Una traduzione fedele a Shakespeare
Nello stesso momento in cui - dopo varie riflessioni - mi sono assunto la responsabilità di tradurre prima e poi dirigere e interpretare il Macbeth, ho sentito un'istintiva ripugnanza a premettere all'una come all’altra delle operazioni un qualsiasi commento esplicativo, il tedio sterile (ma assai consueto nel nostro costume teatrale) delle cosiddette note introduttive, o premesse o chiose alla regia, o come altrimenti le si voglia chiamare. Il lavoro di versione di un grande testo, che naturalmente passa attraverso un'infinità di dubbi e tentazioni e ripensamenti, deve finalmente risolversi - come qualsiasi operazione letteraria - in un risultato in cui tutte le intenzioni e le alternative si, offrano a una lettura e un giudizio oggettivi. Quanto alla messa in scena, è ancora più inutile (per non dire dannoso) tentare di fissarne a priori artisticamente e teoricamente i segni: ciò contrasta con la natura più intima del linguaggio scenico, la cui semantica pertiene evidentemente più alla dinamicità dei corpi e dei sentimenti e delle metafore, perfino a una certa porzione di casualità intrinseca ad ogni evento drammatico, che non ai disegni del pensiero scientifico o astrattamente filosofico. Posso solo dire, quindi, che per la realizzazione di questo Macbeth mi sono attenuto allo stesso criterio pratico che informava il mio recente Otello: una traduzione integrale (ho soppresso solo una scena, quella di Ecate nel Terzo atto, indicata dalla quasi totalità della critica come sicuramente spuria) e il più possibile fedele; ho deciso anche in questa occasione di tradurre in versi liberi alcuni brani dell'opera, anche se in proporzione molto minore che nel testo inglese, che come si sa è quasi totalmente versificato. Quanto allo spettacolo, si propone anch'esso di rendere la tragedia nella sua totalità (con qualche minuscolo sfrondamento all'interno di poche scene); e ovviamente di ricrearne in scena la potente e ambigua struttura drammatica: ma su questo, appunto, vorrei esimermi dal fornire spiegazioni teoriche, nella speranza che lo spettacolo si racconti da solo. Ciò non significa smentita al valore illuminante che per me ha avuto - in fase di preparazione - la lettura di determinati testi critici. Ne citerò alcuni, come a suggerire un'ideale biografia che in qualche parte e modo ha influito sul lavoro mio e dei miei collaboratori.
VITTORIO GASSMAN (Dalla nota introduttiva alla sua traduzione del "Macbeth", Mondadori 1983)