Dal Programma di sala GRAN BALDORIA 1951:
- Elsa Merlini, Enrico Viarisio e Isa Barzizza
Autore: Ufficio stampa "Spettacoli Errepi"
ELSA MERLINI
Con lo stesso vestito bianco che indossava nel terzo atto di “Piccola città” Elsa Merlini è ricomparsa sul palcoscenico di un teatro milanese e, inginocchiata accanto alla cupolina del suggeritore, ha recitato una patetica filastrocca su Milano, “piccola città” che sta tutta - dice - nel cavo di una mano. Elsa s'era chiusa in una specie di volontaria quarantena dopo il ritorno al teatro nel dopoguerra, un ritorno non completamente felice, con quelle commediole ungheresi e una "Piccola città,” come impolverata, fatta grigia dall’abitudine. Non c'era più Renato Cialente a farsi avanti nel ruoto azzurro della scena: “Signore e signori, questa commedia si intitola...” Quella sua voce tranquilla, lucida e amara. Il pubblico avido e grosso del dopoguerra non stava più al gioco. Voleva le riviste della Wandissima o le pochades di Feydeaud, oppure addirittura Sartre. Elsa allora voltò al pubblico la schiena, se ne andò per conto suo con quel passo da “mula” di Trieste. Ora è tornata per inserirsi nel quadro d'una rivista, la gente applaude e grida al rosa euforico di Isa Barzizza e delle “Blue Bells” ma quando arriva Elsa e parla di Milano come piccola città c'è lo sesso silenzio che circondò tanti anni fa le parole dei morti di Wilder, la prima sera sul palcoscenico del Nuovo. Allora di quella sera qualcuno ricorda la piccola attrice vestita di bianco, afferrata al velluto del sipario, gridare agli attori scoraggiati, che all'inizio del terzo atto stavano per abbandonare l’impresa: “I morti fermi! Fermi, fermi. Fermi. Continuate!”. Continuarono e alla fine il pubblico era tutto in piedi, gridava, gridava e c’era chi voleva salire sul palcoscenico e portare in trionfo la piccola sposa morta, la ragazza di Trieste con l'abito di tulle e il nastro nei capelli.
ENRICO VIARISIO
Forse, nel suo intimo, Viarisio è un timido. Lo si intuisce dal tono delle sue entrate in scena: sommesso, quasi umile. Eppure sa che lo attende un applauso lungo, cordiale: il saluto di una folla cui la sua presenza promette il divertimento prelibato che solo un artista dall'esperienza consumata sa dare. E allora tenta di impicciolirsi, di racchiudersi in se stesso, come per offrire alla bordata dell'applauso solo una piccola parte di un volto dove giuocano l'arguzia e l’ironia.
Dell'arte di sfiorare con leggerezza elegante le corde dell'ilarità, Viarisio conosce le più recondite risorse. Le pause che preludono al prorompere di una battuta a grande effetto, lo smorzarsi della voce in certe domandine dall'aspetto innocuo, la sottolineatura garbata delle situazioni più esilaranti hanno in Enrico Viarisio un alfiere, un esemplificatore dai toni suadenti. Pochi attori conoscono come lui la via diretta dalla battuta alla risata. In Viarisio il testo si gonfia di umorismo come pasta messa a lievitare nella madia: le parole si colorano e formano un quadro dalle tinte armoniose, al quale la misura e l'espressione del gesto fanno da cornice. Di attori efficaci la rivista ne conta molti. Ma in Viarisio l'efficacia veste panni da barone. La signorilità Viarisio, l’ha messa al suo servizio; ne ha fatto il suo nome tutelante, l'arma segreta della battaglia (perché battaglia è sempre...) che ogni sera ingaggia con la platea dall'alto del palcoscenico, E' l’attore e signore: è l'esemplare unico e raro di un procacciatore di risate che sappia essere contemporaneamente, un vero signore.
ISA BARZIZZA
Quando Isa Barzizza fece accanto a Macario, la sua prima timidissima apparizione sulla scena della rivista (e al cinema pensava allora solo con desiderio…) i termini di valutazione della “vamp” mutarono di colpo. Si scoprì che il “sex appeal” poteva avere anche un volto bianco rosso e paffuttello, gli occhi di gazzella di un’educanda, una morbidezza senza ombre e misteri. Si seppe che una voce dai toni un po’ queruli poteva risvegliare le stesse sensazioni e le stesse vampate di quella voce roca calda e profonda che è legata alle tradizioni della sensualità. E' passato qualche tempo, da quel giorno. Isa ha conquistato sporgendosi dagli schermi, una maggiore popolarità. Le sue qualità hanno ottenuto appoggio dall'esperienza. Ma il suo fascino è restato uguale: il fascino di una giovane donna che passa con semplicità quasi trasognata (“come se aspirasse invisibili rose” hanno scritto di lei) in mezzo al turbine dei desideri.
Quando Isa, fresca e graziosa, fa il suo ingresso in scena, le signore che sono in poltrona, sentono subito, chissà perché, il bisogno di chiedere al compagno, al marito, al fidanzato, se è poi andato, come doveva, dall'avvocato: sì non ricorda? Per quella faccenda della merce non giunta in tempo. Oppure gli chiedono notizie della salute di zia Carolina. O di quell'abito marrone a righine che il sarto gli sta preparando. Qualcuna, più romantica e meno complicata, chiede vezzosa “Mi vuoi bene?” Ovviamente l’avvocato, la merce non giunta, la zia Carolina, l'abito marrone a righine e perfino il “Mi vuoi bene?” sono pretesti per rompere l'accesa intensità di quello sguardo maschile fissato sulla scena. In realtà se ogni sguardo mascolino fosse un riflettore, Isa sarebbe costretta a recitare sulla scena con gli occhiali neri o rischierebbe una congiuntivite.