Arena di Verona presenta:
Cavalleria rusticana (1960)
Melodramma di Giovanni Targioni - Tozzetti e Guido Menasci. Musica di Pietro Mascagni
- Interpreti: Giulietta Simionato (Santuzza) Daniele Barioni (Turiddu) Fiorenza Cossotto (Lola) Anselmo Colzani (Alfio) Armanda Bonato (Lucia)
- Maestro Concertatore: Oliviero De Fabritiis
- Regia: Carlo Piccinato
- Maestro del coro: Giulio Bertola
- Coreografie: Ria Teresa Legnani
- Scene e Costumi: Orlando Di Collalto
Programma di sala (pagine 120)
- La prima opera di Mascagni: anni 70 (Carlo Bologna)
- Gli spettacoli in cartellone
- Le 37 stagioni liriche dal 1913 al 1959
- Il libretto
- Gli Interpreti
- Fotografie
La prima opera di Mascagni: anni 70
La sera del 14 gennaio 1884 al Carignano di Torino, Eleonora Duse portava al trionfo un dramma di Giovanni Verga: Cavalleria rusticana: un dramma che egli aveva tratto da una novella. Prima di affidarlo agli attori, Verga aveva voluto leggerlo ad un gruppo di amici fidati: ad Arrigo Boito, ad Emilio Treves, a Luigi Gualdo, a Eugenio Torelli - Viòllier. Solo Torelli - Viòllier ebbe parole di consenso e di approvazione. Ci si mise poi Giuseppe Giacosa ad agitare la nuova fiaccola per giungere (a spesa di Verga: 160 lire e 5 centesimi) alla rappresentazione al Carignano. Il capo comico, Cesare Rossi, non aveva voluto (per timore di fiasco) sopportare le spese di messinscena. Sei anni dopo un giovane musicista, Pietro Mascagni, pregava Giovanni Verga di dare il suo consenso affinché la novella fatta dramma diventasse libretto per musica secondo lo schema di Tangioni - Tozzetti e di Menasci. Verga disse di sì, ma poi accadde l'annosa e complicata controversia Verga-Mascagni. Si arrivò, attraverso lunghe vicende, alla sentenza di Cassazione, a Torino, che diede ragione al grande scrittore siciliano. La controversia si chiuse con una transazione amichevole in virtù della quale l'autore di Cavalleria rusticana riscosse 143 mila lire una volta tanto, come ricompensa dei diritti di coautore del melodramma. Così avvenne l'incontro (anzi lo scontro) fra un grande narratore ed un ottimo musicista. Causa dell'incontro il concorso bandito, come tutti sanno, dal Teatro illustrato per conto dell'editore di musica Sonzogno, per un'opera in un atto. Dalla congerie degli spartiti giunti alla commissione giudicatrice (della quale faceva parte anche il celebre Sgambati) uscirono fuori tre nomi: Spinelli, Mascagni e Ferroni. Il primo assai noto e stimato a Roma. il terzo reputatissimo insegnante del Conservatorio di Roma, il secondo ventiseienne maestro di Filarmonica a Cerigngnola. Tre opere in un atto: Labilia, Cavalleria rusticana, Rudello. In quest'ordine furono rappresentate nel maggio del 1890 al Teatro Costanzi di Roma. Fra due successi di stima Cavalleria conobbe il primo di una infinita serie di trionfi. Dopo le rappresentazioni Mascagni ricevette un premio di tremila lire, duemila lire andarono a Spinelli e un diploma a Ferroni. Poi la citata controversia Mascagni - Verga e le polemiche, a torto o a ragione, tra Ricordi e Sonzogno. Al Costanzi i cantanti che portarono al trionfo il dramma mascagnano furono il grande tenore Roberto Stagno e la celebre soprano Gemma Bellincioni, insieme al baritono Salassa e alla mezzasoprano Guli. Dirigeva il maestro Leopoldo Mugnone. Alla data 17 maggio 1890 nell'elenco delle opere nuovissime, date in Italia in quell'anno, si legge che l'esito fu buonissimo. Solo un'altra opera (fra le decine rappresentate e sparite dalla circolazione musicale) meritò lo stesso giudizio: Loreley di Catalani, data al Regio di Torino. Alla prima Romana, dopo la «siciliana» scoppiò un urlo, nessuno rimase seduto e l'ovazione veramente clamorosa, toccò vertici altissimi. La rappresentazione di Cavalleria rusticana continuò così fra entusiasmo crescente e approvazioni addirittura tumultuose. Le chiamate alla fine toccarono la quarantina. Mascagni comparve fra i suoi interpreti pallidissimo, vestito poveramente, smarrito. Con un gesto goffo, impacciatissimo si reggeva la cintura dei pantaloni, quasi temesse un disastro irreparabile. Fu un successo che ancora adesso ha del fantastico. Mentre le due altre opere, scelte sparirono in un baleno dal cartellone del teatro (e dai cartelloni futuri di ogni possibile teatro). Cavalleria ebbe, allora al Costanzi, ben quattordici rappresentazioni. Una partenza trionfale per un viaggio che dura tuttora e che portò, all'autore e, naturalmente, all'editore una vera fortuna. Col successo di Roma Cavalleria cominciò il suo trionfale cammino che in quell'anno - settant'anni fa - ebbe momenti appassionanti. A Livorno intorno al teatro, a causa del fortissimo bagarinaggio, si ebbero disordini, intervenne la cavalleria (non molto rusticana) dei gendarmi a portare la calma. Ma si fu costretti a ripetere (entro lo stesso anno) l'opera che fu cantata dalla Pantaleoni, dal Novelli, con Camera e Levi, e diretta da Cimini. Aveva trionfato a Firenze, in settembre, con la Calvé il Costa, Valero e Pozzi con la bacchetta del maestro Usiglio. Restarono tuttavia indimenticabili i due «grandi» della prima: Roberto Stagno e Gemma Bellincioni, tali da meritare di essere ricordati vicini ai «grandi» della prima del dramma, al Carignano, del 1884: Eleonora Duse, Flavio Andò, Cesare Rossi e Flavio Che echi. I critici furono tutti, o quasi, d'accordo col pubblico. Fu scritto: «L'opera ha buone gambe per far lungo trotto» e D'Arcais, sulla Nuova Antologia: «Forse per la prima volta, almeno da gran tempo, si sono trovati d'accordo i dotti, il pubblico e la stampa, nel giudicare un'opera in musica .... E' parso che il Mascagni e la sua Cavalleria aprissero alla musica italiana un nuovo glorioso periodo di splendore». E aggiungeva il bravissimo, e buon D'Arcais, mu sicologo e marchese: «... Di questi entusiasmi non dobbiamo dolerci: dimostrano, se non altro, che il popolo italiano non s'interessa solamente alle discussioni della Camera e ai listini della Borsa, e che la scintilla artistica non si è spenta nel nostro paese». Che dovremo dire noi oggi che il popolo italiano non si interessa né alle discussioni alla Camera, né ai listini di borsa e poco, assai poco, alla musica? Già, ma si tratta di parole scritte ben settant'anni fa. Comunque il giudizio, e dei critici e del popolo, su Cavalleria è rimasto, più o meno, immutato in tanti lustri. Purtroppo poco è andato ad aggiungersi alla gloria musicale di questa prima opera (anche se Ratcliff la precede nella composizione) e il favore popolare non ha mai toccato i vertici raggiunti con il libretto verghiano. E, qualche volta, proprio per questo terribile confronto con l'opera quasi perfetta, non si vide e non si volle vedere quello che di veramente buono era racchiuso nelle opere successive di Mascagni. La sua gloria, rimane e rimarrà sempre, Cavalleria. Non c'è niente da fare. E per concludere ecco il giudizio di Giuseppe Verdi, testualmente riferito dal maestro Giovanni Tebaldini: «Sentito questo improvviso clamore e questo gran successo, volli vedere subito la nuova opera: e cominciai a leggerla in compagnia di Boito. Il preludio ... bello, fresco, agire: ben trovata l'idea di quella serenata di Turiddu, il primo coro altrettanto felice anche per il carattere popolaresco che lo anima da capo a fondo. Poi viene la canzone del carrettiere. E questo cosa è? Giunti al coro «Inneggiam al Signore risorto» che vorrebbe essere un concertato mi sentii quasi indispetti. E dissi a Boito: «basta piantala lì». Ma nella notte non potei prendere sonno. M'era rimasto impresso qualche cosa che non riuscivo a scacciare. E il mattino dopo mi alzai presto: ripresi la Cavalleria ed andai innanzi, in giardino, a leggerla. Giunto all'Addio alla Madre: perdio, questo sente il teatro! » Il vecchio Verdi aveva detto, e chiaramente come sempre, la sua opinione. Cavalleria è così: melodia prepotente, non tutto oro quello che vi luccica dentro, orchestrazione e concertazione spesso ingenua, ma il risultato è clamoroso ed è un risultato di vero e grande teatro. Tre anni dopo Cavalleria rusticana, nasceva Falstaff. Non si può escludere che l'opera di Mascagni abbia concorso ad indurre Verdi alla sua ultima fatica operistica. Molti credono che ciò sia vero. Fosse vero, Mascagni meriterebbe le nostre presenti e future benedizioni.
CARLO BOLOGNA