Dal Libro FELICE MUSAZZI E I LEGNANESI 1993:
- Miss Abbiategrasso, ventimila leghe sotto il Naviglio (Giugno 1964)
Autore: Ennio Flaiano
Miss Abbiategrasso, ventimila leghe sotto il Naviglio (7 giugno 1964)
Un accenno di Alberto Arbasino (Tempo Presente, numero maggio) alla compagnia legnanese di Felice Musazzi ci porta al cinema Alcione, immenso e grigio, peer vedere ail'opera questo "complesso brechtiano-popolare" che da anni miete in Lombardia un successo così inevitabile e familiare da essere accettato come un servizio pubblico. I componenti di questa compagnia sono tutti di Legnano, operai e impiegati che hanno un Ìavoro regolare e la sera si ritrovano in una loro rivista a puntate che ha per tltolo Va là, batèl. Dalla cortesia di uno spettatore poiché, oltre Arbasino, mi risulta che questo complesso abbia i suoi esegeti o storici, vengo a sapere che l'autore-attore-direttore della compagnia prepara ogni anno nuove avventure per i suoi personaggi e che tra poco avremo un Va là batèl di notte, che cercheremo di non perdere. Questi personaggi di Musazzi, sempre gli stessi, portano suÌ palcoscenico un loro mondo di miserie, di ambizioni, di intrighi, di gelosie, un mondo popolare, comico per eccessodi verità, una specie di ventimila leghe sotto il Naviglio, dove tutto, una visita al teatro della Scala, una gita sul Lago Maggiore, un matrimonio di campagna, persino una parodia della Madama Butterfly, diventa pretesto di un'osservazione non pungente né satirica, ma disarmata e anche melanconica della realtà. Siamo, tanto per intenderci, su un piano pre-letterario, di semplice caricatura, ma che esprime una visione naturale della vita. La trovata, a tutta prima maliziosa, di questo complesso, è che le parti femminili sono svolte anche esse da uomini, ma questa sarebbe una trovata da carnevale, una mascherata, se i personaggi non esprimessero alla fine dei caratteri ben precisi, di una civiltà non volgare, se questo travestimento non risultasse una scorciatoia teatrale per arrivare ad un'autenticità buffonesca e dimentìcata. Tutta Ia vicenda di Va la batèl s'impernia su di una famiglia incallita nella filosofia della miseria, la famiglia Colombo, che abita qualche parte della Bassa. C'è la signora Teresa, che da giovane ha fatto Ie sue prove e ora sorveglia la figliola Mabilia, disillusa play-girl di paese, che cambia parrucca ogni cinque minuti, accetta la corte del suo principale e diventa infine Miss Abbiategrasso. C'è naturalmente il pater familias, il signor Giovanni, eternamente sbronzo e inascoltato, c'è la cognata, ladruncola, c'è il coro dei casigliani, come nelle vignette di Dubout, c'è la grande antagonista, l'Enrichetta, Ia vicina di casa oscurata da MabiÌia, sempre in lotta per emergere, umiliata e offesa, carica di amore non corrisposto per tutti, che soltanto nell'esaltazione della solitudine troval a forza di credersi belÌa e desiderata. Gettati in uno spettacolo musicale tirato via senza pretese, questi personaggi conservano Ia loro forza, fanno pensare a certi ambienti di Testori, a certi caratteri di Franca Valeri, ma è chiaro che essi si servono delÌa realtà quotidiana, osservata con la sfrenata allegria dei diseredati. E ogni tanto il ricordo sale più in alto, fino a Carlo Porta, aIIa miseria che entra finalmente nella letteratura europea, già prima di Gogol. A raccontare Ie battute, gÌi stupori, le situazioni in cui si caccia questa famiglia CoIombo non si finirebbe mai. Immaginatevi, per esempio, il ritorno a casa in motocicletta della signora Teresa e di sua figlia Mabilia, eletta "miss" poche ore prima. Mabilia è di già ripiombata nella sua frivola apatia, e che cosa ha fatto la signora Teresa alla festa, mentre la figlia folleggiava? Si scopre che ha raccolto i turaccioli delle bottiglie di spumante, che in casa possono sempre servire. Ora il ritorno è triste, Ia vita riprende la sua routine. O immaginatevi le nozze di Mabilia, che si sposa senza amore, forse perché "i suoi morti hanno aperto gli occhi" e hanno deciso di sistemarla: che si ha un bel folIeggiare ma un marito ci vuole. E immaginatevi infine Ia stupenda scena delle nozze, con quella signora Teresa che "ha fatto il bagno" e con l'invidiosa e trascurata Enrichetta che ha riempito il cortile di panni stesi per declassarlo agÌi occhi degli invitati. Vogliamo dire che dallo spettacolo si ricava insomma una commedia. Ma la buona fede dell'autore, il suo senso naturale e "attuaIe" dello spettacoÌo hanno salvato dalle tristezze del teatro dialettale questi personaggi mettendoli a puntate in una rivistona sgangherata e stupefacente, che è proprio Io schema in cui certe stravaganze, certi modi popolari possono oggi esprimersi fuori del compiacimento letterario, seppure allo stato brado.