Dal Programma di sala LA FIACCOLA SOTTO IL MOGGIO 1957:
- Una recensione di Renato Simoni (1927)
Autore: Renato Simoni
"LA FIACCOLA SOTTO IL MOGGIO" IN UNA RECENSIONE DI RENATO SIMONI
(Da “Trent'anni di cronaca drammatica”, vol. III. 16 dicembre 1927)
Anche questa tragedia, come la “Francesca” e “La Figlia di Jorio”, ha dato al pubblico una ansiosa e angosciosa commozione. Molti e complessi sono gli elementi che si ritrovano in quest'opera. E, primo, un riflesso dell’orestiade. Gigliola vuole uccidere Angizia Fura, la serva, che per essere assunta al talamo del padrone, le ha assassinato la madre, come Oreste scanna Egisto. Ma il padre di Gigliola non è colpevole dell'eccidio della moglie, come lo è Clitennestra di quello d'Agamennone; anzi compie egli stesso il sacrificio espiatorio, facendo morire la femmina perversa, quando Gigliola, dopo essersi fatta mordere le mani dalle vipere, per non tornare più indietro, nella dolce vita, dopo l'atto tremendo, s’accinge a pugnalare la matrigna.
Anche qui c'è, nella casa dove avvengono casi sì funesti, un orrore presago, un'aura di dissolvimento, come nella dimora degli Atridi, contaminata dagli atroci delitti dei padri. E se la tragedia non avviene nel mondo antico, il poeta ha posto, sulla soglia dell'ombra, prima della catastrofe, il personaggio del serparo, nel quale si continua una vetustissima stirpe di incantatori, che han tutti il segno della discendenza, stampato sul polso; ed esso è rivestito, per la sua misteriosa professione, e per i suoi legami col santuario, d'una gravità religiosa; e quando, scacciato dalla figlia Angizia, che si vergogna di lui e rifiuta di riconoscerlo, le predice l'imminente morte, profetizza come il cieco Tiresia nell'Edipo. II pugnale che Gigliola vorrebbe immergere nel collo dell’odiata matrigna, fu trovato in un ipogeo, tra le rovine di una remota città di indovini. Sempre Gabriele d'Annunzio fa esalare dalla terra, dove le sue tragedie avvengono, un sentore secolare di sepolcro, di colpa e di strage. Questo procedimento che ha sì forza e bellezza nella “Città Morta”, qui è piuttosto un segreto appena svelato, ma delicato dell’artista. La casa dove Gigliola e suo padre e il fragile fratello Simonetto e la torbida Angizia vivono, crolla da ogni parte. La vecchia nonna di Gigliola fruga tra logore pergamene per trovare documenti che le consentono di rivendicare la perduta ricchezza: e quei documenti sanno di muffa e di tetra corruzione. Poi, anche ne “La fiaccola sotto il moggio”, come ne “II ferro” col quale essa ha tanti punti di contatto, c'è una tomba recente che tra tante cose morte o moribonde, è la sola viva. Tra tutti questi spiriti poetici e tragici non si può negare che, purificato dall'incorruttibile verbo, si insinui un dramma, con atteggiamenti e contrasti potentemente popolari, ma sempre, subito dopo che esso ha raggiunto le più risonanti asprezze, comincia il canto, e nel canto si dissolve il suo eccesso di teatralità, con malinconica austera, sì che gli uomini e le loro passioni ritrovano l’atmosfera conveniente alla tragedia; e la trasformazione della vita brutale in lotta, contro il destino, e in obbedienza a questa forza oscura e ineluttabile, avviene per la magia dell’arte.