Il teatro di rivista
Uno dei fenomeni più interessanti nella situazione del teatro è la diversa sorte a cui sembrano essere avviati la prosa e la rivista. Nessuno ignora le difficoltà in cui si dibatte iI teatro di prosa. Il fatto non riguarda soltanto I'Italia ma la quasi totalità dei paesi che condividono la nostra struttura sociale. Si può dire quindi che se anche in Italia la crisi del teatro di prosa presenta aspetti particolari e per molti lati più gravi che altrove, la causa non è occasionale ma profonda, e si collega a tutta l'organizzazione della nostra cultura e della nostra vita sociale. Di fronte sta invece il crescente successo del teatro di rivista, che finisce con l'apparire anche a uomini di avanzata cultura come lo spettacolo tipico del nostro tempo. Come si spiega questo successo? Secondo me, tre elementi hanno concorso a determinare questa situazione: anzitutto il fatto che la rivista costituisce un tipo di spettacolo semplice, comprensibile a tutti, popolare, che non presuppone particolari convenzioni intellettualistiche; in secondo luogo la possibilità che la rivista, attraverso Ia satira politica (sempre che essa non degeneri in calunnia o volgare insinuazione come purtroppo accade in qualche caso) di intervenire sui fatti di maggiore attualità e che interessano tutti i cittadini: in. terzo luogo I'altissima qualità dei migliori nostri attori comici, nei quali prosegue la grande tradizione dell'attore itatiano, con Ie sue caratteristiche di immediata comunicativa, di elevate virtù mimiche e di sintesi di precise situazioni sociali. Nonostante questo, si parla di una crisi della rivista così come si parla di una crisi del teatro di prosa. Io nego che Ia rivista sia in crisi. Che le spese siano aumentate. è vero: la concorrenza del cinema fa salire le paghe degli attori, le crescenti esigenze del pubblico aumentano il costo delle messe in scena. Ma poiché il numero dei biglietti venduti continua a crescere, anche se non in proporzione, non si può parlare di crisi. Si deve invece parlare dei limiti che ancora esistono per un largo sviluppo del teatro di rivista. Essi consistono nella inadeguata attrezzatura dei teatri (quante città in Italia possiedono dei teatri capaci di ospitare una grande compalnia di rivista?) e nella quasi tolale scomparsa degli spettacoli medi, unita a difficoltà nelle quali si dibatte I'avanspettacolo. Difficoltà amministrative, naturalmente. esistono. Se calcoliamo che nel 1938 il Teatro Nuovo di Milano si aprì con la poltr0na a 60 lire e che oggi essa costa dalle 2000 alle 2300 lire, ci accorgiamo che siamo ancora molto lontani dal rapporto di svalutazione della moneta, che invece la maggior parte dei costi ha Iargamente supérato. In modo particolare, le cifre richieste dai primi attori e dallo stato maggiore delle vedettes ha costretto gli impresari a retribuire con cifre proporzionalmente inferiori all'anteguerra i ruoli minori. Nol sarà mai abbastanza deprecata la abitudine di qualche compagnia di pagare le ballerine meno di 3000 lire al giorno, quando, io penso. vada riconosciuto un contributo giornaliero di 4000 4500 lire, come da me applicato. Conosco casi, nell'avanspettacolo, in cui tale cifra scende a 700 o 800 lire. E' un invito aperto alla prostituzione: la responsabilità però non è molte volte dell'impresario di quell'avanspettacolo ma anche delle difficili condizioni in cui egli si muove per i rapporti eeonomici con determinati esercenti di cinema che pagano I'avanspettacolo stesso. Ecco perché se questo riesce ancora a mantenersi in vita, vive assai precariamente. Invece di essere, come dovrebbe e come fu nel passato, il vivaio di nuove forze per la rivista e per la prosa, il banco di prova di nuovi talenti che il nostro popolo non si stanca mai di mettere in luce, l'avanspettacolo è costretto a vivere al margine della attivita dei cinematografi. Per quanto riguarda il carattere artistico degli spettacoli di rivista dati negli ultimi anni in ltaiia, molte sono Ie critiche e le riserve che si fanno sulla loro originalità, sulla fantasia, sull'intelligenza nella satira. In parte queste critiche possono essere giuste; ma ciò non toglie che dall'altra parte siano in molti all'estero a considerare la rivista italiana al primo posto europeo. Lo provano le preoccupazioni degli artisti e delle compagnie straniere quando vengono in ltalia: molto spesso spettacoli lungamente collaudati alì'estero non riescono a raggiungere tra noi i successi a cui sono abituati. D'altra parte a New Jork e a Londra prevale il genere della commedia musicale. Io ritengo che ci siano delle ragioni per muoverci in questa direzione, e anche I'esperimento da me tentato l'anno scorso, contro Io scetticismo di molti, con Attanaslo cavallo vanesio si può dire che mi abbia dato ragione. Infatti il pubblico ama le cose concrete e vere, ama una storia da seguire che non sia il solito sussegulrsi di sketchs e di coreografie della rivista. Ritorna colla commedia musicale qualcosa di quello che era l'operetta, anche se conta meno sul canto e più sulla coreografia e sugli elementi spettacolari. Si accusa ancora Ia rivista di non raggiungere mai o quasi mai il piano dell'arte e di non aver nessun valore artistico. Naturalmente ci sono degli esempi che sembrano dar ragione a queste affermazioni. Ma Ia base perché Ia rivista sviluppl una grande azione culturale esisle ed è larghissima. Non è forse un grande fatto di arte e di cultura la valorizzazione della musica e della danza, cotlegate col folklore di cui sono tanto ricche le nostre regioni e con la cultura popolare di altri paesi? Non è forse un fatto culturale la possibilità per migliaia e migliaia di persone di cogliere sia pure nella deformazione della satira o nella sintesi del tipo comico, alcuni aspetti fondamentali della loro vita e della loro realtà? Un esernpio, che conferma ciò, è il successo riportato dal teatro dei "Gobbi" e, sul suo modello, dalla rivista "Un dito nell'occhio" presentata da Dario Fo. Giustino Durano, Franco Parenti, al Piccoìo Teatro di Milano. Di fronte a tutta questa situazione, l'intervento dello Stato quale si è esercitato finora appare tutt'altro che positivo. La censura si è mostrata severa contro la satira politica e in misura molto larga anche contro la satira di costume, quando questa colpiva certi interessi e certi ambienti. La prima cosa da chiedere è il ripristino della massima libertà di espressione: in fondo fu la libertà ottenuta con iI crollo del fascismo a permettere alcune delle più importanti condizioni per lo sviluppo del teatro di rivista in ltalia. Io sono del parere che non v'abbia da essere censura politica, ma solo morale. Per quanto riguarda l'intervento economico dello Stato, esso deve mirare non a creare condizioni di privilegio, ma condizioni di utilità generale: l'istituzione di premi finali, per quelle compagnie che avranno saputo conquìstarsi iI favore del pubblico e realizzare reaii progressi artistici, deve essere sviluppata e potenziata. Non appare giusto, infatti, che il teatro di rivista che nell'anno testè finito ha incassato globalmente oltre due miÌiardi e ha quindi dato alla tassa erariale circa quattrocento milioni (incrementando così notevolmente il fondo sovvenzioni della prosa, della piccola lirica e del concertismo) debba avere premi solo per venti milioni complessivi, come è accaduto quest'anno. Infine si dovranno prender provvedimenti per favorire il ripristino di teatri in un maggior numero di città e rendere meno indegna la vita dell'avanspettacolo, il quale, per la sola possibilità di avvicinare il pubblico nuovo della periferia e della provincia e di tornare a costituire un vivaio per il teatro maggiore, deve essere favorito.