IL FU... FLAVIO BUCCI
Il personaggio televisivo di "Ligabue" fece conoscere Flavio Bucci al grande pubblico dandogli notorietà e successo: molti lo ricordano proprio per quella stupenda interpretazione, altri lo riconoscono solo se gli si rammenta quel ruolo. Flavio, "Ligabue" é un ricordo piacevole e ormai lontano o un'ossessione che condiziona il presente? No, no! nessuna ossessione. E' un ricordo senz'altro piacevole di circa diciotto anni fa, che forse non mi ha più consentito di fare in teatro le cose che volevo fare e ha condizionato, nel bene e nel male, alcune scelte artistiche.
Cos' é rimasto di quell'esperienza televisiva? La piena soddisfazione di aver potuto fare quell'esperienza: se dovessi ritornare indietro nel tempo, la rifarei.
Quant'é cresciuto professionalmente Flavio Bucci da quel primo successo? A quell'epoca avevo trent'anni, ora ne ho quarantasei; credo di essere maturato sia come uomo che come artista. Però penso sempre che per crescere bisogna puntare in alto, al meglio, e per fare questo a volte bisogna spesso porsi in discussione.
Oggi ti confronti di nuovo con Pirandello e con un testo dei più emblematici: "Il fu Mattia Pascal", nella riduzione di Tullio Kezich. Come consideri Pirandello, e cosa t'affascina in lui? Pirandello l'ho scoperto tardi. lo, figlio del sessantotto vedevo in lui un autore borghese, messo in scena da autori borghesi. Improvvisamente ho deciso di leggerlo e ne sono rimasto proprio affascinato. Altro che borghese. Anticonformista, ironico, caustico, agli antipodi col naturalismo. Sempre graffiante, tanto da non poteri o leggere che in chiave grottesca da non fraintendere con comica.
L'incontro con Marco Mattolini sembra felice: é solo una sensazione? Marco sapevo che era bravo; mi aveva incuriosito il successo da lui ottenuto al Festival dei Due Mondi con "Sunshine" ma non immaginavo che tra noi si sarebbe stabilita un'intesa perfetta. E' stato così anche per lo spettacolo estivo "Shakespeare una notte incantata d'estate".
Quali sono i punti fondamentali di questo nuovo "Mattia Pascal"? L'interpretazione grottesca del testo; si ride, ma é un riso amaro, triste, una risata che fa riflettere e di conseguenza ti lascia l'amaro in bocca. La novità é un maggior spazio lasciato all'intreccio amoroso quello convenzionale con la moglie e l'entourage di Miragno e quello vero, sostanziale con Adriana il grande amore impossibile della sua vita che sottolinea ulteriormente l'incapacità di amare. In scena c'é poi per ogni personaggio un suo doppio, secondo una logica interna che riproduce la vecchia vita in quella nuova.
"Il fu Mattia Pascal" rappresenta la storia di una crisi generazionale, la ricerca di una identità, la voglia di cominciare tutto daccapo; quanto é attuale questo testo? Moltissimo. E' forte nelle persone, soprattutto della mia generazione, la voglia di "cambiare", di "ricostruirsi" qualcosa; ho saputo che esiste una agenzia a Milano che ti cambia i connotati: un nuovo nome a tutti quelli che si presentano e che poi vanno a vivere all'estero con una diversa identità, cercando di ricostruirsi una nuova vita. Del resto capita anche a me: a volte penso di potermi far passare per un fu Flavio Bucci.
Quali difficoltà hai incontrato nell'interpretare questo personaggio? Sicuramente la fatica fisica. lo sto in scena sempre per tutta la durata dello spettacolo ed é duro stare a certi ritmi; poi in scena c'é il "gioco" del proprio doppio ed é necessario essere nella giusta sintonia, avere gli stessi tempi, sincronizzare tutto. Ne approfitto per fare i complimenti a tutta la compagnia: dagli attori ai tecnici sono tutti molto bravi e, soprattutto, professionisti.
Se dovessi descrivere Mattia Pascal con un aggettivo, quale useresti? Sornione.
Cosa riconosci di te in Mattia? So quello che non m'appartiene di Mattia Pascal: la vigliaccheria e la sottile cattiveria; io sono tanto buono! Quello che al contrario ho in comune con Mattia é l'ironia e il bisogno di fuga dalla realtà.
Per te la necessità di scappare dalla realtà é dettata da quali motivi? E' difficile analizzare questo sentimento; tutti quelli che fanno il lavoro che faccio io penso che siano attratti dall'idea di uscire da se stessi e dalla realtà che li circonda; calarsi nei panni di personaggi diversi e vivere situazioni che vanno oltre il presente e estraniano dalla routine quotidiana.
Quale mezzo espressivo preferisci tra la TV, il teatro e il cinema? Io sono nato come attore di teatro e mi piace l'atmosfera che si respira sul palcoscenico quando hai il pubblico davanti a te che ti permette un confronto diretto, una valutazione immediata del tuo lavoro. Il cinema e la televisione mi affascinano anche se, dopo avermi gratificato molto, dimostrano di non volermi più utilizzare.
Tutti ti considerano un attore atipico e moderno: qual'é il motivo? Oh bella, perché lo sono! Perché ho i tratti di un attore moderno che non si pone mai in maniera convenzionale nei confronti del personaggio che deve portare in scena e, soprattutto, non lo interpreta come il pubblico s'aspetta.
Consideri gli attori una classe privilegiata? Penso che l'attore abbia solo il privilegio, rispetto ad altri, di fare il lavoro che ama.
Quale scelta hai fatto per il palcoscenico che non rifaresti? Scelte che non rifarei riguardano più la mia vita privata che non la professione.
Quale ruolo ricordi volentieri? Per fortuna ricordo tutti i personaggi che ho interpretato in modo molto piacevole. Ogni volta, ho trovato sempre il lato più positivo del ruolo. E, diciamolo, li ho amati tutti.
Qual'é il personaggio che non hai mai portato in palcoscenico e che vorresti interpretare? Ancora un personaggio di Pirandello, l'Enrico IV; credo che presto inizierò a pensare di portarlo in scena. Vorrei proprio sapere cosa ne pensa il pubblico che mi conosce: che dici, mi vedrebbe bene in quel ruolo?
Dopo il "Mattia Pascal" ancora teatro? Si, dedizione completa. Porterò in tournée il "Mattia Pascal" e poi riprenderò "Il Diario di un pazzo". In estate, di nuovo "Il fu Mattia Pascal" e chissà quale altra piacevole novità.