ARISTIDE BAGHETTI
Era nato al teatro con Hennequin: è morto con Cecov
Il 2l marzo 1955 è morto a Milano all’ospedale Fatebenefratelli, dove era stato ricoverato per emorragia celebrale, Aristide Baghetti. Era nato a Civitavecchia nel 1874. Aveva recitato fino a pochi giorni fa al Piccolo Teatro di Milano in Il giardino dei ciliegi di Cecov ottenendo un personale e vivissimo successo.
Licenziatosi da un istituto tecnico, con la vocazione di essere attore, nel novembre del 1898, Baghetti entrò in arte al popolare Teatro Manzoni di Roma diretto da Federico Pozzone. Seguirono sette anni di peregrinazioni in cerca di molte parti e di poco pane; ma nel 1905 fu scritturato “Brillante assoluto” (un’epoca nella quale il ruolo si soppesava come l’oro e doveva essere a diciotto carati, pena il fallimento artistico) con la Compagnia Tovaglieri-Calloni Talli-Pezzinga. Baghetti aveva vinto e lo dimostrò successivamente nella Compagnia Mariani, Calabresi, Reiter-Cerini, Stabile di Genova Sichel, Carini-Gentilli ed infine nel 1919 Capocomico. Ebbe Compagnia e fu direttore artistico sino al 1933. Ha insegnato a molti attori, ma sua allieva prodigio, la sua prediletta è stata Elsa Merlini.
Era uno degli attori “simpatici” stile ottocentesco. Secco nei modi e cordiale, svagato e preciso, ricercatore senza eccesso di quei piccoli “tic” che fanno ridere, era un “brillante” sicuro dei suoi effetti, almeno, divertenti. Ricordiamoci il Baghetti di molti e molti anni fa, era nella eccellente e pittoresca compagnia di Teresina Mariani e Oreste Calabresi e recitava “Guerra in tempo di pace”. Gli era accanto la gentile e soave Giannina Chiantoni e Baghetti nella parte di un uffcialetto timido e innamorato, era buffissimo. Ma dalla comicità affabile, cortese, familiare. Tale restò sempre, fino all’ultimo. Nella commedia più sbrigliata, nelle situazioni più scabrose portava un che di bonario, una specie di distratto stupore, un faceto ammiccare che subito smussava le punte scandalose e si cattivava gli umori del pubblico. Passò di compagnia in compagnia, tra nomi illustri, onorato per la sua probità d’attore, per il gusto un po’ facile ma senza accenti irritanti (come troppo spesso avviene negli attori comici), e per la prontezza breve e rapida con la quale scoccava le battute e l'ilarità. Era un attore caro a tutti: era uno di quei modesti ma efficaci, levigati, taglienti artisti della ribalta che contribuiscono validamente ai successi, e che qualche volta li determinano e che in tempi più felici per il teatro italiano furono una tipica nostra ricchezza, elementi vitali per i grandi complessi. Caro attore, veramente; quante serate di musoneria teatrale, quando il pubblico recalcitra, egli seppe tramutare in festevolezza e piacevolezza; quante volte, nella noia di un copione senza spirito, lo attendemmo perché ci rallegrasse con il suo tocco eccellente, la sua piana stramberia, con il “carattere” del suo ben detto temperamento. Era carico d’anni ormai, e aveva tanto lavorato per il teatro. E’ giusto ricordarlo, né del resto sapremo dimenticarlo, tant’egli fu amico di tutti gli spettatori, ascoltato e applaudito con il cuore e l’allegria diffusa. E tanto più malinconico e affettuoso ne è il ricordo.
F.B.