Da Teatro del Giorno - N. 4 - Aprile e Maggio 1950:
- Le rappresentazioni classiche a Siracusa
Autore: Redazione
LE RAPPRESENTAZIONI CLASSICHE A SIRACUSA
L'Istituto nazionale del Dramma antico, cui è demandato il compito della organizzazione delle rievocazioni classiche al teatro greco di Siracusa, ha definito tutto un vasto ed accurato piano di attività perché gli spettacoli di questa primavera costituiscano un avvenimento d'eccezionale interesse, cosi da continuare degnamente la tradizione. Quest'anno saranno rappresentate le “Baccanti” di Euripide ed “I Persiani” di Eschilo, secondo il seguente calendario: Baccanti: giorni 8, 10, 13, 17, 21 maggio; I Persiani: giorni 7, 9, 11, 14, 18, 20. Per le “Baccanti” è stata scelta la meravigliosa traduzione di Ettore Romagnoli, mentre per “I Persiani” quella di altissimo pregio lirico dovuta ad Ettore Bignone. Le musiche sono state composte da Giorgio Federico Ghedini per “I Persiani” e da Guido Turchi per le “Baccanti”. La coreografia, elemento di fondamentale importanza e di profonda suggestione per gli spettacoli classici siracusani, è stata affidata, come per gli anni precedenti, alla nota coreografa Rosalie Chladek con le sue danzatrici della scuola di Vienna. La scena ed i costumi per le “Baccanti” sono di Veniero Colasanti, mentre lo scenario ed i costumi per “I Persiani” sono di Giulio Coltellacci. La regìa per gli spettacoli è stata affidata a Guido Salvini. Dirigerà l'orchestra il Maestro Ernesto Raccuglia. Interpreti principali per le due tragedie sono: Antonio Crast, Sarah Ferrati, Arnoldo Foà, Vittorio Gassmann, Rolando Lupi, Eva Magni, Renzo Ricci, Elena Zareschi. Eccellenti artisti, che guidati dal Salvini, possono rendere, tutta la suprema bellezza e la tragicità dei due capolavori del mondo classico. Per consentire il massimo afflusso di spettatori a queste superbe manifestazioni dello spirito, che trovano a Siracusa la loro cornice più adatta, è stata concessa la riduzione ferroviaria del 30 per cento.
LE BACCANTI
Sul trono di Tebe, al vecchio Cadmo è successo il nipote Pentèo, figlio di Agave. Nei pressi della reggia, ancora fumanti i resti della casa di Semèle, altra cadmea, colpita dalla gelosia di Giunone per avere, da Giove, partorito Dionisio. Questi si è vendicato delle figlie di Cadmo, Ino e Agave, che avevano osato negare in lui l'origine divina, rendendole dissennate e spingendole, con le altre donne tebane, sui gioghi del Citerone, dove celebrano i frenetici riti che il giovane dio vuole introdurre nell'Ellade. Anche i due vegliardi, Cadmo e Tiresia, con tirso e corona d'ellera, folleggiano, invasi dal soffio del nume. Non così Pentèo che, ritenendo Dionisio un impostore, lo fa catturare e rinchiudere, legato, nelle stalle della reggia, che crolla per un terremoto suscitato dall'ira del dio. Intanto, un pastore, venuto dai Citerone, narra le gesta compiute colà, dalle Baccanti, e Pentèo si lascia indurre da Dionisio a travestirsi da donna per andare a spiare le Menadi. Ma, sul monte, le femmine, al grido di Dionisio, si lanciano su Pentèo e lo fanno a brani. Agave, ghermita la testa recisa del figlio, la porta a Tebe, conficcata sul tirso. Perché ritornino in lei i sensi smarriti nella follia bacchica; Cadmo le ingiunge di guardare l'etere, e Agave allora, rinsavita, può constatare l'orrendo scempio compiuto e fugge via. Esuli, per volontà del dio, andranno Cadmo con la consorte, tramutati in drago e in serpe.
Questa che, forse, fu l'ultima tragedia scritte da Euripide, per l'atmosfera quasi allucinante, da cui tutta è pervasa. Più che un dramma, è un mistero o, come fu giustamente detto, “una palinodia etico-religiosa”.
I PERSIANI
Nella piazza di Susa, ove è la reggia con le tombe degli antichi re persiani, sono adunati i vegliardi fedelissimi di Serse, asceso al trono dopo la morte del padre Dario. Sono angosciati, perché non giungono da gran tempo notizie del re e dell'armata in guerra contro la Grecia. Anche la regina, Atossa, vedova di Dario, che sopraggiunge, non nasconde la sua angoscia. Essa narra di aver visto, in sogno, l'ombra del re defunto e, al mattino, appressandosi all'ara per i sacri libami, un'aquila sopraffatta da uno sparviero. Per tali tristi presagi, si accinge ad evocare l'ombra del marito, per averne consigli; ma ecco giungere un messo che le annunzia la disfatta della flotta persiana a Salmina, la fuga del re e la rotta irreparabile dell'esercito. Atossa, e i vegliardi sono atterriti da questo messaggio. La regina, con le ancelle, prepara i sacrifici propiziatori per l'evocazione di Dario. E questi appare dalla propria tomba, rampogna la stoltezza di Serse, che ha mosso guerra ad Atene, e predice la sconfitta dell'esercito persiano a Platea. Dopo avere esortato a non prendere mai più le armi contro l'Ellade, l'ombra scompare. Mentre i vegliardi ricordano le gesta gloriose di Dario, arriva Serse, in misere vesti, che, in battute alterne col coro, erompe in lamenti disperati. Con questa tagica lamentazione di un popolo vinto, si chiude il dramma che Jerone I volle fosse messo in scena a Siracusa, dallo stesso Eschilo, ospite alle sua corte, intorno al 468. a. C., e che, di riflesso, celebra l’Ellade vittoriosa di una delle più grandi battaglie del mondo entico.