Lettera aperta a Vittorio Gassman
Caro Gassman,
pudore, disgusto, moralismi, da grandi diventano sintomi: isteria. Diciamolo pure sottovoce che la stagione è stata deludente, per certi aspetti addirittura irritante. Certo, tra novità e riprese si è potuto assistere in ltalià a due o tre spettacoli quasi sommi (Le baruffe e Riccardo ll e poi Il Giuoco delle parti, La coscienza di Zeno) ma, a voler vedere, di cosa si è trattato in fondo? Ennesima conferma del grado di finezza e intelligenza critica cui può giungere la regia in ltalia. Particolare di cui nessuno dubitava. Aldisotto di questi, che costituiscono per così dire gli aspetti emergenti immediati della situazione, si aprono squarci di desolazione, interi panorami di cattivo gusto, mancanza di fantasia. Cosa fanno le Stabili? Evidenti i segni dell'incertezza degli uomini, del logorio dell'istituzione, dell'ingerenza volgare di ometti politici a Milano, Roma, Bologna, chissà dove, più dannosi che la buona penicillina d'una volta per l'improvvido streptococco. D'altro canto a pensare alle novità italiane c'è da scegliere solo tra Io sconforto sommesso e contegnoso e I'indignazione scomposta sconsigliata ai pletorici. Abbiamo avuto anche esordi indecorosi, come ad esempio quello di Biraghi che ci viene comodo solo per accennare all'argomento parallelo della critica. I quattro cavalieri che è la commedia più scalcinata e noiosa degli ultimi secoli, è stata disciolta nel solito brodino giulebboso di lodi dissennate e riserve a mezza bocca nascoste vezzosamente dietro l'aggettivo da gran sera, l'esotico gerundio. Fenomeno vergognosetto anche se non nuovissimo. Pare che sia proprio questa la strada per arrivare a non capire davvero più niente. Era già successo per Carmelo Bene del resto; relegato a vita tra i Vice se non avessero fatto un po di chiasso cronisti mondani, parrucchieri per signora, comitati di dattilografe. Come accade ad altri oggi. Al romano Teatro del 101, per dire, ai cui eccellenti spettacoli assistono Ie più eccentriche categorie di cittadini. Mancano solo i critici teatrali. Nessuno che si senta battere in petto il cuore di un Tynan e vada a nutrire, molliche e paroline dolci, gli attorelli in qualche scantinato. Sia il Quirino o il nulla. Facciamo un altro esempio, tanto per infierire. C'è voluto un attore, Romolo Valli, per mettere in chiaro in un articolo scomodissimo, che era prestino per parlare di un Teatro ltaliano con entusiasmo da collegiali in gita. Anche qui, tra coloro che dovrebbero, nessuno che si chieda se è nato Prima Osborne o i Beatles, Godard o Courrèges, Batman o Judith Malina. L'ultima difesa è rimasta una scrittura slombata e oscura che ignora che si può chiedere uno sforzo per interpretare un passo del Tractatus Logico Philosophicus, ma non pretenderlo per arrivare a capire se a Raul Radice è piaciuto o no lo spettacolo al Manzoni. Tanto. Tutte cose, anche cosi riassunte, che lei conosce benissimo. Sono Ie faccette del brillante che si troverà tra le mani quando deciderà (quando deciderà?) di tornare al teatro. ll problema sarà allora del come tornarvi. C'è la via così tentatrice, del grande classico in edizione impeccabile. Una cultura raffinata che faccia tacere Ia simpatica volgarità di certi film; è più o meno ciò che al suo posto farebbe, poniamo, Laurence Olivier. Ma davvero non si può consigliare. Negli anni trascorsi dal Marziano a Roma Ia dimensione è stata esplorata: regia e interpretazione. Si è anche sbagliato, ma si è andati avanti. È una strada falsamente garantita e i rischi che vi si incontrano non sono quelli che dovrebbero davvero tentarla, gli unici che valga la pena di correre; i rischi culturali. C'è poi l'altra via; quella di chiedere ai tre o quattro commediografi decenti che abbiamo, un testo nuovo, Per così dire, "su misura". Ma sorgono anche qui ragioni di imbarazzo. ln primo. Iuogo, quale misura? Ne conosciamo diverse. Speriamo che nessuna sia più totalmente sua, adesso. E poi il problema nasce prima: nella stessa pretesa di chiedere un testo come si faceva una volta. lnvece I'impressione è che oggi è consentito dedicarsi assai meglio ad altri linguaggi, altri segni. E con maggiore utilità dal momento che Strehler conta come Weiss e Peter Brook equivale Genet; insomma che il teatro si può "scrivere" in tanti modi e, tra tutti, quello di scriverlo direttamente in palcoscenico offre possibilità via via più affascinanti. ll Living Theatre o la Littlewood; da noi, Garmelo Bene, Laura Betti, Aldo Trionfo quando si scatena pazzamente. Mica facile come teatro. Bisogna saper raccogliere tessere di realtà a tutti i livelli e in più stare attenti a non perdere di vista il fine. Occorre perfino un certo coraggio, altro che Amleto in calzoni alla zuava. ll coraggio che mancò ad esempio a Paolo Stoppa quando importò Oh, che bella guerra! ma in edizione bagnomaria per non deludere il ministeriale romano che, sarà una debolezza, si commuove sempre pensando al generale con tante medagle e il cavallone. Non tenne conto, lo Stoppa, che al gruppo B si deve propinare il Mercante pieno di bocciati e di Gessiche oppure droghe forti che lo inchiodino terreo sulla poltrona. Sarà dopo la terza seduta che al commissario di p.s. tremerà Ia mano al momento di arrestare il capellone-lucertola sul travertino di Piazza di Spagna.E diventerà un teatro-babbo-natale al quale si potrà chiedere tutto. Non è neanche il prefetto di polizia, ma Gino Cervi circondato da schiere di Maigret e Rina Morelli applaudita da duemila Porzie per recita; o Maner Lualdi sempre diviso tra un raid teatrale e una regia aerea. E poi evasori fiscali commossi, speculatori edilizi in fumo di Londra, adulteri per forza di legge, omicidi per onore nelle serate più riuscite. Teatro Popolare. Allora ci vuol altro che il crollo dei tricolori sulla testa di Pinocchio o sia pure I pugni in tasca. È proprio un ufficio studi che ha partorito Progresso senza avventure? Come in tutte le maIattie davvero ripugnanti, gli anticorpi si sviluppano spontaneamente. Ma non bastano tuttavia. È necessario un gran fiato per farsi ascoltare quando tutto va a pezzi da ogni parte sotto I'imperturbabile fiducia dei Padri. La consegna è ancora quella di trent'anni fa: tonnellate di buon senso per spegnere le pagine di Piero Gobetti o I'inquietante erotismo op. Lasciar dissanguare i volonterosi che non fanno notizie e offrire a Dino Verde il fremito dell'illecito sulla statura di Fanfani. Lei ha voce per ricomporre tutto questo, per non lasciarsi ignorare, può farlo; se la moralità avesse ancora un senso si potrebbe dire deve farlo. Vale la pena di lavorare per coloro in grado di apprezzare o sia ll sorpasso per sempre. ll tutto è molto scomodo, pieno di rischi veri, di forze disperse, di poltrone vuote, di teatrini da duecento posti non uno di più. Ma non c'è occasione migliore di ricominciare: tra I'indignazione generale. Mi creda.
Corrado Augias