Arena di Verona presenta:
Nabucco (1956)
Dramma lirico in 4 parti di Temistocle Solera - Musica di Giuseppe Verdi
- Interpreti principali: Anita Cerquetti (Abigaille) Giangiacomo Guelfi (Nabucodonosor) Mirto Picchi (Ismaele) Ivo Vinco (Zaccaria) Lucia Danieli (Fenena)
- Maestro Concertatore: Francesco Molinari Pradelli
- Regia: Herbert Graf
- Maestro del coro: Giulio Bertola
- Scene: Cesare Mario Cristini
- Costumi: Maud Strudthoff
- Direttore allestimento: Cesare Mario Cristini
Programma di sala (pagine 74)
- La musica (Làszlò Spezzaferri)
- Gli spettacoli in cartellone nella stagione
- Le 33 stagioni liriche dal 1913 al 1955
- Il libretto
- Gli interpreti
- Fotografie
LA MUSICA
Se cronologicamente il Nabucco è la terza opera della produzione operistica di Giuseppe Verdi, dopo l'Oberto Conte di S. Bonifacio e Un giorno di Regno - apparse rispettivamente al Teatro alla Scala nel novembre del 1839 e nel settembre del '40 - è proprio da questa terza fatica teatrale del musicista bussetano che inizia quella ascesa creativa che, attraverso i suoi trenta melodrammi, ci porterà a Otello e Falstaff cioè alle più alte vette della produzione verdiana. L'Oberto infatti, primo lavoro teatrale del ventiseienne suo autore - giunto a questa sua iniziale esperienza con una preparazione generale e particolare piuttosto improvvisata - pur rivelando caratteristiche d'una certa personalità (ancora in ogni modo in stato embrionale) non può sottrarsi all'influenza della produzione operistica allora in piena affermazione sulle scene italiane, che si imperniava in Bellini, Rossini e Donizzetti. Un giorno di Regno o il finto Stanislao, nato in un periodo particolarmenne doloroso della vita di Verdi - contrassegnato dalla morte della sua prima moglie la dolce Margherita Barezzi, e dei suoi due fìglioletti - segnò un netto insuccesso per il Maestro. Nabucco così appare la sua prima, vera opera teatrale; l'opera cioè nella quale già si affermano e si definiscono in buona parte quelle caratteristiche di linguaggio e di concezione del teatro che informeranno poi tutta la produzione posteriore nelle sue tappe più importanti e nelle sue opere più riuscite.
Con questa opera si può dire che veramente ebbe princ1pio la mia carriera artistica afferma Verdi a proposito di Nabucco, ed è perciò con particolare attenzione e commozione che dobbiamo intendere e considerare questo lavoro. L'ambientazione, il soggetto, la coralità di Nabucco (rappresentato per la prima volta alla Scala il 9 marzo 1842) indicano d'un subito il suo autore, non solo, in modo sicuro ed inequivocabile, come il naturale continuatore della gloria di Rossini, Bellini e Donizzetti, ma lo fanno assurgere a lirico cantore di quel fremito patriottico che squassava l'Italia risorgimentale, nell'aspirazione dell'unità con il riscatto dal servaggio straniero. In Nabucco perciò sembrano già fondersi, in modo geniale e sicuro, elementi che troveranno poi, nello svilupparsi ed evolversi della musa verdiana, un maggior potenziamento ed una sicura estrinsecazione, quali quell'atmosfera del dramma che Verdi chiamerà «tinta musicale» e quell'accesa e infuocata foga delle situazioni e dei personaggi che diverrà poi in lui inconfondibile e che lo farà considerare un poco come un eroe nazionale; e non solo perchè in lui sembrano identificarsi liricizzarsi un po' i caratteri distintivi del nostro popolo, ma perchè, e non a caso, egli sceglierà spesso soggetti che, come La battaglia di Legnano, I Vespri siciliani, canteranno, con riferimenti più o meno palesi o velati, l'epopea di un popolo anelante alla libertà. Già Guglielmo Tell, già Assedio di Corinto, già il «Chi per la patria muor vissuto è assai» della Donna Caritea del Mercadante avevano accompagnato ed infiammato gli eroi dei primi moti di insurrezione quando giunse il Nabucco del Va pensiero su l'ali dorate ... di quel coro, cioè, che con possente ispirazione canta il dolore di un popolo lontano dalla patria ed anelante a ritornare ad essa. Vi è in questa pagina una biblica grandezza che fu subito avvertita e che parve come un'elegia corale (quella sera del lontano marzo 1842) che da Milano volesse diffondersi per tutta Italia come «il gemito d'un popolo che piange e che spera». Ecco perche Nabucco desta sempre in noi una particolare commozione, ha per noi un simbolico significato. Posto poi nella vita intima di Verdi, nella cronologia di quegli avvenimenti che nella stessa vita dell'uomo ci appaiono orientativi di tutta l'esistenza, Nabucco ci sembra, anche per queste verso, di particolare importanza. Come abbiamo visto esso viene dopo Un giorno di Regno, dopo un clamoroso insuccesso cioè: insuccesso che, con le note e dolorose vicissitudini che avevano infaustamente accompagnato la stesura di quest'opera, aveva lasciato in lui un senso di scoramento, di desolato abbandono, di sfiducia. E' questa l'opera perciò del riscatto personale e morale di Verdi, che per questo forse amerà defnirla il vero « principio» della sua carriera artistica mentre intimamente si collega ad un fatto, ad una rivelazione, ad un inizio effettivo, che poi avrò una fondamentale importanza e conseguenze in tutta la vita del Bussetano. Com'è noto, tra gli interpreti principali della prima scaligera di Nabucco: Fellinzaghi, Miraglia Ronconi, De Rivis, vi era nella parte di Abigaille quella Giuseppina Strepponi che diverrà poi la fedele, intelligente compagna della vita del Maestro. Artista di raro talento, già splendidamente affermata quando Verdi giungeva nel 1839 a Milano, incominciò a interessarsi dell'ignoto, giovane e selvatico maestrino di provincia, sin dall'Obelto, facilitandone l'accettazione presso il Merelli che allora era l'impresario del Teatro alla Scala. Il suo interessamento per Nabucco è ancora più vivo, vuoI riabilitare Verdi dopo la caduta di Un giorno di Regno. Si assumerà così con spontaneo slancio, l'inte:pretazione del personaggio della violenta e drarnrmatica Abigaille. Inizia così, certamente, quell'idillio, quella intesa d'amore, quella comprensione e solidarietà artistica che unirà poi indissolubilmente Giuseppina Strepponi a Giuseppe Verdi. Da notare come nel '43, al Teatro Ducale di Parma, la Strepponi ancora concorresse al trionfo di Nabucco, questa volta diretto dallo stesso Verdi. Leggiamo da una cronaca del tempo:
Ad una sua occhiata, ad un suo cenno, i cantanti, i cori e l'orchestra pare che siano tocchi da una scintilla elettrica, e allora sì che vanno bene. Qui non v'ha luogo a dubbi. Gli applausi accordati alla opera, al Maestro Verdi, ai cantanti, furono troppo clamorosi, troppo concordi perchè un povero diavolo si metta in capo da volerla fare da critico. Bellissima ovunque la musica, bravissimo ilmaestro Verdi, bravissmi la Strepponi, Colini e Miral
Questo ritorno di Nabucco in Arena, per la inaugurazione della sua XXXIV Stagione lirica, ci sembra perciò quanto mai opportuno, specie se esaminato e collegato alle particolari vicende brevemente illustrate. Opportuno anche perchè ci presenta e ci propone un Verdi certamente meno noto alle folle, ai più, e per questo perciò più interessante ed indicativo di un'ascesa prodigiosa, prima scintilla di una luce che ha poi man mano illuminato il firmamento lirico di tutta la seconda metà del XIX secolo. Non vi è ancora certamente in Nabucco quel colore ed unità di stile che Verdi raggiungerà solo nelle opere di una maggiore maturità artistica; ma a tanta distanza di tempo, si può dire che in Nabucco sono ancor oggi vivi e vitali quegli elementi che decretarono all'opera, al suo primo apparire, una trionfale accoglienza e che la fecero replicare (dall'agosto al novembre dello stesso 1842) per ben 57 sere, numero mai toccato alla Scala da altre opere, mentre il famoso coro doveva essere ripetuto ad ogni sera. Quella biblica parola, quella leggendaria terra dei patriarchi, che con insostituibile fascino avevano acceso la fervida fantasia di Verdi sin da giovinetto, il sognante paese di Giacobbe e di Davide, troveranno ancor oggi certamente tra le millenarie pietre della nostra Arena, nell'incanto delle notti sotto la luna, quella suggestione lirica, quella commozione intima, che sembrano condurre l'uomo dalla terra al cielo.
Làszlò Spezzaferri