SCARANO s.r.l. presenta:
Napoli: chi resta e chi parte (1975)
Uno spettacolo di Giuseppe Patroni Griffi da "Caffè di notte e di giorno" e "Scalo marittimo" di Raffaele Viviani
- Interpreti: Massimo Ranieri, Angela Luce, Antonio Casagrande, Angela Pagano, Isabella Guidotti, Gigio Morra, Franco Acampora, Ezio Marano, Nicola Di Pinto, Corrado Annicelli, Girolamo Marzano, Roberto Pescara, Marina Ruffo, Leo Pantaleo, Mayla Doria
- Musiche: Raffele Viviani
- Orchestrazione: Fiorenzo Carpi
- Movimenti coreografici: Germano Moruzzo
- Scene: Ferdinando Scarfiotti
- Costumi: Gabriella Pescucci
- Regia: Giuseppe Patroni Griffi
Programma di sala (pagine 28)
- Viviani come Napoli (Antonio Ghirelli)
- Interpreti
- Locandina
- Alcuni giudizi della stampa
- Fotografie
Lo spettacolo di Giuseppe patroni Griffi “Napoli, chi resta e chi parte”, è stato creato per il XVIII Festival dei Due Mondi e rappresentato per la prima volta il 3 luglio 1975 a Spoleto.
Ecco alcuni giudizi della stampa dopo il debutto:
“Patroni Griffi ha visto Viviani come un autore europeo; non come un caso di sopravvivenza locale di un teatro che già esisteva, o che è sempre esistito, ma come un'esperienza drammatica innovatrice. Come una goccia in cui si riflettano, con crudele e livida crudezza di luce “vera”, tutte le buie onde sommovitrici del vasto oceano teatrale novecentesco. Ma la carta vincente del regista è un'altra: è lo stralunato, stravolto colore locale. Patroni Griffi non sottrae Viviani a Napoli e al suo dialetto. Al contrario, cerca di spremere da Napoli e dal colore di Napoli tutto ciò che in Viviani c’era di europeo”. Cesare Garboli (Il mondo)
“Lo spettacolo è tra i più alti della stagione. Schivando il facsimile delle oleografie, il regista ha spostato con un tratto di genio in un clima di Mitteleuropa la Napoli fredda e invernale e funerea dei due copioni e ha ravvicinato al cabaret espressionistico il caffè concerto che li pervade. La prostituta Celeste della formosissima Luce, capelli rossicci, veste azzurrognola a frange, sostituisce alla consueta sguaiatezza del ruolo, una rassegnata mestizia. Ranieri incarna diverse figure, scugnizzo, gagà, cafone, ma soprattutto ci piace nelle spoglie del guappo. A ripensarle a distanza tutte queste parvenze dei bassi, sembrano davvero evocate da una contrada larvale, come se Napoli con il suo sottosviluppo e gran varietà metafisico si immedesimasse col regno di Proserpina”. Angelo M. Ripellino (L'Espresso)
“In che cosa consiste la qualità della regia di Patroni Griffi che è riuscito - e pareva impossibile - ad andare oltre i risultati raggiunti otto anni or sono, con l’altro spettacolo su testi di Viviani, “Napoli notte e giorno”? Consiste, a mio avviso, nell'aver messo allo scoperto i fermenti europei che nutriva il teatro di questo originalissimo autore-attore. Brividi impressionistici corrono in entrambi gli atti: e ancora ci sono singolari anticipazioni (si veda il negriero di “Scalo marittimo” volutamente accostato assieme alla sua vittima Mincuccio, al pozzo e a Lucky di “Aspettando Godot”, o intuizioni rapide (l'uso della canzone che spezza il recitativo: e non per niente sono stati da tempo accennati parallelismo con l’uso del song che Brecht fece nelle sue commedie) quali non si riscontrano in altri autori italiani del tempo”. Carlo Emilio Poesio (La Nazione)
“La scena di Ferdinando Scarfiotti e i costumi di Gabriella Pescucci sprovincializzano Napoli: questo caffè frequentato da derelitti e visitato da ricchi viziosi evoca l’espressionismo: le luci del folklore partenopeo brillano ammiccando ed è palese che una ironia tenera ben consapevole, le sfuoca. Ogni naturalismo è bandito”. Carlo Laurenzi (Il Giornale)
“La serata spoletina ha avuto un esito trionfale. Ma direi che al centro della serata si è venuta a trovare la Compagnia che ha dato vita a questo Viviani, nella sua interezza. Sono quasi al completo gli stessi attore dell’altro Viviani di otto anni fa “Napoli notte e giorno”. II gruppo ha ritrovato lo stesso affiatamento e la stessa straordinaria concertazione. Ci sono attori che non si ha spesso occasione di vedere in palcoscenico e che hanno offerto momenti di grandissimo ed esemplare talento scenico, come Antonio Casagrande. Renzo Tian (Il Messaggero)
“Massimo Ranieri, uno strumento teatrale oltre che canoro, di grandissima precisione, sempre pari all'ironia delle invenzioni, persino tenero in certi spavaldi atteggiamenti da giovane padrone, vivace come uno scugnizzo di Gemito in certe altre rapide apparizioni”. Giorgio Prosperi (Il Tempo)
“Per Raffaele Viviani, Patroni Griffi è stato ed è qualcosa di più che un semplice interprete e regista. Fosse ancora vivo il poeta drammaturgo napoletano, sarebbe probabilmente in vita un altro binomio del tipo Prevert-Carné o De Sica-Zavattini ". Giorgio Polacco (Momento Sera)
“Vince la poesia di Viviani, che è anche la poesia delle sue canzoni, bellissime, orchestrate da Fiorenzo Carpi. Ed è la poesia che questi straordinari attori hanno addosso come sangue. Dovrei illustrare i meriti di Antonio Casagrande, Corrado Annicelli, Angela Luce, Angela Pagano, Franco Acampora, Nicola di Pinto, Roberto Pescara, Ezio Marano e di non so quanti altri? Se lo spettacolo girerà l'Italia li ammirerete tutti e vi accorgerete della bravura di Massimo Ranieri...” Carlo Maria Pensa (Epoca)
“Le opere di Viviani erano tagliate su misura sul suo talento di attore. Rimetterle in scena adesso, a distanza di mezzo secolo, crea problemi di stile, problemi sul modo di affrontarle. Coraggiosamente e con molta saggezza, Patroni Griffi ha messo da parte ogni tentazione di ricreare un teatro napoletano di cinquant'anni fa. Quindi ha usato i due atti unici, come base di una creazione del tutto nuova. Un balletto di parole, in cui certi rallenti creano un'atmosfera magica. Angela Luce va particolarmente lodata nella sua rossa e sontuosa raffigurazione della prostituta nel Caffè”. William Weaver (Financial Times Londra)
“Quando di colpo compaiono, dietro i personaggi, accese con minutissime lampadine colorate come alle feste di Piedigrotta, ora la magica luna sul mare, o l'immagine gloriosa del golfo col Vesuvio che erutta, o la Vergine che irradia miracoli, la sgargiante materializzazione di questo inconscio collettivo, diventa folklore sistematizzato, gigantografia luminosa che si accende scandendo i moti del cuore. Ma tutto questo con ironia, senza coinvolgimento. Non lasciarsi incantare. Come un giansenistico bisogno di ascetica chiarezza: un odio larvato per quel che ci tocca non per elezione ma per destino. E' quello che mi colpisce di più della posizione odierna dell’autore di “D'amore si muore”. Gerardo Guerrieri (Il Giorno)
“A parte va considerato Massimo Ranieri. La sua immagine finale del povero emigrante Mincuccio Bellonese, rimasto sul molo a gridare inutilmente verso la nave invisibile, è una delle cose più notevoli e struggenti dello spettacolo. Inoltre, particolare non secondario, il profilo dell'attore-cantante richiama il guizzo spiritato del volto di Viviani-scugnizzo; somiglianza che la regia sfrutta poeticamente per aggiungere autenticità all'iconografia dello spettacolo”. Roberto de Monticelli (Corriere della Sera)