Da IL DRAMMA Num. 9 - Marzo 1946:
- Io, la prigioniera nella commedia di Edouard Bourdet
Autore: Evi Maltagliati
Io confesso, io che posso dichiarare pubblicamente di essere una donna equilibrata e normale (la mia vita dl sposa e di madre lo dimostra), che per sette anni ho desiderato di rappresentare La prigioniera. Per sette anni ho voluto bene ad "Irene", l'ho tenuta nel mio cuore di attrice, l'ho compatita, l'ho accarezzata perchè rimanesse con me, perchè non sfuggisse - col tempo e Ia proibizione di darle vita in ltalia - al mio desiderio di interprete. In poche parole ho amato la "parte" e con essa I'eroina, giacchè mai sulla scena - dove furono portati tutti i tipi di donne a specchio della vita - era apparsa una "Irene" donna apparentemente fuori del vivere sociale, ma tanto - purtroppo - nella vita stessa, nella nostra storia quotidiana del vivere comune. Basta guardarsi intorno; anzi senza nemmeno guardarsi intorno, giacchè per noi donne, più spesso che non si veda, ecco apparirci davanti, all'improvviso, una "lrene" che se non ha proprio tra mani il mazzolino di violette della eroina di Bourdet, porta con sè un qualsiasi alfto fiore, un profumo, un ninnolo, o - se desolatamente nuda nella sua semplicilà - i suoj soli occhi più intenzionalmente viola delle stesse violette. Basta chinare iI capo, naturalmente, e quella "Irene" passa oltre senza sfiorarci, cercando con l'ansia sua tormentata, un'altra "Irene" su cui posare quello sguardo di orrore e di pietà. La protagonista della commedia di Bourdet mi ha tentata sulla scena, perchè - lo ripeto - "lrene" mi ha fatto pietà per sì lungo tempo, sin da quando, giovinetta - nel 1925 e 1926 - ne sentivo parlare sottovoce e con sgomento, Appresi più tardi delle sue millecinquecento repliche a Parigi; imparai a conoscere attraverso la cronaca e la storia, quale tu il dopoguerra in Francia (ed altrove) dopo il primo conflitto europeo; intine - prendendo conoscenza del testo - mi convinsi che non si sarebbe potuto menar scandalo a rappresentarlo, dandogli una pretesa immoralità, giacchè questo avrebbe voluto dire sopravalutare Ia commedia arbitrariamente, e soprattutto imprigionarsi in un provincialismo che, limitando o combattendo la Iibertà dell'arte, è indice di inciviltà. , Ho conosciuto, con "Irene", un personaggio nuovo: non è poco, per un'attrice, poter incontrare tanta tortuna. Si so che sulla scena, ad ogni commedia nuova, Ia protagonista viene incontto all'interprete con un volto già in parte conosciuto; con parole già in parte ripetute; così - come nella vita - ad ogni presentazione, ognì donna che si conosce ricorda un'altra donna, ed ogni voce richiama nel ricordo un'altra voce uguale, "lrene", per un'attrice, era il personaggio non mai incontrato, il "nuovo conto", l'oro zecchino" dei personaggi, Nessuna attrice I'avrebbe respinto. Infine, "lrene" - pur bacata - vive in un ambiente pulito, tra percone pulite; maì una parola impudica od offensiva. Per un'attrice, credo, sia da preferirsi al verismo di "Maja" e delle sue sciagurate compagne che, sulla scena ormai non si contano più. Esattamente come nella vita. Venne la rappresentazione, ed un rumore di scandalo ha sempre poi accompagnata la commedia. Se vogliamo mettete a fuoco Ie piccole smanie di coloro che hanno creduto di essere stati "offesi da lrene" vedremo come sia stato fatto un sol fascio con altre commedie che pure hanno portato alla ribalta, in questo ultimo periodo, il problema sociale della perversione. Dirò a questo proposito di essere stata, come attrice, accorta in tutto, ma non tempista; per quanto il volerlo essete, investiva un fatto commerciale di interesse della nostra Compagnia, e perciò da scartare perchè disutile. Se La prigioniera fosse stata rappresentata senza l'eco di altri "difendiamo la morale, "lrene" sarebbe rimasta sola ed isolata, nella sua superba infelicità. "Irene" mi ha procurato, naturalmente, centinaia di lettere: ingenue e scaltre; scorrette e corrette; intelligenti e stupide; letterarie e sgrammaticate. Le ho lette tutte per poter mlsurare il "polso del pubblico": in massima si difende "Irene" come donna, per sentimentalismo; altri difendono la commedia quale "fustigatrice di costumi". No, posso dirlo ora che siamo alla fine delle recite di La prigioniera e che Ia commedia passa dalla ribalta alla biblioteca con la pubblicazione in "Il Dramma". Sono convinta come Edouard Bourdet non abbia inteso, con la sua opera, di proclamarsi erede di Emilio Augier ed Alessandro Dumas, figlio, creatori dei drammi che turono detti "sociales". La sua bella commedia imposta un problema che deve essere ricollegato alle particolari condizioni di certa società, ìn uno speciale momento dell'altro dopoguerra, e - forse senza averne l'intenzione - è rimasta per vent'anni la commedia (senza più problema) di tutte le "lrene", infelicissime creature. Non vedo quanta differenza sia tra "Margherita" ed "lrene", anche se le due eroine camminano su due strade così lontane ed opposre. E se per "Margherita" morta, suona a gloria del suo "cuore infranto" la celebre battuta "molto le sarà perdonato perchè molto ha amato", e la pietà invade gli spettatori di ormai dieci, venti (quante?) generazioni, non vedo perchè "lrene" non possa ispirare la slessa pietà, se è vero che la nostra società ama guardarsi allo specchio senza batter ciglio. E sia tenuto conto del romanticismo di allora e della spregiudicatezza di oggi. E' questione di "tempo": cioè ancora di civiltà.
EVI MALTAGLIATI
Alla prima rappresentazione della commedia le parti erano così suddivise: EVI MALTAGLIATI (Irene) - MIRELLA PARDI (Francesca) - PAOLA VENERONI (Gisella) - FRANCA BELTRAMO (Signorina Marchand) - LIA GIOVANELLA (Giuseppina) - LUGI CIMARA (Alguines) - AUGUSTO MASTRANTONI (Montrel) - MARIO COLLI (Giacomo) - GIULIO GALLANI (Giorgio)