Il Piccolo Teatro di Milano presenta:
Filippo (1949)
Tragedia in 4 atti di Vittorio Alfieri
- Interpreti: Gianni Santuccio, Lilla Brignone, Giorgio De Lullo, Antonio Battistella, Alberto Bonucci, Eduardo Tontolo
- Scene: Gianni Ratto
- Costumi: Ebe Colciaghi
- Regia: Orazio Costa
Link Wikipedia
- Gianni Santuccio -.Lilla Brignone - Foto di scena
Programma di sala (pagine 12)
- ll Piccolo Teatro dalla nascita a oggi
- ll teatro alferiano
- Stendhal traduttore di Alfieri
- Nota al "Filippo"
- Parere dell'autore sul Filippo (Vittorio Alfieri)
- Il cast
Parere dell'autore sul Filippo
Benchè sia certamente cosa tragica assai, che un padre per gelosia si tragga ad uccidere il proprio figlio, pure questo soggetto, in se terribile, a me sembra poco capace di ottima tragedia: ma tale soltanto mi cominciò a sembrare gran tempo dopo di averla scritta; onde l'ho lasciata esistere, poichè ne avea durata la fatica: ma certo, dopo una qualche esperienza del teatro, non l'avrei più tornato a scegliere. La ragion principale per cui questo fatto mi pare poco teatrale, si è, che le passioni che lo cagionano non vi riescono suscettibili di quello sviluppo caldissimo, che solo fa scusare in palco le atrocità. Filippo in questa tragedia è geloso, ma non per amore; ed è mille volte più superbo, vendicativo, e crudele. Quindi la sua gelosia assume una tinta così cupa, ed egli così poco si esterna, che lo spettatore che non gli legge profondamente nell'anima (e questi saranno sempre i più), non può mai essere bastantemente commosso e riscaldato da quello ch'ei dice. Inoltre, la scellerata ipocrisia venendo si anch'ella ad unire alle sopraccennate atrocità, ne fa un tutto, terribilissimo sì, ma un carattere però (atteso il silenzio de' suoi mezzi) poco operante in apparenza, e perciò più assai proprio ad essere ampiamente narrato nella storia, che non da se stesso quà e là accennato nella tragedia. Nel medesimo modo, ma per altre ragioni, Carlo non può essere, o non può almeno mostrarsi caldissimo amante in questa tragedia: perchè nei costumi nostri, e più ancora nei costumi degli Spagnuoli d'allora, l'amor di figliastro a madrigna essendo in primo grado incestuoso ed orrendo, non si può assolutamente sviluppare, nè prestargli quel calore che dovrebbe pure avere in bocca di Carlo, senza rendere questo principe assai meno virtuoso; e quindi, come più reo, assai meno stimabile, e men compatito. Questo mio Carlo dee dunque moltissimo amare, ma contrastando sempre con se stesso e col retto, pochissimo dire: e quindi, non dovendosi egli mai interamente esalare, gli spettatori non verranno gran fatto commossi da una passione che egli sente bensì, ma non spiega. Tutte le ragioni addotte per Carlo, militano anche tutte per Isabella; ma con la fortissima tinta di più, che essendo ella donna e moglie, tanto più riguardata dee procedere, e mostrarsi perciò tanto meno appassionata, perfino nei soliloquj stessi: perchè un animo nato a virtù, neppur con se stesso ardisce pienamente sfogare una simil passione. Ecco dunque una tragedia, in cui i tre principali personaggi sono, qual per carattere, qual per dovere, tutti sempre in un certo ritegno, che non mostrandoli che mezzi, li dee far riuscir quasi freddi. Me ne sono avvisto anche scrivendola, e ho cercato di salvar la freddezza quanto più ho saputo. Confesso che non avendola io vista recitar bene, non posso dire se l'ho salvata in parte; ma son quasi certo, che in tutto non l'ho salvata; e che Filippo, Carlo, Isabella, e massime questi due, vanno lasciando all'uditore un desiderio ignoto di qualcosa più, che io pure non potea, o non sapea dar loro, senza cadere in altri errori più gravi; ove però alcuno ve ne abbia più grave che non è la freddezza. Ma nel dire io freddi, non ho inteso di dir gelidi; che se così li credessi, non esisterebbero, e non ne parlerei. Gli altri tre personaggi, nel loro genere, sono forse men difettosi, perchè dovendo in somma operare assai meno, si sviluppano pure assai più. Gomez, benchè atrocissimo e vile (ma egli era il favorito di un tal re), a chi non ha ripugnanza per questa specie di caratteri parrà nondimeno forse appunto quale doveva egli essere. Leonardo, introdotto nel solo consiglio, mi pare anche ritratto dal naturale. Egli è tuttavia un personaggio episodico; e ancorchè possa produr qualche effetto, non era però necessario all'azione. Perez, fenice de' Cortigiani, opera e parla come può e dee; ma se egli avesse qualche scena più con Carlo, potrebbero meglio svilupparsi tutti due, e quindi forse commoverebbero assai più. Non l'ho fatto, perchè la mia maniera in quest'arte (e spesso malgrado mio la mia natura imperiosamente lo vuole) è sempre di camminare, quanto so, a gran passi verso il fine; onde tutto quello che non e quasi necessarissimo, ancorchè potesse riuscire di sommo effetto, non ve lo posso assolutamente inserire. Dal totale di questi caratteri me ne risulta una tragedia, temo, di non molto caldo affetto, in cui l'orrore predomina assai su la pietà; e questo sarà per lo più il solito difetto delle presenti tragedie. Vi si aggiunga la troppa modernità del fatto, per cui questi CarIi e Filippi non sono ancora consecrati nei fasti delle eroiche scelleratezze; e che, per non essere consecrati ancora dal tempo, costoro suonano assai meno maestà negli orecchi, che gli Oresti, gli Atréi, e gli Edippi; e quindi pajono sempre aver presa in accatto la grandi-loquenza. Nella condotta del Filippo ci è pur anche dell'intralcio, ed ella mi sa di rappezzatura. Essendo questa la seconda tragedia ch'io scriveva, e pochissima pratica avendo io all’ora dello sceneggiare, non potrei certo dar sempre plausibil ragione di ciascuna scena. Il terzo e quart'atto serbano ancora, nella loro non esatta connessione presente, alcun vestigio dell’essere stati altrimenti prodotti; il quarto era terzo, e il consiglio stava nel quarto. Queste cose n0n si raggiustano mai benissimo, e tutto quello che non nasce intero di getto, si dee poi sempre mostrar difettoso agli occhi di chi acutamente discerne. Circa alla catastrofe di questa tragedia, io rimango molto in dubbio, se ella stia bene o male così. Bisognerebbe ch'io la vedessi ottimamente recitata più volte, per ben giudicarne. Quel che mi pare a lettura, e che sul totale mi pare d'ogni mio quint'atto, si è, che le catastrofi, nel solo stampato non ajutate dall’azione, non possono ottenere, nè per metà pure il loro effetto; essendo fatte assai più per gli occhi, che per gli orecchi. Ma di questa principalmente mi pare, che, o ella dovrà riuscire terribilissima, e non senza pietà frammista all'orrore; ovvero, per la fredda atrocità di Filippo, riuscirà fastidiosa fino alla nausea. Del che ne darà poi sentenza il tempo, e quel pubblico, che dopo me la vedrà ottimamente recitata.
VITTORIO ALFIERI