Arena di Verona presenta:
Faust (1959)
Dramma lirico in quattro atti di Jules Barbier e Michel Carré. Versi italiani di A. De Lauzières - Musica di Charles Gounod
- Interpreti principali: Gianni Poggi (Faust) Rosanna Carteri (Margherita) Cesare Siepi (Mefistofele) Mario Zanasi (Valentino) Fiorenza Cossotto (Siebel) - Primi ballerini: Olga Amati - Giuliana Barabaschi - Paolo Bortoluzzi - Riccardo Duse
- Maestro Concertatore: Oliviero De Fabritiis
- Regia: Carlo Maestrini
- Maestro del coro: Giulio Bertola
- Coreografie: Ria Teresa Legnani
- Scene e costumi: Pino Casarini
Programma di sala (pagine 84)
- L'amore e l'inferno (Carlo Bologna)
- Il libretto (Carlo Bellotti)
- Personaggi e interpreti
- La 37° stagione lirica: La forza del destino - Il trovatore - Faust
- Fotografie
L'amore e l'inferno
Cento anni fa - esattamente il 19 marzo del 1859 - al Teatro Lirico di Parigi si dava la prima rappresentazione del Faust di Carlo Gounod. L'opera - su libretto di Jules Barbier e di Michel Carré - ebbe un notevole successo, di anno in anno crescente (specialmente dopo gli ulteriori rimaneggiamenti dello stesso Gounod) e tale da diventare, con Carmen di Bizet e Louise di Charpentier, una delle opere nazionali francesi. Cento anni fa l'esecuzione ebbe la fortuna di avere a protagonista femminile un'artista assolutamente eccezionale, la Miolan-Carvahlo che, come scrisse Paolo Scudo dopo aver assistito alla recita, rivelò nel ruolo di Margherita qualità di attrice che fino a quel momento non si sarebbero sospettate in lei e cantò con vero rapimento tutte le delicate pagine che Gounod le aveva affidate. Quella sera, per quanto l'esecuzione sia stata nel complesso buona, la partecipazione degli altri cantanti non fu ecceziona!e. Scarso il tenore (Barbot), il basso (Balanqué) sostituì alle manchevolezze della voce una larga intelligenza musicale e di attore. Paolo Scudo scrisse, a conclusione: «qualunque sia il successo cui andrà incontro quest'opera, segnalabile a più di un titolo, essa contribuirà a estendere e a consolidare la fama di Gounod». Egli indicò in questi elementi la sua convinzione: eleganza e purezza di stile, sobrietà del colorito e gusto nella strumentazione, finezza nei particolari e scelta felice delle armonie. La penuria e la debolezza delle idee fondamentali, cioè delle melodie, potrebbero fare - scrisse il grande musicologo italo-francese - di Gounod un nuovo Cherubini, con in più particolari sfumature più moderne. La critica moderna, in cento anni, ha raffinato il suo giudizio, ma sostanzialmente le parole di Scudo restano ancora validissime e accettabili. Il mito goethiano di Faust aveva dato al mondo della musica un'altra opera: così Gounod scrisse il suo nome al fianco di Schumann, di Berlioz, di Wagner (anche se il suo tentativo rimase incompiuto), di Boito e di altri minori. Sugli altri ha il vantaggio (o lo svantaggio?) di aver colto l'aspetto romantico - e solo quello - senza aver preteso di ascendere alle vette goethiane come tentarono tutti gli altri, Boito compreso. Quindi, poema a parte, ciò che rimane è una vera opera, specialmente dopo che Gounod stesso le riportò, da opéra comique che era, a grand opéra come è tutt'ora, viva di tre figure: l'amante appassionato (Faust), un ingenuo amore (Margherita), una insidia subdola e maligna (Mefistofele). La dispersione delle parti minori nell'insieme del dramma non abbassa l'intera opera i cui pregi sono anche oggi assai apprezzabili: come negare quell'aria che noi chiamiamo francese, elegante signorile lieta sinuosa? come sottrarsi al fascino del duetto d'amore nel giardino? come dimenticare i toni morbidi (a volte forse troppo morbidi) di alcuni episodi? Abbiamo letto Wagner assai cattivo con Gounod, altri lo sono stati e lo sono, cercando di portarlo al livello di scrittori di canzoni. Ma il preludio alla scena della Notte di Walpurgis è una stupenda intuizione romantica; la romanza di Faust: «Salut, demeure eh aste et pure» è nello stesso tempo, dolce soave e vibrante invocazione d'amore; lo schubertiano canto del re di Thule è finissima lirica; momenti di forza drammatica hanno e la scena della chiesa nel III atto e la scena del carcere nel IV. Senza contare il valore di alcuni cori e le pagine (non tutte naturalmente) di danza: il nostro orecchio si scioglie al fluire insinuante del celebre valzer, che può sembrar vecchio ma che è vivo di una sottile vita, in cui le memorie e i ricordi si intrecciano in una atmosfera di tranquilla letizia, di abbandonato languore, di un rilasciato riposo. Si può giudicare quest'opera alla luce dell'immenso poema di Goethe? Non si può. Pure questo fu, ed è, l'errore di molti critici. Faust fu un punto di arrivo e, nello stesso tempo, di partenza. Al fascino di questa musica non si sottrasse nessuno dei musicisti francesi contemporanei o immediati posteriori. Questa musica mantiene una vitalità anche attuale, nel suoi precisi confini. Adesso siamo forse stanchi di cercare gli impeti eroici, le alte ispirazioni, le profonde capacità emotive (come scriveva un critico del primo novecento). Il nostro tempo si è dimenticato del cuore e lo ha calpestato. Può darsi che Faust sia più superficiale di quanto non appaia, tuttavia la sua musica ci rioffre un mondo - anche di costume - che non si può disprezzare, magari per il solo fatto che noi abbiamo cent'anni più di lui.
CARLO BOLOGNA