TOTO'
II vecchio varietà abbondava di estri, di emozioni, di fantasia; era la proiezione artistica di una società ancora incerta tra la cronaca e I'ironia, tra il pratico e il romantico. Non resiste oggi, a una esegesi rigorosa; ma rimane tra le conquiste più importanti che il teatro del primo novecento abbia consegnato al mondo. Il Varietà ci ha regalato Petrolini, Viviani, i De Filippo; dal varietà è venuto con la bombetta e pantaloni a righe gessati sopra la caviglia, un attore in vena di sbalordire il prossino, che aveva dimenticato il suo cognome e si faceva chiamare semplicemente Totò. A trent'anni di distanza, dobbiamo riconoscere che il suo apporto è stato fondamentale, che la sua "lezione" occupa, nella storia della rivista, un lungo importantissimo capitolo. Il mimo e l'attore in lui, sono fusi e confusi, senza confini. Per comunicare col pubblico Totò non ha bisogno di parole: gli bastano uno sguardo, una smorfia, uno stupore. Il suo volto è uno specchio, il suo corpo è una bussola. Totò non recita: inventa. Il suo ripetere è un continuo creare, il suo muoversi un interminabile divertire, il suo ammiccare un incessante sottindere. Si ride, ogni volta, a crepapelle. Distratto dalle favole rosee dei "telefoni bianchi", il Cinema trascurò per qualche tempo il peso di tanta validissima comicità. Fermo con le mani, che apre la serie dei suo film, è del '36; Animali pazzi del'38. Poi I'elencazione comincia a diventare difficile: dal '40, Totò manda in visibilio platee teatrali e cinematografiche senza preoccuparsi di distinguere. Ci sono, accanto ai successi, frasi che sono entrate nel linguaggio comune: "siamo uomini o caporali" valga per tutte. Come c'è anche una legione, sempre più folta, di ammiratori tenaci di imitatori zelanti. Crediamo di essere nel vero affermando che, al di fuori e al di sopra di tutte le sventure che affliggono il teatro di rivista, Totò è un "classico". La sua comicità prepotente supera le angustie del macchiettismo e guadagna, con intuizione felice e facile, una dimensione umana di rara efficacia. In un'era di distruzioni micidiali o di velocità supersoniche, Totò è forse il personaggio più significativo che riesca a "legare" il nuovo al vecchio, il vero al presunto. E' in questo miracolo che emerge, impetuosa e magnifica, tutta la sua napoletanità. Il palcoscenico ci restituisce, oggi, un attore che il Cinema ci aveva usurpato. Chiudiamo finalmente una parentesi di lontananza aperta, nella stagione 1950-1951, con le ultime repliche di Bada che ti mangio. Totò ci ha detto due mesi addietro: "Non ne potevo più". Queste parole valgono assai più di qualunque altro commento. Non è senza significato che il ritorno alle scene di Totò coincida con quello di Remigio Paone, il quale è - tra i nostri teatranti - il più grande e il più esperto. La "accoppiata" Totò-Paone ci autorizza a ripetere il motto: "Hic sunt leones". Il ruggire di questi leoni certo, non spaventerà. Essi sono alla testa di una formazione che si raccomanda per la classe dei suoi componenti e per I'eccellenza della sua preparazione. Dopo sei anni, il sipario torna ad aprirsi su uno spettacolo che non ha mai tradito le aspettative. In un cielo di meteore, Totò è ancora una stella di prima grandezza, il solo depositario di una simpatia e di uno stile che non si discutono. Entrando in scena, ogni sera, il suo personaggio tornerà a raccontare la storia - comica e un po' patetica - di una umanità che piange e ride e trema e canta e si dispera.
IGNAZIO MORMINO