Da SIPARIO N. 212 - Dicembre 1963 - Numero speciale dedicato al TEATRO CABARET NEL MONDO
- IL CABARET IN ITALIA
Intervista a: Paolo Poli
Paoto Poli è il principale rappresentante italiano del "cabatet letterario" e sempre si è mantenuto fedele al suo stile dagli inizi a Genova alla "Borsa d'Arlecchino" diretta da Aldo Trionfo (dove i numeti mimati si alternavano alla rappresentazione sceneggiata dei canti trobadorici, alle poesie di Sandro Penna o di Palazzeschi, agli atti unici dell'avanguardia francese) fino ai recital presentati successivamente al Gerolamo (Mamma voglio iI cerchio, Il novellino, Il diavolo, ecc.). Nell'ultimo recital citato, accanto a brani del Marchese di Sade e alle canzoni del Festival di Assìsi, figuravano anche dei canti anarchici o di protesta di cui diamo qui un esempio. La prima canzone fu scritta in carcere verso il 1900 e ne è uscita l'edizione discografica nella serie "Canti di protesta del popolo italiano" a cura di S. Liberovici; Regina Coeli allude allo scandalo della Banca Romana (1892-93) ed è pubblicata nei "Dischi del sole" cutati da R. Leydi. (Nella fotografia Poli e Claudia Lawrence, interpreti di "La gattina" di R. Carrieri.
INCHIESTA SUL CABARET IN ITALIA – Risponde Paolo Poli
1) Come si potrebbe definire secondo Lei il teatro cabaret?
2) Quale funzione attribuisce al cabaret rispetto al teatro tradizionale e nel quadro della vita culturale e politica italiana d'oggi e quali possibilità ritiene sussistano nel nostro paese dl esercitare concretamente tale attività?
3) Pensa che il cabaret possa favorire un'evoluzione verso un nuovo tipo di teatro, nel senso dl un mutamento strutturale dei testi recitati e della scena, della creazione di un rapporto inedito tra attore e spettatori e della cattura di un pubblico nuovo?
1) Detesto le definizioni, sanno di naftalina. E poi, finché le cose son vive, in campo teatrale, cambiano troppe facce e attraversano troppe fasi per poterle inchiodare con quattro patole. Prendiamo, ad esempio, Malaacea, Petrolini e Ia Valeri: è sempre teatro cabaret italiano, ma è forse la stessa cosa? Preferirei definire i Fescennini e le Atellane: anche quello era cabaret, a suo modo, ma c'è quel tanto di prospettiva storica... 2) Dipende da chi lo fa e da come lo fa, evidentemente. Alcuni scelgono iI cabaret-divertissement che passa sulla vita teatrale, culturale e politica del paese come l'acqua sulle penne d'un'anitra, altri si dedicano al genere "impegnato" e aggressivo, che può anche provocare piccoli terremoti (ma a questo punto non citerò il cabaret espressionista e le origini cabarettistiche di Brecht). Quanto a crederci... Lo faccio, no? E questo significa, spesso, rinunciare ad attività redditizìe per puntare tutto quanto si possiede, e magari un po' di più, su uno spettacolo, sperando che Dio e il pubblico ce la mandino buona. 3) Per rispondere in modo esauriente a una domanda simile si potrebbero scrivere ponderosi tomi, tipo Stanislavskij. Ad ogni modo a me pare che, oggigiorno, qualsiasi forma di spettacolo subisca, più o meno, I'influsso delle altre, o addirittura vada pescando quanto può venirle utile per accrescere i propri mezzi e la propria eficacia. Un processo simile porta senz'altro a mutamenti, formali e strutturali. Dal cabaret ci sono molte cose, buone e cattive, da "mutuare". Speriamo che si limitino alle buone. Quanto alla possibilità del cabaret di attirate un pubblico nuovo... il pubblico è sempre lo stesso: sta a noi dirgli cose nuove e fare in modo che le ascolti.