Da SIPARIO Num.227 Marzo 1965:
- Intervista a Gian Maria Volonté: Il Vicario proibito di Volonté
- Autore: Antonio Nediani
Cosa dire sulle vicende riguardanti Il Vicario? Nei limiti di una brevissima nota sono urgenti due osservazioni. La prima riguarda I'ipocrisia del divieto della rappresentazione per inagibilità del locale, con conseguente energico intervento della Questura. La seconda riguarda la proibizione in se stessa. Il provvedimento che ha mobilitato tanti questurini risoluti ha impedito la rappresentazione nel circolo privato, ma subito dopo la vera ragione è stata notifcata dall'ordinanza del prefetto che si richiama al Concordato. Perché non dirlo subito. Perché queste prove continue di debolezza, questo continuo evitare i passaggi obbligati con mezzucci e giochi di prestigio che rovesciano la responsabilità sugli altri? C'è il concordato. Va bene. Non possiamo abolirlo. Però possìamo discutere I'interpretazione dell'offesa del carattere della città. Chi decìde quando è offesa e quando non lo è? (Senza tener conto dell'assurdità dell'offesa in Roma). Chi ha letto ll Vicario? Chi ha dato un giudizio? Cosa hanno trovato d'offensivo, tra Questura e Vaticano, in quel testo (non bello, lo abbiamo già scritto in Sipario) che se non altro cerca di toccare la coscienza di tutti richiamando all'azione e alla responsabilità dei cristiani? Anche qui una prova di debolezza. Non ci meravigliamo della Questura. Ma in Vaticano qualcuno capace di leggere e di capire secondo la legge della carità (verso gli altri e verso noi stessi) ci dovrebbe pur essere.
Il Vicario proibito di Volonté
A pochi giorni da quella che doveva essere la prima romana del dramma di Rolf Hochhuth ll Vicario abbiamo incontrato Gian Maria Volonté regista dello spettacolo e animatore di una messinscena coraggiosa. Lo stato d'animo di Volonté è apparso di rassegnazione. Si era preparati al peggio, e questo peggio s'è verificato con l'intervento della polizia che ha impedito addirittura l'anteprima per la stampa e con il successivo divieto, prefettizio che ha bloccato Ie recite. Nella speranza che ll Vicario potrà, comunque apparire sulle scene italiane se non romane, cercheremo di darne una breve informazione critica, suggeritaci da una delle ultime prove cui abbiamo assistito. Il taglio del testo lunghissimo, Ia sintesi che ne è stata fatta per consentire uno spettacolo normale sono acuti e, in un cerro senso esemplari; consentono che, dell'opera, venga messa in luce la sola essenza ideologica. La messinscena s'affida a un'ulteriore sinteticità d'accenti, di atteggiamenti, di scenografie, sempre per far risaltare, del dramma, la sola purezza delle idee che esprime. Questo spinto fino a una semplificazione estrema, tutta basata su una stilizzazione cocciuta, su una rarefazione della recitazione e dei gesti epicizzante e tendente alla continua razionalizzazione della battuta. Gli attori, ad esclusione di quelli che inlerpretano le parti dei protagonisti, recitano in più ruoli, in un gioco aperto ed antirealistico. Si presentano quando cambiano parte, recitando le stesse didascalie che, nel testo originale, presentano i personaggi. I militari indossano divise di tipo tedesco puramente indicative; i civili, abiti da cerimonia altrettanto indicativi (sintesi smoking-frack); gli ecclesiastici (compresa la figura del Papa) semplici vesti nere da prete. Le musiche elettroniche d'evocazione e di commento sono di Vittorio Gelmetti. La scenografia vera e propria non esiste: solo panche infisse nelle nude pareti reali della scena. Gian Maria Volonté tiene molto a esprimersi come rappresentante di un gruppo di attori nettamente solidali. Lo conforta il fatto che i suoi attori, giovani provenienti in parte dall'Accademia d'Arte Drammatica, hanno spirito d'equipe e possibilità di ritrovarsi in una componente comune. Questo gruppo di giovani, dunque, dopo aver disperatamente cercato dentro Roma e nelle sue vicinanze una sala dove recitare Il Vicario, di fronte a ostilità e diffidenze d'ogni genere aveva ripiegato sulla creazione di una nuova sala, rilevata dal sotterraneo della chiesa sconsacrata detta degli Esploratori, in vicolo Belsiana, nel cuore di Roma, e consistente di un certo numero di scranni degradanti verso una scena composta da due ambienti (sfruttabili come luoghi deputati) comunicanti per un ampio vano aperto in una parete che non si è potuta rimuovere. Un ambiente originale, pieno di una curiosa atmosfera conventuale. Come è noto, per tutelarsi al massimo contro qualsiasi provocazione dei pubblici poteri (ma come s'è visto senza effetto) la compagnia denominata Teatro Scelta, formalmente intedeva offrire il proprio spettacolo ai soci del privato Circolo Culturale Letture Nuove. Lo spettacolo ha invece potuto essere presentato a Firenze. Facciamo seguire un resoconto del nostro colloquio con Gian Maria Volonté.
Che cosa I'ha maggiormente interessata nel dramma di Hochhuth e quali criteri ha seguito nella messinscena?
Il Vicario ci sembrava consentire un ripensamento più approfondito di un qualcosa che, dal dopoguerra, pare non suficientemente meditato: la morte di sei milioni di esseri umani, un conto che non torna e sul quale bisogna incessantemente rifettere. Noialtri siamo partiti dalla convinzione di dover, innanzitutto, oggettivare quel momento storico, togliendo tutto ciò che di naturalistico realistico il testo porta con sé, e facendo cosi che il testo stesso apparisse solo ed esclusivamente un dramma di idee. Il momento tragico dell'assassinio in massa si è infinite volte verificato neila storia, e può ripetersi. E quel momento (1943), come momento esemplare, nel nosffo spettacolo è estremamente chiaro. Ci siamo, tuttavia, storzati di non limitare il discorso a un gioco politico-strumentale, al fine di preservare intatta la dimensione poetica della tragedia. La nostra generazione si sente legata con una specie di cordone ombelicale alla storia dell'ultima guerra. Molti di noi erano bambini e non potevano capire. Oggi vogliamo capire interamente, profondamente. Di un fenomeno come lo sterminio degli ebrei, ci interessava mettere in luce il meccanismo più che evocarne il pathos; ci interessava individuare i responsabili e i complici, anche i più indiretti e apparentemente lontani. La riduzione del testo, dovuta al mio collaboratore Carlo Cecchi, vuol scartare deliberatamente, del dramma, le scene legate a una drammaturgia di tipo naturalistico, per chiarire quanto consentisse un esame del passato nel suo nodo capitale: il conflitto fra un apparato di potere e un personaggio impegnato in modo totale per la giustizia e la verità. Sull'impostazione della regia, io non mi sono rifatto ad alcuna edizione straniera, in quanto non ne conosco nessuna. Forse il mio spettacolo può avere qualcosa in comune con l'edizione francese non certo con quella americana, giocata sul naturalistico e sul grottesco.
Al di là delle difficoltà materiali a tutti note quali sono state le difficoltà e gli impegni di ordine interiore di fronte ai quali vi siete trovati?
Per il lungo petiodo della preparazione, c'è stato, da parte di tutto il gruppo, uno sforzo continuo di sentirsi moralmente all'altezza del compito che ci eravamo prefissi. Volevamo essere profondamente coscienti delle nosrre responsabilità di giovani uomini di fronte a una tragedia cosi scottante e cosi umana; sono convinto che anche i cattolici in buona fede non potranno che sentirsi partecipi dei valori del dramma, come non può non sentirsene partecipe ogni persona in buona fede.
Dopo le polemiche create dal Vicario, specie nel mondo cattolico, dopo i tentativi di difesa dell'opera di Pio XII durante la seconda guerra mondiale, confida che la cultura cattolica possa esprimere un'opera drammatica capace di ribattere?
I cattolici si pongano, con spirito libero, antidogmatico, il problema in profondità. Credo che un drammarurgo cattolico, per primo, avrebbe dovuto trattare l'argomento trattato da Hochhuth, e con altrettanto impegno morale. In quanto poi al ribattere, io so soltanto che i documenti, ai quali Hochhuth s'è rifatto, sono del tutto probanti.
Ritiene comunque che nel contesto generale della cultura italiana possa nascere un'opera cosi moralmente impegnata come Il Vicario?
Per quel che riguarda noi italiani, siamo stati, anzi, i primi, nei films, in lettetatura, a condannare il nostro passato fascista. Tuttavia, temi come quello della Resistenza, per esempio, noi li trattiamo persino con troppa facilità, fino a farli diventare mito, leggenda, favola. Dovremmo saperli trattare come severi valori da mettersi alla prova giorno per giorno.
Pensa che sia giusto rappresentare un'opera come Il Vicario nella città che è sede del Vaticano?
Si, proprio perché Roma è o dovrebbe essere la città del Vicario di Cristo.
Pensa ancora che, rappresentare questo dramma quasi clandestinamente, sia un'onta per la cultura?
È un'onta per i commercianti della cultura, del teatro, che, venduti al paternalismo statale, perdono ogni stimolo all'audacia.
Di fronte a un'opera come Il Vicario che, probabilmente esprime, come più intìma tematica, il sentimento angoscioso di difesa dell'Occidente, contro la minaccia storica (o presunta, o reale, o irrazionale) di un Oriente rappresentato dalla Russia comunista o zarista che sia, ritiene che il comportamento di Pio XII com'è espresso nel dramma ha una qualche giustificazione, in quanto un pontefice romano è anche rappresentante di una religione che è una delle massime componenti della civiltà occidentale?
Ognuno risponda da sé a questo quesito. Mi pare che il dramma di Hochhuth, una sua risposta, Ia dia esplicitamente.
Quali sono (o erano) i propositi artistici, la storia e i programmi del vostro gruppo?
Io sono fondamentalmente attaccato ai miei mezzi espressivi, che sono quelli dell'attore in continua fase di sviluppo e di ricerca. Mi piace recitare una parte o contribuire a una messinscena (i nostri spettacoli sono opera di collaborazione), se la impresa ha un significato culturalmente attivo per l'uomo d'oggi. Sono strettamente legato al gruppo di attori intorno a me (Giacomo Piperno, Giorgio Bonora, Claudio Camaso, Nilo Checchi, Giuliana Falcetta, Ugo Cardea, Carlo Reali, Mario Bussolino, Alberto Marescalchi, Franco Bucceri) e al mio collaboratore artistico Carlo Cecchi, da una attività che dura, ormai, da due anni. Coi soli nostri mezzi abbiamo portato in 30 piazze toscane due spettacoli: I fucili di madre Carrar di Brecht e La storia di Sesto nato dal nostro collettivo quale storia tipica di un uomo, dalla sua partecipazione alla resistenza, fino agli anni (attuali) della restaurazione. In futuro, oltre Il Vicario, intendiamo rappresentare, fra I'altro, nel nostro nuovo teatrino, Il balcone di Genet e Arden of Faversham di un ignoto elisabettiano, olfte a un testo, ancora da farsi, ricavato da autentici documenti su un mercante pratese del '300, Datini, ritenuto I'inventore della cambiale.
ANTONIO NEDIANI
Condividi sui social
« 1953 Remigio Paone – Il teatro di rivista1959 Ghigo de Chiara – Dario Fo: un pagliaccio moralista »