Da IL DRAMMA Num. 158 - 1° giugno 1952:
- Parigi: in scena "Arlecchino servo di due padroni"
Autore: Marcel Le Due
ARLECCHINO (Marcello Moretti) - COLOMBINA (Lia Zoppelli) - ALMAVIVA (Tino Bianchi) - FIGARO (Cesco Ferro) - ROSINA (Carla Bizzarri)
Possiamo compiacercene: questa volta il Teatro italiano ha ottenuto a Parigi un successo più che notevole, entusiastico. Vedremo poi come nel giudizio degli altri non ci sia esagerazione, ma intanto è bene dire prima il perché di tale successo. Si tratta, come avete già capito, del Piccolo Teatro di Milano che è venuto il 7 maggio a Parigi, per recitare "Arlecchino servo di due padroni" di Goldoni, al Théatre de Paris, che tra le altre cose è il più grande della capitale. Bisognava anche riempirlo, ed una sala simile non si colma con gli inviti, come la "Huchette" o come le "Noetambules". Il Piccolo Teatro di Milano era già stato precedentemente a Parigi: nel 1948, al "Sarah Bernhardt" con Il Corvo di Gozzi; nel 1949 al Théatre des Champs Elysées con Sei Personaggi di Pirandello. La prima volta passò inosservato - parliamo per il grande pubblico, s'intende -; la seconda, la critica fece buon viso e segnalò i meriti con educata e cordiale riservatezza; questa volta - la terza - è stto un vero successo di pubblico: questo perché il nome del Piccolo Teatro di Milano è tra quegli esperimenti internazionali che hanno già un eco; poi per la preparazione della stampa; infine perchè Goldoni e Arlecchino "sono la Commedia dell'Arte" per gli stranieri non addentro al fatto culturale della "Riforma" ed il mondo internazionale riconosce i meriti atavici del teatro italiano e dei suoi comici famosi. Vogliamo dire che con Arlecchino servo di due padroni recitato in italiano come nemmeno Timming, pur famoso, riuscì a fare, si esprime un intendimento precìso che il gran pubblico ha subito apprezzato perchè non aveva bisogno di capire la lingua; si è rifatto alla tradizione, secondo cultura o più semplicemente per vero divertimento. In questa opera si ritrovano infatti i tipi tradizionali della scena italiana dell'epoca con le sue quattro tradizionali "maschere": Pantalone, Arlecchino, Brighella e il dottor Lombardi, ma arricchite da una costruzione teatrale, di un movimento ritmico che prima di Goldoni non era mai apparso nella commedia dell'arte. ln sè I'intreccio rimane un pretesto per mettere in azione i personaggi e con essi la loro concezione della vita, burlesca finche si vuole, ma vitale, simpatica e sincera che possiede un linguaggio comprensibile a tutti, oltre e al di sopra di ogni difficoltà di lingua proprio perchè, come disse Jouvet, "la poesia non ha bisogno di essere compresa: la si riceve". E bisogna aggiungere che a Parigi la patria di Scapino, Figaro e Mascarille, il nostro Arlecchino ha dimostrato in pieno la sua autonomia e I'originalità della sua anima che pur riallacciandosi ad una antica e prolifica farniglia, vive a sè nella ricchezza della sua gloria per la quale non ha certo da nutrire debiti tli riconoscenza verso alcun capostipite del grande casato delle "maschere". Intanto, fatto quanto mai utile e notevole, Jean Louis Barrault - sabato tre maggio - con un suo scritto su "Le Figaro" ha restituito a Paolo Grassi, suo impresario in ltalia e non per la prima volta, tutte le cortesie ricevute da lui, da Remigio Paone e dal pubblico italiano, dando il benvenuto ai cornici nostri e mettendo in rilievo le qualità del loro lavoro. E particolarmente per le recite di parigi ha scritto: "Mi sembra che essi (i nostli attori) siano i soli a poter rappresentare commedie come Arlecchino seruo di due padroni. Sono lieto che il Piccolo Teatro di Milano porti questa commedia a parigi. Il "Piccolo" " di Milano è un vero teatro moderno sul quale dobbiamo contare, e lo spettacolo che siete chiamati a giudicare è il più tipico di questo genere celebre, meraviglioso ed eterno: è la gloriosa Commedia dell'Arte italiana. Esso è nello stesso tempo rinnovato e fedele alla vera tradizione". Con una tale presentazione sul "Figaro" le cose incomimciano a prendere un aspetto insolito anche a Parigi, ed il gjorno dopo la recita, in "Le Monde", altro autorevolissimo giornale, Henry Magnan, che sostituiva I'indisposto Robert Kemp - il Renato Simoni francese - ha scritto: "Raramente abbiamo visto un pubblico tanto felice di applaudire come quello del "Théàtre de Paris" che ieri sera uscì dalla sala con le mani gonfie tanto avevano festeggiato i graziosi comici del Piccolo Teatro di Milano. Abbiamo ritrovato l'esempio di una "Commedia dell'Arte" di Goldoni molto più elaborata del solito. I comici di Paolo Grassi e di Giorgio Strehler (quest'ultimo ha animato la commedia secondo la più autentica, estrosa ed intelligente messa in scena), ci hanno trattenuti due ore e più con il linguaggio soleggiato della loro patria, un linguaggio vicino alla musica. Cito questa gentile e bella frase della mia vicina di poltrona, Madarne Dussane, con la certezza ch'essa consiglierà ai suoi allievi del Conservatorio d'Arte Drammatica, di andare a sentire e vedere questo spettacolo incantevole, che è l'essenza del teatro. E' inutile raccontare la trama: con Arlecchino servo di due padroni siamo al centro del teatro più puro in cui il Carro di Tespi non è davvero un ingombro. I bravi comici del Piccolo Teatro si meritano tutti i migliori elogi: Marcello Moretti, funambolesco Arlecchino, balza, con il suo bellissimo abito multicolore, sul filo dell'intrigo e riprende veramente la tradizione del Sacchi, il creatore; Antonio Battistella, un ottimo Pantalone; Checco Rissone, un panciuto Dottore e Franco Parenti un delizioso Brighella. A teatro si ottengono delle vere grazie. Ci avviciniamo a Pentecoste e deve essere per questo che ieri sera una piccola lingua di fuoco, volteggiando sulla testa di uno e dell'altro, ci ha permesso di intendere un'altra lingua che molti tra noi ignorano: voglio dire la lingua italiana". Aggiungete che con aggettivi consimili si sono espressi tutti gli altri critici e che il più diffuso settimanale "Paris Match" nella sua rubrica riservata ai grandi avvenimenti, ha pubblicato una fotografia a pagina intera di una scena dell'Arlecchino, e troverete che dicendo nelle prime righe successo entusiastico, ho collocato un aggettivo al suo giusto posto.
Parigi, maggio 1952. Marcel Le Due