43° Maggio Musicale Fiorentino - Teatro Comunale di Firenze presenta:
Otello (1980)
Dramma lirico in quattro atti di Arrigo Boito - Musica di Giuseppe Verdi
- Interpreti principali: Carlo Cossutta (Otello) Renata Scotto (Desdemona) Renato Bruson (Jago) Antonio Bevacqua (Cassio) Nicoletta Ciliento (Emilia) Roberto Mazzetti (Roderigo)
- Maestro Concertatore: Riccardo Muti
- Regia: Miklòs Jancsò
- Maestro del coro: Roberto Gabbiani
- Scene e Costumi: Enrico Job
- Direttore allestimento: Raoul Farolfi
Link Wikipedia
- Riccardo Muti - I modellini per le scene di Otello realizzati da Enrico Job
Programma di sala (pagine 92)
- Giusepe Verdi (Renzo Cresti)
- Otello tra presente e passato (Leonardo Pinzauti)
- La mia idea di scenografia per Otello (Enrico Job)
- Il tacquino del discofilo (Antonio Mazzoni)
La mia idea di scenografia per Otello
Una storia penosa, dice Strindberg della vicenda di Otello. Questa definizione è all'inizio di un breve saggio sulla tragedia di Shakespeare. Ed è penosa infatti questa vicenda, come lo sono certe storie di cronaca nera, dove noi riconosciamo, sia pure esasperati, sentimenti che tutti proviamo. La negritudine di Otello ci fa riflettere penosamente sulla nostra «negritudine» di quando amiamo, sulla coscienza, risvegliata tanto dolorosamente dall'amore, di quelle nostre imperfezioni che potrebbero sottrarci in ogni momento l'essere amato. L'essere amato (Desdemona) invece ha tutte le qualità che a noi mancano, le sue imperfezioni non sono tali in realtà, sono anzi la cosa che amiamo di più. L'essere amato è insomma l'Ideale che guida e sostiene le nostre azioni, la nostra stessa vita. Ma gli ideali, si sa, sono ben resistenti fin che son fatti di idee, quando invece essi son fatti di carne ed ossa sono facilmente attaccabili da chi avesse interesse a farlo (Jago). Fin che l'uomo sarà tale la storia di Otello potrà sempre ripetersi. È giusto quindi che essa venga celebrata come un rito. Verdi con la sua musica, più che Boito con il suo libretto e persino, a mio parere, più dello stesso Shakespeare, intuì questa ritualità. È intrinseca all'opera lirica una necessità di esemplificazione che ben si addice a questa storia. La forza del rito sta nella scelta dei colori primari e nel rifiuto delle sfumature che non siano all'interno di uno stesso colore. Desdemona è sublime come ogni ideale. Otello è puro ed eroico come l'amore. Jago è l'inferno stesso, con tutte le sue complicazioni intellettuali, che attenta al bene e lo distrugge. All'interno di questi tre temi di personaggio, i loro svolgimenti sono tra i più complessi, ricchi e straordinari che Verdi abbia proposto. Da queste considerazioni è nata la mia idea di scenografia per Otello. Al centro l'Ideale con un suo luogo deputato e riconoscibile (l'altare), ai lati una serie di quinte come se le colonne della navata centrale di una chiesa avessero fatto perno negli angoli dell'abside e si fossero disposte a destra e a sinistra dell'altare. Ottenuta questa semplice struttura di piani dilatati a ventaglio dallo spazio riservato all'altare, praticai a destra e a sinistra una serie di porte che convergessero su quello e ristabilissero una comunicazione con il centro, che il primo movimento di apertura della navata aveva annullato. A questo punto la scena era pronta ad accogliere un rito. Mancava però qualcosa di fondamentale: l'elemento romantico, il travestimento naturalistico, da franche de vie, dell'idea. L'interno di una chiesa, concettualmente, va visto dalla porta d'ingresso centrale. Da quel punto tutto concorre all'altare. Vedere l'interno di una chiesa da un altro punto di vista è certo possibile, ma infrange lo schema concettuale, che tuttavia continua a permanere nella nostra mente. Cambiare il punto di vista si potrebbe dire che è l'essenza dell'atteggiamento romantico rispetto al classicismo. Sollevai il modellino della scena ed eliminando la serie di quinte di sinistra io riposai dietro il boccascena leggermente obliquo rispetto al pubblico. I cambi di scena sono a loro volta un rituale del teatro lirico, insopprimibile data la lunghezza degli intervalli. Perciò scelsi quattro simboli, uno per ciascun atto, e li congelai in quattro sculture proporzionate al gigantismo dello spettacolo. Riferendomi poi ad un motivo decorativo dell'architettura delle Repubbliche Marinare, cui si riferirono molto anche le scenografie ottocentesche quando si trattasse di soggetti che si svolgessero appunto in quegli ambienti, accentuai la prospettiva delle quinte alternando a fasce di legno fasce di lamiera di ferro. l n questa scelta di materiali mi attenni a un mio personale concetto: che il legno è buono e il ferro è cattivo.
Firenze, 24 aprile 1980
ENRICO JOB