Da SIPARIO Num. 236 Dicembre 1965:
- IL MESTIERE DELL'ATTORE: Due esperienze decisive
Autore: Franco Parenti
Due esperienze decisive
Per quel che mi riguarda, le esperienze più importanti come attore sono state quelle attorno a personaggi di Brecht; e le altre, in corso, attorno al lavoro di Eduardo. È noto che prima di questi due incontri io ho creduto in un certo lavoro di sperimentazione di testi di avanguardia, il primo lonesco per esempio; oppure in un certo tipo di drammaturgia italiana, che partendo dalla satira sociale si strumentalizzasse fuori del solito veicolo drammaturgico. Penso che sia rimasta in me, negli spettatori e negli amici, anche un'immagine di quel che l'attore potrebbe fare, in senso aperto, cioè fuori dello spettacolo tradizionale, si tratti di assimilare opere straniere o di intervenire in opere italiane, non importa. Tuttavia c'è stato un momento in cui proprio lonesco ha rivelato la sua preferenza e natura letteraria, e io come attore mi sono accorto del valore prevalentemente formale del suo modo di rappresentare il mondo, e cosi mi è scemato l'interesse per personaggi di cui veniva dimezzata automaticamente Ia intensità di vita, quando credevo che fossero e dovessero essere personaggi rinnovatori, non soltanto in senso formale. D'altronde si è anche visto che dar mano a una nuova drammaturgia, in cui i vari elementi dello spettacolo si dilatassero e si espandessero popolarmente - ricordo Italia, sabato sera di Contarello, e prima ancora il mio lavoro con Fo e Durano - implicava problemi di testo, di rapporti con l'autore, di recitazione stessa, oggettivamente in contrasto con quanto allora si predisponeva in campo teatrale, da noi. Dunque I'esperienza che io mi sono fatta, operando all'interno di personaggi brechtiani è stata piuttosto decisiva, ed è venuta fuori nel momento in cui ne avevo maggiormente bisogno; quando si era esaurita quella carica di entusiasmo e di vitalità con cui per quelle stagioni avevo sperato di rinnovare, dell'attore, almeno la sensibilità e il suo modo di offrirsi al pubblico: credo che questo sia capitato ad alcuni dei miei compagni di lavoro, della mia generazione. Naturalmente Brecht è cosi importante ed estensivo che ciascun attore può attingere alla sua opera e al suo insegnamento quel che gli è più congeniale e quel che è più affine alla sua educazione, al momento storico, alle occasioni di lavoro. Sono fermamente convinto che si possa ancora imparare tanto da Brecht, dal suo modo, intendo, di stare accanto all'attore, di svegliarlo e di farlo riflettere, di dargli l'esattezza del gesto e della voce, di obbligarlo a comportarsi criticamente. lo mi sono sentito sempre completamente libero e pieno di iniziativa, e a mio agio, anzi, con una gran voglia di inventare e di dare fantasia, su personaggi brechtiani, proprio perché I'insegnamento brechtiano a mio parere comporta questa apertura dell'attore, altro che soffocamento, in senso fisico e morale. Ho parlato di Eduardo: stare con Eduardo è stata ed è per me un'altra esperienza decisiva, perché con lui, da quel magistrale e unico attore che è, si può imparare giorno per giorno, ora per ora, tecnicamente, gesti e voci e atteggiamenti, che in lui nascono da un filo mai spezzato con la vita, con la realtà, e che egli filtra, come si sa, attraverso una ricerca essenziale, castigata, amara, ironica. A me quella sua derivazione popolare, nel senso piu vivo e forte della parola, non dispiace assolutamente, anzi mi sembra la condizione prima di una comunicatività teatrale che voglia significare qualcosa che non sia falso intellettualismo o ingannevole populismo. Poi quella sua ricerca, cosi mlnuziosa e precisa, di altissimo artigianato, è fonte continua dl scuola, come se soltanto adesso cominciassi a capire certe soluzioni di uno spettacolo, dal punto di vista dell'attore, e veramente non vedo chi potrebbe, oggi, su un palcoscenico italiano essere altrettanto istruttivo e moderno per un attore di quanto lo sia Eduardo: risalire il filone della comicità popolare e ridiscendere a noi con una cosi tonda riflessività, portarsi addosso I'eredità della comunicazione piu vlva con il pubblico, mediante l'aiuto del dialetto; è renderla a poco a poco a furia di tagli sentimentali, di cesure veristiche, appunto uno strumento moderno di comunicatività, aspro, vivido, verificatore della realtà di oggi. ll rapporto tra regista e attore, alla luce della mia esperienza di attore e anche di regista, a me pare che debba trovare il suo equilibrio e la sua espressione in una maggiore collaborazione, non tanto sul piano dell'introduzione critica del testo nei suoi significati culturali, sul quale non ci può essere dissenso o almeno non dovrebbe, sul piano tecnico, di una creazione teatrale che contenendo tutti quei significati culturali li esprime e li risolve in tatto rappresentativo. Non c'è mài stata nella mia carriera d'attore una volta in cui io non sia stato a mio agio con un regista, quando con questo regista ho potuto lavorare alla parì, tecnicamente, e cioè essere istruito e istruirlo in fase di lavoro sul modo di interpretare un personaggio. Mentre il dissenso, è chiaro, è abbastanza inevitabile, e può essere un risentimento nascosto o esplodere in un vero e proprio conflitto, quando il regista è tecnicamente sprovveduto, o nel caso opposto, l'attore è inadeguato artisticamente. Brecht ed Eduardo, ripeto, ancora una volta i miei due nomi preferiti, non sono mai fuori dalla situazione teatrale da inventare, sono cioè essi stessi parte viva di questa situazione, parte operante, sia che dirigano soltanto, sia che eseguano la rappresentazione. lo credo che l'arte del teatro sia un'arte della quale il testo rappresentato è uno degli elementi; la lettura di un testo sollecita in chiunque lo legga sentimenti, sensazioni e significati; ma perché tutto ciò acquisti espressione teatrale occorre che si manifesti, attraverso specifici segni teatrali, la conoscenza dei quali fa l'arte dell'attore. Purtroppo una teoria di questi segni non esiste e non è realizzabile, poiché è impossibile conoscere la qualità creativa di un attore, fuori dell'esperienza diretta. lo sono convinto della minore preparazione di mestiere della mia generazione, rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto. lntendiamoci: io non voglio rivalutare attori la cui importanza e il cui ruolo nella storia del teatro italiano sono del resto oramai storicamente definiti, anche e soprattutto negli aspetti negativi; voglio semplicemente dire che il bagaglio di esperienze tecniche a disposizione degli attori tra te due guerre è senz'altro superiore a quello delle generazioni che si sono formate dopo la guerra. Quel periodo lo si suole definire come Il teatro del mattatore o del grande attore; smitizzata questa immagine, resta che il mattatore non era altro che un attore che sapeva fare talmente bene sul palcoscenico quel che il teatro richiede, da imporsi alla scelta e all'ammirazione del pubblico; non solo, ma pur nei limiti strutturali di quel teatro, riusciva a rappresentare i classici più importanti, le novità straniere più impegnative, a formare attori nuovi, a condurre le compagnie, a collaborare con gli autori italiani sino a trasformare talvolta testi intenzionali in precisi prodotti di teatro. L'attore del teatro d'oggi si trova privo dell'insegnamento che scaturiva dà quell'altissima 'pratica di teatro', quindi delle possibilità di maturarsi di più. È' probabile che questa oggettiva delimitazione di bagaglio tecnico dipenda anche da una troppa insistita ricorrenza di giudizi letterari sull'opera teatrale, a scapito di una costante aderenza ai valori squisitamente teatrali dell'opera da rappresentare, in sede appunto dl piena valorizzazione delle possibilità dell'attore. D'altronde una certa inclinazione letteraria la regia l'ha ricevuta e la riceve tutt'oggi dall'inclinazione idealistica della cultura italiana in genere: per cui qualsiasi riferlmento artigianale o tecnico o strumentale viene deformato e allontanato in sede di discussione e di operazione teatrale, naturalmente a tutto svantaggio dell'esperienza più schietta di lavoro.
FRANCO PARENTI