Il tragitto che Ia mia penna compie verso la pagina è spaventoso quanto il mio quando mi reco in teatro dove mi attendono uno spazio deserto ed un pubblico che devo sconvolgere. Soffro Ia "divina tortura" a questa eterna prospetttva di trasformare il vuoto in vita, alla prospettiva di deludere la gente, di fallire, o solo di offrire un'imitazione della verità. Desidero sempre colmare ogni spazio vuoto (pagine, tele, sale di studio, palcoscenici, strade, letti, biografie) con verità che possano dare vita a qualunque colore, forma, immagine, possibilità, che siano semplicemente di isplrazione per altri. Voglio stimoiare, recare gioia, unire Ia gente, ristabilire la fratellanza, abbattere confini e pregiudizi, Iiberare l'individualità, salvare i bambini, il paesaggio, la natura... incoraggiare l'amore. Il solo messaggio è celebrare, e la sola celebrazione è l'amore. Ma devo continuamente spronarmi e rafforzarmi per credere che sia questo il mio fine. Nell'interminabile e faticosa battaglia contro tutti i problemi e gli annessi e connessi del teatro, persino nella lotta per ricordarmi la pronuncia stessa delle parole, il nobile fine rimane spesso oscurato. Il mio coraggio è codardia camuffata. È Ia mia vigiiaccheria, non il mio coraggio, a darmi Ia forza di tirare avanti. Devo proteggere Ie mie virtù e prolettarle agli altri, incoraggiandoli a seguire il mio esempio come io tento di seguire quello di santi, falliti, pittori, poeti, musicisti, angeli... e di tutti i Danzatori di questa vita. Ho danzato in estasi e mi sono ubriacato secondo le raccomandazioni di Baudelaire. Anche le mie debolezze sono parte di me, ma malgrado io lotti per accettarle e, come Chaplin nei suoi iilm, per essere amato per tutto ciò che io sono, Ie combatto pure, Iotto contro la mia distruttività, e per allontanare iI demonio (che è paura) dalla mia carne. Desidero essere, e che chiunque sia iibero e generoso come altre cose in natura: per vivere e dividere con altri l'estasi della danza dell'oceano, l'ebbrezza del chiaro di luna, I'immobilità della montagna, per volare come I'albatro, per girare vorticosamente nella vita come nel sogni, per tremare col campo di grano, per essere raccolto dagli amanti come bracciate di lillà. A volte ho pianto sfogliando queste pagine, come ho pianto durante certe chiamate in scena, quando ho sentito che il pubblico mi aveva capito amandomi per tutto ciò che sono. Ho anche riso, e sono stato spronato a ricordarmi della mia forza e dello scopo della mia Danza. Sono stato ispirato. Grazie.
LINDSAY KEMP