Da SIPARIO Num. 195 Luglio 1962:
- Paolo Poli autore e attore "off via Veneto"
Autore: Giannino Galloni
Paolo Poli: autore e attore "off via Veneto"
Veder crescere (e morire) un caffè-teatro (a Genova "La Borsa di Arlecchino") è stata un'esperienza fra le più singolari ed utiii. Utiie esperienza soprattutto per rendersi conto di quello che è il teatro italiano oggi, per capire quello di cui ha bisogno. Non si scopre niente a dire che oggi il grande spettacolo, ii grande testo contemporaneo o classico non fanno più teatro, o per dir meglio, non esauriscono il teatro. Si ritrova più vitalità semmai in un recital di Laura Betti o in uno spettacolo-monologo di Giancarlo Cobelli che in una sTanca ripresa, in una assonnata esumazione. Paolo Poli venne fuori tra il '59 e il '60 da quel caffè-teatro genovese di Aldo Trionfo. Era nata "La Borsa di Arlecchino" con intenzioni per la verità assai più ristrette, si andò poi sviluppando secondo una naturale dinamica interna, da Tardieu a Ionesco, da Ghelderode ad Adamov. Eppoi, con una sorta di sorpresa che colpi persino gli attori e il regista, i "numeri musicali", le canzoni dalle poesie di Penna (il maggior risultato in quella direzione), di Saba, di Montale, di Palazzeschi. Natura libera e intransigente con se stessa, Paolo Poli fini con l'uscire dalle regole troppo rigide e schematiche d'una collettività, sia pur piccola e affiatata, E fu proprio in quei numeri musicali della "Borsa di Arlecchino" che si proiettò dalla piccoia pedana, sotto i quattro riflettori, verso il pubblico (un pubblico educato, ma non sensibilissimo, quello genovese) fra il whisky e la coca-cola dei tavolini, l'irriverente estro del "poeta" Poli. Ricordiamo certe sere in cui persino il pubblico genovese si accendeva. Allora il numero musicale sembrava non poter finire per i bis e si andava avanti nella notte, fino alle una, alle una e mezzo. Poli a volte era costretto a improvvisare e quando gli andava bene "provava" per la prima volta un pezzo pensato in camerino. Cosi nacquero parecchi personaggi: la regina-madre di Amleto, la crocerossina, la favola di Cappuccetto rosso, la parodia delle opere di Menotti. Fin da allora era chiaro che la irriverenza verso certi luoghi comuni della cultura e del costume, l'aggressività tanto più acuta quanto meno violenta, non erano un modo d'evasione d'un intellettuale sazio verso il ridicolo delle cose tabù. In Poli contava (e conta) soprattutto una sana e quasi si direbbe popolare (e non popolaresca o popolareggiante) vigoria toscana, alleggerita dalla consuetudine con la poesia più realistica e insieme più astratta, la poesia provenzale, dolcestilnovistica e la poesia del '400 fiorentino da Lorenzo, al Pulci, al Poliziano. E qui, Dio ci guardi, non si vuole portare candele al mito tutto rotocalchico del "professorino-che-canta"; proprio all'opposto: Paolo Poli non è un fenomeno di cultura affinata dalla ironia, bensi un fatto di natura civilissima che porta la sua guerra appunto alla cattiva cultura, all'accademia come alla università, alla rettorica nell'arte e nel costume, al fnto patetico come al finto bello dei decadenti. Ma salva e tempera appena un poco di colori l'arte istintiva e popolare, il dramma sacro e le rappresentazioni, i canti e le danze anonime di tutti i tempi, quasi trovando in esse una liberazione e un bisogno di affetto vero, di sentimento non affatturato. Alcuni critici hanno rimproverato a Paolo Poli quasi un eccesso di eleganza, di formalismo, come se egli ricadesse per altra strada in un opposto estetismo. Di sicuro non gli si può chiedere un impegno satiriio sui fatti della cronaca odierna, sul cattivo gusto, che so, dei cantautori o sulla immoralità di certa condotta politica e sociale. Ma la sua lezione è ben lontana dall'essere asociale e va letta dentro e fra le righe. In conclusione è fra i rari esempi di un teatro "off-via Veneto", e i suoi acri reagenti si fanno già sentire.
GIANNINO GALLONI