Giovanni Verga ed il pubblico italiano
L'incontro del pubblico italiano con Giovanni Verga è un fatto recente. Non che Verga fosse prima d'oggi, un "dimenticato", che il suo nome non ricorresse frequente nel discorso letterario, che le sue opere principali non fossero citate, persino a livello scolastico: ma si trattava quasi sempre di una attenzione esterna, senza reale comprensione, senza possibilità di effettivo contributo nè alla letteratura nè al costume. Quasi un classico, collocato anzi tempo nel pantheon degli scrittori immorali e inutili. Non è questa la sede per esaminare le ragioni molteplici di questo stato di cose, ma due motivi del mancato inserimento dell'opera di Verga nel vivo della cultura italiana e del consumo letterario e teatrale si possono abbastanza facilmente riconoscere. Ci fu, in primo luogo, la mancata presa di coscienza del reale contenuto del verismo da parte sia dei contemporanei di Verga che della generazione seguente. Nella critica generale della narrazione "oggettiva" (perseguita da Verga persino con più esplicito rigore scientifico di Zola) l'esperienza dello scrittore siciliano, così ricca di fermenti largamente trascendenti i principi poetici, fu troppo rapidamente giudicata e collocata. Ci fu poi, a diverso livello, il contibuto equivoco di popolarizzazione di alcuni momenti della produzione di Verga (pensiamo soprattutto a Mascagni e alla sua "Cavalleria rusticana") che venne così sommariamente assegnata ad una stagione effettivamente contingente e decaduta della nostra cultura e ciò senza tener conto che lo scrittore siciliano era stata in realtà la prima vittima del verismo melodrammatico e contro di esso, lucidamente giudicata, aveva la sua protesta, fino alla carta da bollo e le citazioni legali.
L'ultimo decennio ha finalmente ritrovato Verga. Le sue opere, prima difficilmente reperibili (se si tolgono naturalmente le maggiori) hanno avuto nuove edizioni e quindi nuova lettura. Il clima culturale e sociale era mutato, l'esperienza realistica e meridionalista del dopoguerra aveva compiuto profonda opera di formazione nelle coscienze, la rivalutazione del decadentismo (altra componente essenziale del mondo rappresentativo verghiano) aveva ridato sensibilità concreta per una costante troppo a lungo ignorata di larga parte della civiltà letteraria europea e infine il tempo aveva fatto giustizia, o ricondotto ai loro limiti, scrittori cha a Verga erano stati contrapposti, con eccezionale fortuna. In questo clima di rinnovata comprensione dell'opera di Verga si colloca, pensiamo, questa ripresa teatrale della "Lupa", un'opera che non ha forse la lucida perfezione di "Cavalleria rusticana", ma si presenta con un impegno non inferiore nelle direzione propria della poetica dello scrittore siciliano e che, proprio in virtù di alcune sue debolezze, di alcune sue sbavature, di un suo più affaticato respiro (per esempio nell'utilizzazione dell'italiano, lingua nazionale, per esprimere carattri paesani e una vicenda quanto mai "regionale"), è in grado di rivelare ad un lettore attento, a uno spettatore avveduto, i caratteri stabili ed esemplari di un'esperienza letteraria che oggi ritorna, in un momento di rinnovati problemi di "lingua nazionale" e di crisi delle qualità espressive e rappresentative, quanto mai attuale. Certo noi oggi leggiamo e ascoltiamo le parole di Verga con diversa coscienza del suo contemporaneo e alcuni momenti del suo discorso possono non avere, in noi, la rispondenza che ebbero al loro tempo, ma è tuttavia certo l'insegnamento letterario e teatrale che dall'assieme e dal particolare si ricava è in grado di stimolare nuova ricerca e nuovo lavoro, in una direzione (quella del verismo inteso con sentimento contemporaneo) che coincide con l'impegno di larga parte della nostra cultura più impegnata. Non si tratta, ovviamente, di proporre un'impossibile ritorno alla problematica formale e contenutistica verghiana in una realtà così profondamente mutata, ma di giungere a cogliere, finalmente, i valori positivi di un'esperienza culturale fino ad oggi osservata e non assimilata. In una prospettiva materialistica della storia, l'innesto del verismo scientifico sul tronco sentimentale del realismo può dare risultati neppure immaginabili e costituire la premessa per una ricostruzione moderna e problematica finché si vuole, ma non negativa e anarchicamente protestataria, della nostra attività espressiva e rappresentativa. All'allarme apocalittico delle avanguardie il contributo di Verga può opporre un primo argine di positiva speranza.
Roberto Leydi