Teatro Comunale di Bologna presenta:
Otello (1964)
Dramma lirico in quattro atti di Arrigo Boito - Musica di Giuseppe Verdi
- Interpreti principali: Mario Del Monaco (Otello) Marcella Pobbe (Desdemona) Giulio Fioravanti (Jago) Herbert Handt (Cassio) Mario Ferrara (Roderigo)
- Maestro Concertatore: Oliviero De Fabritiis
- Regia: Carlo Maestrini
- 1. Del Monaco 2. Pobbe 3. Fioravanti 4. Handt 5. De Fabritiis
Programma di sala (pagine 64)
- Lettere di Verdi e Boito
- Otello (Ettore Desideri)
- Gli interpreti
- Argomento
- La stagione 1964/65
- I singoli spettacoli
- Prima rappresentazione 20 dicembre
OTELLO
Chi potrebbe dire qualcosa di nuovo sull'Otello verdiano, che da oltre settant'anni trionfa sulle scene del mondo intero? Tutti sanno che Verdi si decise a musicare la versione boitiana della tragedia dello Shakespeare soltanto dopo lunghe esitazioni e cedendo a sottili ed affettuose insistenze degli amici più intimi. Ma non molti, forse, sono a conoscenza di un episodio che minacciò non soltanto di turbare i rapporti tra Verdi e Boito, ma di far addirittura naufragare la realizzazione dell'opera d'arte appena iniziata. Quale fu l'episodio si rileva da due lettere che si riproducono soprattutto perché esse sono quanto mai illuminanti sulla grandezza d'anima dei due protagonisti della vicenda.
Verdi a Franco Faccio (Genova, 27-3-1884)
... Il Pungolo riporta dal Piccolo di Napoli queste frasi: “A proposito del Jago, Boito, disse che l'argomento l'aveva trattato quasi a contragenio; ma che, terminato, si era rammaricato non poterlo musicare lui...“ Queste parole, dette in un banchetto, si può ammettere non abbiano gran valore; ma disgraziatamente si prestano a commenti. Si potrebbe per esempio dire che io gli ho forzato la mano per trattare questo soggetto. Fin qui poco male; e voi sapete del resto come sono andate le cose. Il peggio si è che Boito, rammaricandosi di non poterla musicare lui stesso, fa naturalmente supporre com'egli non ispirasse vederla da me musicata com'egli vorrebbe. Ammetto perfettamente questo, lo ammetto completamente, ed è perciò che io mi rivolgo a voi, al più antico, al più valido amico di Boito, affinché quando ritornerà a Milano, gli diciate a voce, non in iscritta, che io senz'ombra di risentimento, senza rancore di sorta gli rendo intatto il suo manoscritto... S'egli la accetta, io ne sarò lieto nella speranza di avere con questo contribuito e giovato all'arte che noi tutti amiamo. Scusate del disturbo che vi reco; ma è cosa da trattarsi intimamente, non v'era persona a questo meglio adatta di voi ...
Arrigo Boito a Verdi (Milano, aprile 1884)
... Ecco l'origine dell'equivoco... Al pranzo che mi offersero alcuni colleghi dopo il Mefistofele a Napoli, un giornalista garbato, un uomo colto e cortese, il sig. Martino Caffiero, mi rivolse a bruciapelo questa osservazione: l'Otello sarebbe stato anche soggetto per lei. Risposi negando, aggiunsi che non avevo mai pensato all'Otello per conto mio... perché sentivo troppo appassionatamente il capolavoro di Shakespeare nella sua forma tragica, per poterla estrinsecare in una manifestazione lirica. (E questo è vero in parte). Aggiunsi che non avrei mai creduto possibile trasmutare la tragedia di Shakespeare in un buon libretto prima di aver fatto questo lavoro per Lei, Maestro, e con Lei (ed è vero) e che ora, soltanto dopo molti ritocchi, vedevo con soddisfazione il mio lavoro, al quale mi era accinto con grande trepidanza, uscire dotato di qualità eminentemente liriche e di forme perfettamente musicabili e atte in tutta e per tutta ai bisogni del melodramma. Dissi queste parole coll'accento della convinzione profonda e il sig. Caffiero che le intese rettamente non le pubblicò, poiché non è di quelli che pubblicano i dialoghi che si fanno a tavola. Un altro, al quale evidentemente non le avevo dirette e che le intese stoltissimamente, le pubblicò nel Roma a modo suo, forse senza maligna intenzione, ma capovolgendone il sentimento e attribuendomi un desiderio il cui movente mi offende e che è precisamente il rovescio del gran desiderio mio, che è quello di sentire musicato da Lei un libretto che io feci solo per la gioia di vederla riprendere la penna per causa mia, per la gloria di esserle compagno di lavoro, per l'ambizione di sentire il mio nome accoppiato al suo e il nostro a quello di Shakespeare, e perché, quel tema e il mio libretto le son devoluti per sacrosanto diritto di conquista. Lei solo può musicare l'Otello, tutto il teatro che Ella ci ha dato afferma questa verità... Ora mi risponda Lei se ha creduto vera la notizia del redattore del Roma riportata dal Piccolo e dal Pungolo. Spero di no. Pure la notizia esisteva, e poiché Lei l'aveva letta, Lei ha sentito lo stesso bisogno che sentivo io, quello di sciogliere un nodo confuso, un quesito delicato, e lo ha sciolto nel modo più squisitamente opportuno che fosse possibile. S'è rivolto confidenzialmente al più fidato dei miei amici perché egli parlandomi interrogasse l'animo mio e se questi avesse riconosciuto un germe anche lontano di verità nella notizia del giornalista, Lei era pronto a donarmi l’Otello perché lo musicassi io. Maestro, ciò che Lei non può sospettare è l’ironia che per me pareva contenuta in quell'offerta, senza sua colpa. Veda: già da sette ad otto anni forse lavoro al Nerone (metta il forse dove vuol Lei, attaccato alla parola anni o alla parola lavoro). Vivo sotto quell'incubo; nei giorni che non lavoro passo le ore a darmi del pigro, nei giorni che lavoro mi dò dell'asino, e così scorre la vita e continuo a campare, lentamente asfissiato da un ideale troppo alto per me. Per mia disgrazia ho studiato troppo la mia epoca, cioè l'epoca del mio argomento, e ne sono terribilmente innamorato e nessun altro soggetto al mondo, neanche l’Otello di Shakespeare, potrebbe distogliermi dal mio tema; esso risponde in tutto alla mia indole d'artista e al concetto che mi san fatto del teatro: terminerò il Nerone o non lo terminerò, ma è certo che non lo abbandonerò mai per un altro lavoro e se non avrò la forza di finirlo non mi lagnerò per questo e passerò la mia vita, né triste né lieta, con quel sogno nel pensiero. Giudichi ora Lei se con questa ostinazione potevo accettare l'offerta sua. Ma per carità Lei non abbandoni l’Otello, non lo abbandoni. Le è predestinato, lo faccia, aveva già cominciato a lavorarci ed io ero già tutto confortato e speravo già di vederlo, in un giorno non lontano, finito. Lei è più sano di me, più forte di me, abbiamo fatto la prova del braccio e il mio piegava sotto il suo, la sua vita è tranquilla e serena, ripigli la penna e mi scriva presto: Caro Boito, fatemi il piacere di mutare questi versi, ecc. ecc. ed io li muterò con gioia e saprò lavorare per Lei, io che non so lavorare per me, perché Lei vive nella vita vera e reale dell'Arte, io nel mondo delle allucinazioni...
Il lavoro interrotto fu subito ripreso e proseguì con perfetta fusione d'intenti. Boito “mutò” non soltanto molti versi, ma intere scene, così che si può dire di questa, come di quasi tutte le opere verdiane, che la versione definitiva del libretto è frutto della concezione drammatica del musicista, assai più che di quella del poeta. L'Otello, finito il primo novembre 1886, andò in scena alla Scala il 5 febbraio 1887, diretto da Franco Faccio; interpreti principali Francesco Tamagno, Vittorio Maurel, Romilda Pantaleoni. Sei anni dopo il prestigioso binomio Verdi-Boito, ancora ispirandosi allo Shakespeare, donava all'umanità l'ineguagliabile, definitivo capolavoro: Falstaff.
ETTORE DESIDERI