Da IL DRAMMA Num. 230 - Novembre 1955:
- Inaugurato con successo il Piccolo Teatro della città di Torino
Autore: Gian Renzo Morteo
Nelle fotografie gli interpreti de GLI INNAMORATI di Goldoni:
Wanda Benedetti, Toni Barpi, Nico Pepe, Pier Paolo Porta, Anna Maria Mion, Lucia Catullo, Vittorio di Giuro
INAUGURATO CON SUCCESSO IL PICCOLO DI TORINO
Il Piccolo Teatro di Torino ha esordito il 3 novembre 1955 con il proverbio di De Musset; "Non si può pensare a tutto" e la commedia in tre atti di Goldoni "Gli innamorati".
Finalmente la travaglìata nascita del Piccolo Teatro torinese può considerarsi un fatto compiuto. Stanno bene le deliberazioni di un consiglio comunale, le sovvenzioni, la buona volontà organizzativa, ecc., tuttavia un teatro non può venir ritenuto tale, cioè un teatro, sin quando non ha mostrato quanto è capace di fare, in altre parole sin quando non ha prodotto uno spettacolo. Ora, con il proverbio di De Musset Non si può pensare a tutto e con Gli innamorati goldonianì, il "Pìccolo" torinese ci ha dato il suo primo spettacolo: quindi è nato. Auguriamoci che domani Nico Pepe, che dell'avvenimento è stato uno dei maggiori artefici, possa ripetere con Orazio: Exegi monumentum aere perennius. Ci è possibile, nella nostra modesta veste di cronistì, fornire agli storici venturi la data in cui si compì il lieto evento? Siamo un poco imbarazzati. Il "Pìccolo" torinese si è aperto ufficialmente al pubblico il 3 novembre 1955. Ma il 31 ottobre, per una prima "anteprima", la sua sala era già gremita: la serata era riservata alle autorità e alla stampa. E il 1° novembre, per una seconda "anteprima", era gremita un'altra volta: la serata era offerta gratuitamente ai lavoratori cittadini. 31 ottobre, 1° e 3 novembre: questa è la cronaca. Ad ogni modo tre battesimi per un teatro che nasce dopo alcuni lustri di dìscussioni non sembrano troppi.
Se è possibile qualche incertezza sulla data, nessuna invece è lecita sul come la nascita è avvenuta. In chiave di "grazioso". Un raffinato proverbio e una delle più ricamate conmedie (del repertorio italiano). Più educatamente di così non si poteva venire al mondo. Inutile ricordare che Non si può pensare a tutto è uno squisito volo di farfalle, un gioco sottile e ironico di due personaggi incredibilmente svagati in un contrappunto di altri personaggi al contrario ora assennati ora addirittura pignoli. Tutto è tenuto insieme da uno stile perfetto, da una vigilanza che non pare, ma è sempre presente, da una lingua deliziosa. E uno di quei testi che richiedono agli ìnterpreti una leggerezza da danzatori e una dizione precisa, sfumata, vorremmo quasi dire civettuola, se dalla parola potessimo togliere ogni traccia di volgarità. Basta un fiato troppo spesso, un tempo sbagliato, un gesto slegato o (e questo è tipico di De Musset ed uno dei tratti, che lo differenzia, ad esempio, da Marvinaux) la più piccola spia di una ricerca di toni, tempi e gesti, perché tutta la costruzione vacilli. Arduo cimento per attori italianì un tale proverbio. E difatti ci è parso che la buona volonta deila signorina Angeleri, dell'Alberici e del Lombardi non sia stata sufficiente a superare la prova. C'era nella loro recitazione un certo residuo di pesantezza, un difetto d'ironia, qualche cosa di rugglnoso.Tutto marcato. E poi un'impacciata paura che veniva a privare la felicità del testo della sua soffusa razionale follia. Altra cosa Gli innamorati del Goldoni. Anche quì ricamo, giuoco, ritmo, ma dì grana più grossa e soprattutto con dentro un che di puntiglioso, di appassionato; ìnsomma, per usare una parola di moda, un testo più "sfogato". Gli attori cì sono parsi più a loro agio. Anche le sottolineature comiche e talora quasi farsesche di Pepe, nella parte del megalomane Fabrizio, grazie anche all'innegabile comunicatività di cui il dirertore del "Piccolo" torinese è fornito, non alteravano il disegno goldoniano. Ma qui vorremmo ricordare in modo particolare la gìovanissima Lucia Catullo che è stata la vera delìzia della serata: attrice garbata, misurata, bizzosa e tenera; una squisita Eugenia. E poi il Di Giuro che ha saputo tenere in equilibrio tra il serio e il comico, e non senza la dovuta dignità, Ia figura di un tipico ìnnamorato goldoniano. Gli altri, chi con maggiore chi con minore lode, possono essere cìtati: la Benedetti, la Mion, l'Auteri, l'Elrici, il Porta, il Barpi, il Bosso. Scene e regìa sbagliate: troppo chiare le prime, dovute a Maurizio Mammì, e di una grazia troppo facilmente stilizzata. Assenti le regle di Anna Maria Rimoaldi in conplesso, nonostante qualche incertezza, l'esordio del Piccolo Teatro di Torino è stato abbastanza buono e noi vogliamo fargli credito per l'avvenire.
Se è possibile qualche incertezza sulla data, nessuna invece è lecita sul come la nascita è avvenuta. In chiave di "grazioso". Un raffinato proverbio e una delle più ricamate conmedie (del repertorio italiano). Più educatamente di così non si poteva venire al mondo. Inutile ricordare che Non si può pensare a tutto è uno squisito volo di farfalle, un gioco sottile e ironico di due personaggi incredibilmente svagati in un contrappunto di altri personaggi al contrario ora assennati ora addirittura pignoli. Tutto è tenuto insieme da uno stile perfetto, da una vigilanza che non pare, ma è sempre presente, da una lingua deliziosa. E uno di quei testi che richiedono agli ìnterpreti una leggerezza da danzatori e una dizione precisa, sfumata, vorremmo quasi dire civettuola, se dalla parola potessimo togliere ogni traccia di volgarità. Basta un fiato troppo spesso, un tempo sbagliato, un gesto slegato o (e questo è tipico di De Musset ed uno dei tratti, che lo differenzia, ad esempio, da Marvinaux) la più piccola spia di una ricerca di toni, tempi e gesti, perché tutta la costruzione vacilli. Arduo cimento per attori italianì un tale proverbio. E difatti ci è parso che la buona volonta deila signorina Angeleri, dell'Alberici e del Lombardi non sia stata sufficiente a superare la prova. C'era nella loro recitazione un certo residuo di pesantezza, un difetto d'ironia, qualche cosa di rugglnoso.Tutto marcato. E poi un'impacciata paura che veniva a privare la felicità del testo della sua soffusa razionale follia. Altra cosa Gli innamorati del Goldoni. Anche quì ricamo, giuoco, ritmo, ma dì grana più grossa e soprattutto con dentro un che di puntiglioso, di appassionato; ìnsomma, per usare una parola di moda, un testo più "sfogato". Gli attori cì sono parsi più a loro agio. Anche le sottolineature comiche e talora quasi farsesche di Pepe, nella parte del megalomane Fabrizio, grazie anche all'innegabile comunicatività di cui il dirertore del "Piccolo" torinese è fornito, non alteravano il disegno goldoniano. Ma qui vorremmo ricordare in modo particolare la gìovanissima Lucia Catullo che è stata la vera delìzia della serata: attrice garbata, misurata, bizzosa e tenera; una squisita Eugenia. E poi il Di Giuro che ha saputo tenere in equilibrio tra il serio e il comico, e non senza la dovuta dignità, Ia figura di un tipico ìnnamorato goldoniano. Gli altri, chi con maggiore chi con minore lode, possono essere cìtati: la Benedetti, la Mion, l'Auteri, l'Elrici, il Porta, il Barpi, il Bosso. Scene e regìa sbagliate: troppo chiare le prime, dovute a Maurizio Mammì, e di una grazia troppo facilmente stilizzata. Assenti le regle di Anna Maria Rimoaldi in conplesso, nonostante qualche incertezza, l'esordio del Piccolo Teatro di Torino è stato abbastanza buono e noi vogliamo fargli credito per l'avvenire.
Gian Renzo Morteo