La collaborazione con l'autore italiano
Molti registi sono soliti tradurre uno spettacolo in termini visivi più che auditivi, cioè cuRano più la disposizione scenica dei personaggi che il loro modo di recitare; e questo è un errore, di cui si rende conto, qualsiasi persona che abbia un po' di dimestichezza con il teatro, tutte le volte, e capita di frequente che, di fronte a uno spettacolo, è costretto ad ammirarne la composizione prima di tutto, e meno invece la resa degli attori. Mi capita, nel corso di uno spettacolo, di riflettere e non concordare con una certa impostazione di voce di questo o quell'attore, con un certo atteggiamento di questo o quell'interprete, e cosi contrasto dentro di me con il regista al quale evidentemente è da ricondursi quell'impostazione e quell'atteggiamento di voce. Ciò avviene, credo, in me, non tanto perché io parlerei e mi comporterei in diversa maniera, quanto perché oggettivamente il regista non è stato in grado di portare lo spettacolo su un piano interpretativo unitario e efficace. lo ce I'ho appunto con tutti quei registi che, o per deficienza di tirocinio o per povertà di talento, non sono capaci di regolare coerentemente l'interpretazione di noi attori, e con tutti quegli altrl registi, che per inadeguatezza culturale e per non qualità realizzativa, deformano o impiccioliscono Ia voce poetica dell'autore, in particolare se italiano e contemporaneo. Come si sa nel nostro ambiente teatrale, da parecchi anni io sto lavorando (dal 1942) attorno ad autori italiani di cui rappresento brevi pezzi o monologhi, lungamente da me elaborati e studiati con il loro concorso, se sono ancora vivi, o con la scorta di ricordi vivissimi loro, se non sono più in questa terra; e ho quindi acquistato una severità e una sensibilità particolari sull'argomento. Rappresentare un autore significa amarne il mondo poetico; e però se non c'è questa volontà dell'attore, o per lui, del regista, di approssimarsi alla verità del testo e di penetrarne i significati, il primo a soffrirne è Io spettacolo nel suo insieme. E cosi il lavoro del regista, anche se brillantemente visivo, e ottimamente composto, perde di nitore, e il Iavoro dell'attore diventa una penosa e inefficace ricostruzione di parole. So per esperienza quanta fatica mi costa aggredire, se è leclto usare simile parola, un autore, e collaborare dapprima con lui alla scelta di un argomento, e poi cominciare a costruirlo, nelle parole, negli atti, sìno al punto di saperlo riscrivere dalla prima all'ultima parola, con precisione, fin nelle indicazioni di scena e nella punteggiatura, ed esserne assolutamente padrona nei gesti, nei nomi, nei movimenti. Ouesto mi pare giusto che lo si sappia, non soltanto perché è la dimostrazione dell'impegno con il quale io affronto testi di autori italiani che mi sono particolarmente cari. lo ho bisogno di uno scambio, di una ricerca reciproca con I'autore: e se dal 1942, per una specie di rinascita della mia personalità e di orgogliosa risoluzione d'attrice, mi sono dedicata a quelli che sono poi diventati i "monologhi della Borboni", divenendo questi ultimi subito una sigla di garanzia, è perché nutro fiducia nell'autore italiano, e perché ho bisogno di testi italiani. Voglio dire che soltanto mediante Ia rappresentazione di opere italiane, e di autori che stimo, mi sembra di poter continuare a fare esperienze ancora importanti, e vivere di fianco ai problemi del nostro tempo culturali e morali, filtrati dai nostri scrittori. Cosi penso di continuare per questa strada, e di allargare il cerchio dei miei autori, e di migliorare ancora i miei rapporti con le loro opere. Per quel che riguarda il mio passato non saprei distinguere quali siano state le mie esperienze fondamentali e quali i miei incontri più importanti da quando giovanetta, il 4 novembre 1916, fecì parte della compagnia di Alfredo De Sanctis, ai Filodrammatici di Milano al primo incontro di lavoro, assai significativo per me, con lrma Gramatica nel 1920, accanto a Romano Calò; dal ruolo di primadonna, nel 1921, accanto ad Armando Falconi, ove mi sperimentai attrice comica, sulle orme della nostra più gloriosa tradizione teatrale, del resto, al primo vìaggio nel Sud America, nel 1922, accanto sempre ad Armando Falconi; dal mio sodalizio con Ruggero Lupi e Nicola Pescatori, nel 1930, all'esperienia di lavoro con Ruggero Ruggeri, nel 1933, e poi con Anton Giulio Bragaglia, con il quale tornai in Sud America. E naturalmente questo è un elenco approssimativo. Voglio ancora ricordare la Compagnia Pirandelliana, la prima costituitasi dopo la morte di Pirandello, nel 1943, le cui rappresentazioni su di me ebbero un'influenza notevolissima, in un periodo in cui mi preparavo a un bilancio della mia attività di attrice e già avevo in mente di occuparmi di autori italiani, come sbocco naturale di interessi per Ia nostra drammaturgia. Cito ititoli del primo mio recital, del 1954, al Teatro dei Commedianti, a Roma: Emma B. vedova Giocasta di Alberto Savinio, Figli per voi di Stefano Landi, Minerva tradita dal sonno, di Riccardo Bacchelli, Bellezza per vivere, di Corrado Alvaro, e Sgombero di Luigi Pirandello. ln un certo senso, per tornare al mio passato, tutti i miei incontri sono stati importanti e tutte le mie esperienze mi hanno aiutato: però ritengo che ne abbia tratto vantaggio nella misura in cui sono state occasioni anche di una mia scelta e di un mio impegno. ln altre parole mi è sempre piaciuto agire liberamente e muovermi in varie direzioni, nel teatro; e mi è sembrato cosi di potermi rinnovare più facilmente, e di potere scoprire nuovl orlzzonti con maggior respiro. Se debbo fare un nome attorno al quale abbia cercato di raccogliere il meglio di me stessa, è proprio quello di Luigi Pirandello: più che autore, è stato per me un compagno di viaggio, in un momento decisivo della mia carriera d'artista; più che un autore teatrale è stato una persona vicina; e questo è ancora più significativo se si pensa che io ho incontrato artisticamente Pirandello dopo che era morto, e che lo ho amato nella sua opera, quando egli non c'era più. Non credo che altri uomini di teatro abbiano influito su di me, tanto profondamente quanto Pirandello: senz'altro nessuno è stato in grado di provocare su di me tanta energia teatrale quanto le sue opere e i suoi personaggi. Chi mi segue, soprattutto nei monologhi, può comprendere come io sia Ia meno adatta a prendere in considerazione tipi di interpretazione teatrale come quelli del Living Theatre: io sono stata ai loro spettacoli, ho ammirato Ia loro bravura fisica, posso anche capire il Ioro modo di rivolta alla parola, non ritengo tuttavia di dover condividere le loro ricerche in quanto attori. lo credo a tutt'altra maniera di sincerità, a tutt'altro impegno di interprete, e provengo da esperienze teatrali in cui la parola è tutto, e in cui I'espressione è legata al pubblico immediatamente. Ritengo perciò di essere la meno adatta a intendere una recitazione che si basa essenzialmente sui gesti e si fonda quasi esclusivamente sulla vitalità. Per quanto riguarda l'esperienza brechtiana io ho Iavorato in L'anima buona di Sezuan al Piccolo di Milano e mi pare che si potesse dare Ia rappresentazione in un tempo assai più breve, cioè con una recitazione meno lenta e distaccata, e non dico tanto per me, quanto per il pubblico, costretto a star troppo seduto, e a impazientirsi di conseguenza. È un'osservazione banale questa, ma abbastanza pertinente. lnfine tra tutti coloro che hanno scritto di me prediligo alcune osservazioni di Corrado Alvaro, del tempo in cui recitavo Pirandello: "Fu un giorno curioso quello in cui la piccante Borboni venne fuori con l'interpretazione di una parte di madre disperata, la Anna della Vita che ti diedi di Pirandello. Non s'immaginava in lei un tale potere, il potere rivelatore di certi attori fortemente dotati; quella parte, piena di un misterioso e continuo movimento sotto la compattezza apparente e quasi da monologo, una delle prove più difficili per un'attrice, è poi rimasta segnata dalla prestazione eccezionale dell'interprete. E Paola Borboni si è assicurata quella sera, il diritto dell'artista maturo, cosi difficile quando la giovinezza coi suoi doni declina, e particolarmente difficile nel nostro paese, dove per qualunque arte non è difficile cominciare, ma difficilissimo continuare secondo la propria vocazione."
PAOLA BORBONI