nella quale spicca la frase colla quale l'orchestra accompagna l'entrata e le prime parole di Werther. Si ode in questo canto un disegno d'orchestra, una specie di motivo dominante che ritorna durante il corso dei due primi atti e serve di tema al preludio del secondo. L'entrata di Werther delinea nettamente il personaggio e la sua invocazione alla natura, una frase larga, piena di movimento e di espressione, non lascia alcun dubbio sullo stato del suo animo e sui sentimenti che lo agitano. Il breve intermezzo che descrive il cadere della notte e il sorgere della luna rischiarante a poco a poco la scena, è di una fattura squisita, e il sogno di Werther e di Carlotta sotto le ombre della sera offre una varietà di toni che il musicista ha affermato e reso nel modo più felice. Tutto spira grazia, passione, seduzione, in questo duetto magistrale ricco di colorito con cui si chiude il primo atto che consideriamo il migliore dell'opera, e che condensa tutte le frasi caratteristiche confidate all'orchestra e congiunte ai vari personaggi sino alla fine. Nel secondo atto, caratteristica la scena fra i bevitori, interrotta dall'eco lontana dell'organo risonante nel presbiterio; splendido il monologo di Werther, una melodia vibrante, patetica, ispirata; deliziosa la romanza di Sofia col suo ritorno pieno di grazia e di brio e che rassomiglia a un grido della giovinezza e della primavera. Ma complessivamente l'atto offre poche situazioni drammatiche, e dal punto di vista musicale è abbastanza povero. Nell'atto terzo notevole il canto di Carlotta che rilegge le lettere di Werther, con accompagnamento movimentato e commovente di violini; assai bella e appassionata l'altra romanza di Carlotta: Il pianto che si vuol frenare, di grandissimo effetto; esuberante di vita, di colore, di passione il duetto tra Werther e Carlotta con cui si chiude la prima parte dell'atto. Il poema sinfonico della Notte di Natale e il duetto finale tra i protagonisti dell'opera, sono altrettante gemme di quest'atto che si chiude col canto di Natale intonato dai figlioli del Potestà. Nonostante tutti questi pregi, nell'opera di Massenet, per la tetraggine dell'argomento, c'è forse un fondo di monotonia, ma il maestro Mugnone ha in grandissima parte attenuato tale difetto mediante tagli sapienti, talché il sintomo di stanchezza che altrimenti si sarebbe avvertito, è stato fortunatamente evitato. Cesardi - LA TRIBUNA 31 dicembre 1899