Teatro Massimo di Palermo presenta:
Ernani (1999)
Dramma lirico in quattro parti di Francesco Maria Piave - Musica di Giuseppe Verdi
- Interpreti: Vincenzo La Scola (Ernani) Amelia Felle (Elvira) Stefano Antonucci (Don Carlo) Giorgio Surjan (Don Ruy Gomez) Gianluca Ricci (Jago) Nina Alessi (Giovanna) Umberto Scalavino (Don Riccardo)
- Maestro Concertatore: Maurizio Arena
- Regia: Beppe De Tomasi
- Maestro del coro: Marcello Iozzia
- Scene e Costumi: Francesco Zito
- Allestimento: Teatro Massimo di Palermo
- Bozzetti dei costumi di Francesco Zito
Programma di sala (pagine 120)
- La genesi dell'Ernani (M. Conati)
- Tra storia e melodramma (A. Titone)
- Un altro Ernani (D. Oliveri)
- Cavalleria nobiliare (N. Ganguzza)
- Note di regia (Beppe De Tomasi)
- Il nuovo allestimento (Gloria Martellucci)
- L'argomento
L'Argomento
L'azione dell' opera si svolge interamente in Spagna, nell' anno 1519
ATTO PRIMO: IL BANDITO Primo quadro - Tra i monti d'Aragona Dopo un breve e preludio, la scena inizia con l'allegria di un gruppo di banditi ("Evviva! ... beviamo!"). li loro capo, Ernani, è però malinconico e nella cavatina "Come rugiada al cespite" narra ai seguaci dell' amore che lo lega alla nobile Elvira, destinata a sposare il giorno dopo il vecchio zio Don Ruy Gomez de Silva, grande di Spagna. Per evitare le forzate nozze, Ernani si accorda con i suoi per rapire la giovane. Inebriato dall'idea di essere presto con lei, si abbandona alla amorosa baldanza della cabaletta "Oh tu che l'alma adora". Secondo quadro - Nel castello di Don Ruy Gomez de Silva. È notte. Elvira attende con ansia che Ernani giunga da lei per rapirla e sottrarla così all' "aborrito amplesso" con Silva (cavatina: "Ernani! ... Ernani, involami") e, incurante dei ricchi doni di nozze che le vengono recati dalle ancelle, non riesce a pensare ad altro che alla fuga con l'amato bandito (cabaletta: "Tutto sprezzo che d'Ernani"). Inaspettato, entra nella stanza Don Carlo re di Spagna il quale, innamorato di Elvira e geloso di Ernani, torna a dichiarare alla fanciulla i propri sentimenti con una carezzevole melodia (“Da quel dì che t'ho veduta") alla quale Elvira risponde con un deciso rifiuto (“Fiero sangue d'Aragona"), giungendo perfino ad impadronirsi del pugnale del re e a minacciare la morte per entrambi. L'improvvisa entrata di Emani da un uscio segreto provoca la collera del re, il cui fremente declamato (“Tu se' Emani! ... mel dice lo sdegno") dà origine ad un terzetto durante il quale il bandito sfida il sovrano rinfacciando a lui e alla sua stirpe le molte angherie subite, come l'uccisione del proprio padre e la perdita di ogni avere. A questo punto, ecco sopraggiungere Silva il quale, furioso e sorpreso per la presenza di due seduttori nella stanza della sua promessa sposa, affida la propria senile amarezza alla cavatina "Infelice! ... e tuo credevi". Questi, non avendo riconosciuto il re, sfida i due intrusi (cabaletta: "Infin che un brando vindice"). Entra il regale scudiero don Riccardo e si inchina al re. Silva lo riconosce e gli rende ossequio. Dal canto suo, Carlo consente ad Emani di partire spacciandolo per un proprio messaggero; il bandito accetta, anche perché scongiurato da Elvira ma, nella stretta del concertato finale dell'atto, non manca di manifestare un acceso e violento desiderio di vendetta contro il re.
ATTO SECONDO: L'OSPITE. Magnifica sala nel castello di Don Ruy Gomez de Silva È il giomo fissato per le nozze di Elvira con Silva e con lieti canti gli invitati attendono l'ingresso della sposa. Travestito da pellegrino e chiedendo asilo giunge Emani, i cui seguaci sono stati sgominati dai cavalieri del re. L'ospitalità è sacra per Silva che accoglie benignamente lo sconosciuto annunciandogli, inoltre, di essere in procinto di sposare la sopraggiunta Elvira. Sconvolto, nel veemente andante "Oro, quant'oro ogni avido" Emani offre come dono nuziale la propria testa (su cui è stata posta una grossa taglia) a Silva, rivelandogli nello stesso tempo la propria identità. Ma Silva, invece di consegnare il rivale ai soldati del re, si offre di proteggerlo in nome dell' ospitalità e si allontana per organizzare la difesa. Emani inveisce allora contro Elvira ritenendosi tradito nell'amore ma quando apprende che lei, avendolo creduto morto in battaglia, si sarebbe uccisa con un pugnale al momento delle odiate nozze con lo zio, si placa e, dolcemente, abbraccia l'amata intonando con lei l'idilliaca melodia "Ah, morir potessi adesso!". Silva, rientrando, li sorprende e con furia gelosa si avventa su di loro con un pugnale, ma all' annuncio dell' arrivo di re Carlo si trattiene e, fedele ai doveri dell' ospitalità, al termine di una concitata scena a tre fa entrare Emani in un nascondiglio segreto. Il re, sopraggiunto, gli ordina di consegnare il bandito ma, al netto rifiuto di Silva, minaccia che si vendicherà duramente (“Lo vedremo, veglio audace"). Si allontana poi, conducendo via come prezioso ostaggio l'implorante Elvira alla quale però rivolge con dolcezza un invito a seguirlo (“Vieni meco, sol di rose". Rimasto solo, Silva fa uscire Emani dal nascondiglio e lo invita a battersi con lui. li bandito, pronto a morire, chiede però di rivedere ancora una volta Elvira, ma quando apprende che il re l'ha condotta via con sé, rivela a Silva che Carlo è rivale di entrambi in amore. A questo punto, nonostante l'odio reciproco, tra i due viene stipulato un patto d'onore: Emani ucciderà il re ma poi, nel momento in cui Silva farà squillare un como da caccia, si toglierà la vita.
ATTO TERZO: LA CLEMENZA. In Aquisgrana, nei sotterranei sepolcrali in cui si trova la tomba di Carlo Magno. Un cupo e sommesso preludio ci introduce fra quelle tetre mura in cui Don Carlo, accompagnato da uno scudiero, è venuto a nascondersi per sorprendere e smascherare i ribelli che vi si sono dati convegno e che congiurano per ucciderlo proprio nel giomo in cui egli sta per essere eletto imperatore. Rimasto solo, dopo essersi abbandonato a riflettere malinconicamente sulla fugacità delle cose umane e della stessa giovinezza, si esalta al pensiero del potere assoluto che lo attende e che perpetuerà nei secoli il suo nome (“Oh de' verd'anni miei"). Carlo si è appena nascosto nel monumento funebre di Carlo Magno quando giungono, circospetti, i congiurati, tra i quali si trovano Silva ed Emani. Si stabilisce che la sorte designerà chi, fra tutti, dovrà colpire il re. li prescelto è l'esultante Emani. Pur di uccidere Carlo in sua vece, Silva si offre di sciogliere il patto mortale che ha stipulato con il bandito dichiarandosi anche pronto a donargli ogni suo avere, ma Emani è irremovibile, più che mai deciso a vendicare di propria mano la morte del padre. Mentre i congiurati prorompono in un infiammato inno patriottico (“Si ridesti il Leon di Castiglia"), tre colpi di cannone annunciano l'elezione di Don Carlo alla dignità imperiale. Questi esce allora dal suo funereo nascondiglio apparendo agli atterriti cospiratori come l'ombra di Carlo Magno. A rendere omaggio a Don Carlo, divenuto ormai Carlo V, giungono intanto sei Elettori e molti gentiluomini e dame, fra cui è Elvira. L'imperatore ordina l'immediato arresto dei cospiratori condannando a morte, tra essi, soltanto quelli di nobile lignaggio. Tra lo stupore generale, il bandito Emani avanza fieramente verso di essi con orgoglio, rivelandosi come Duca Don Giovanni d'Aragona, Grande di Spagna, e chiede di condividere la loro sorte. Elvira, sgomenta, si inginocchia dinanzi a Carlo e lo scongiura di essere generoso e di concedere la grazia ai prigionieri: l'imperatore decide allora di operare un atto di clemenza che lo renda degno del grande Carlo Magno e, perdonando tutti, conduce Elvira fra le braccia di Emani dando così l'avvio alla solenne conclusione corale dell' atto.
ATTO QUARTO: LA MASCHERA. Terrazzo nel palazzo di Don Giovanni d'Aragona in Saragozza. Tra danze e canti si festeggiano le nozze di Elvira con Emani. A turbare la generale letizia è però la sinistra presenza di una maschera in domino nero che si aggira con fare inquietante fra gli invitati. Quando, poco dopo, tutti gli ospiti si sono allontanati ed Elvira ed Emani hanno cominciato a scambiarsi alcune frasi d'amore, improvvisamente si ode per tre volte, sempre più vicino, lo squillo di un como. Emani è sconvolto ed intuendo la verità con una scusa fa allontanare momentaneamente Elvira per essere solo al momento dell'incontro con Silva. Ed ecco che l'uomo in domino, Silva appunto, gli si presenta ricordandogli l'orribile patto stipulato. Vano è ogni tentativo di commuoverlo (“Solingo, errante, misero") e l'unica scelta che il vecchio gli consente è fra il veleno e il pugnale. Inutile risulta anche il successivo intervento di Elvira che, disperata, con ogni mezzo cerca di indurre a pietà il vecchio inflessibile zio: concluso il terzetto finale, Ernani, fedele alla parola data, si immerge il pugnale nel petto mentre Silva esulta per la vendetta compiuta.