Grande Compagnia di Operette presenta:
Il paese dei campanelli (1989)
Operetta in due tempi di Virgilio Ranzato e Carlo Lombardo
- Interpreti principali: Sandro Massimini, Liana Rotter, Fulvio Massa, Sara Dilema, Zoe Incrocci
- Direttore Orchestra: Roberto Negri
- Coreografie: Elisabetta Melchiorri
- Scene: Massimo Randone
- Costumi: Francesca Brunetti
- Regia: Sandro Massimini
Programma di sala (pagine 16)
- Il paese dei campanelli (Pino Nugnes)
- Appunti di regia (Sandro Massimini)
- La trama
- I protagonisti
- Fotografie di Gianni Volpi
Appunti di regia
Quando si ripropone un’operetta, ci si richiama generalmente al periodo storico in cui è stata scritta. IL PAESE DEI CAMPANELLI ha visto la sua prima rappresentazione nel 1923 . Quindi durante gli “anni folli”. A mio parere proprio questa operetta sembra legata ad un periodo posteriore: gli anni ‘50. Ha il sapore delle grandi Riviste di quell'epoca. Allora si tendeva a sublimare l’aspetto divistico, a rendere ogni quadro sempre più spettacolare e sfarzoso. La fiera dell'effimero, per dirla con Nicolini. Ricordo la cura nel presentare i finali d'atto, il cromatismo esasperato dei costumi. Nessuno si sottraeva a questo indirizzo, neanche il grande Visconti in FESTIVAL. Anzi, fu proprio lui a volere che i “quadri” rappresentassero fatti culturali ben precisi (come la Fontana di Trevi) e nelle riviste di Michele Galdieri non mancavano mai granelli di cultura. Volendo accostare IL PAESE DEI CAMPANELLI a questa tradizione, ho portato il “quadro” di “Luna tu” a Delft, famoso luogo olandese dove si creavano piastrelle dipinte a mano in indaco su fondo bianco. A questa vaga traccia anni ‘50 è stato aggiunto un candore naive soprattutto nelle scene e nei costumi. La scenografia deve rimanere un supporto di disegno, di sfondo; i costumi creano una grande macchia di colore su basi azzurro polvere, bianco, grigio e cobalto. Se lo sfondo è naive, anche i personaggi sono visti in questa ottica. I loro stati d’animo, d’una semplicità infantile, ci richiamano al mondo dei giochi. Il solito clichè mi è parso sempre piuttosto stucchevole. I personaggi non avranno quindi una sola, piatta dimensione ma seguiranno sfumature più credibilmente fiabesche. Rimangono però nel testo quegli ammiccamenti che hanno fatto la fortuna di questa operetta: l’isola sperduta nell’oceano, il vagheggiamento di un mondo migliore. Il finale pessimistico è stato mantenuto per tornare, come un libro di favole impone, alla situazione quo-ante. E, per dare un revival completo di un’epoca, come poteva mancare la glorificazione finale, l’unico momento in cui si fondono palcoscenico e platea: la passerella. È la stretta di mano, non solo simbolica, fra chi ha assistito al gioco e chi se ne è reso protagonista. È vero, tutto ciò che è estraneo alla tradizione dell’operetta anni ‘20, ma si rende necessario se la lettura viene fatta attraverso le lenti dorate del grande Teatro di Rivista italiano.
SANDRO MASSIMINI