Da SIPARIO Num. 238 - Febbraio 1966:
- Valentino Mastroianni in un musical straniato
Autore: Luciano Codignola
GLI SPETTACOLI IN ITALIA - VALENTINO MASTROIANNI IN UN MUSICAL STRANIATO
L'altra grossa novità del mese è Ciao, Rudy al Sistina. Veramente, dovendo renderne conto, si è tentati di porsi la sola domanda che ci si pone quando si tratta di una rivista, cioè se fa ridere e se diverte o no. E siccome Ciao, Rudy non fa ridere e non diverte, forse non ci sarebbe altro da dire. Invece bisogna parlarne, perché questo spettacolo è un'impresa nata da una grande (e forse nobile) ambizione: dare all'Italia il musical. Quest'impresa, pare, era da tempo nei progetti di Garinei e Giovannini, i due valorosi scrittori di rivista che gli italiani di una certa età ricorderanno sempre con piacere. I due non hanno badato a spese. Hanno scelto il tema più solleticante, più misterioso, più mitico, più ricco (in potenza) del nostro passato prossimo: Rodolfo Valentino. Valentino è un nome collegato ptofondamente, nella nostra fantasia, all'ultima belle époque, che fu non solo ameticana ma mondiale e tanto affascinante quanto disastroso è stato il periodo che poi le segui - e tuttora dura. Tanto che vorremmo qualche volta esser vissuti in quegli anni, per poter capire, se possibile cogli occhi di oggi, che cosa fosse veramente quel tempo dorato e ruggente. Ma non basta. Garinei e Giovannini si sono associati a Marcello Mastroianni, cioè a un attore che ha una quotazione internazionale altissima, l'hanno convinto a imparare a ballare e a cantare, e l'hanno circondato di un cast di attrici degno di una grande compagnia primaria, dalla Borboni alla Villi alla Occhini alla Lojodice. I costumi e le scene li hanno aftdati a Coltellacci, le coreografe a Danny Daniels e a Catherine Dunham; la musica al M°.Trovaioli. In scena, un'intera orchestra, la New Orleans Jazz Band di Carlo LoIlredo. E un corpo di ballo meraviglioso... Insomma che si vuole di più. Ci si vorrebbe divertire, appunto. Una volta si andava a teatro per divertirsi, per ridere: ci hanno detto che non si deve, che non si può. Pazienza, c'era sempre il cinema. Nossignori, ci hanno spiegato che se è veramente buono non fa ridere. Abbiamo abbozzato, restava la rivista o magari il musical. Ma adesso neanche più questi. Oggi se uno vuol farsi due risate non gli resta che il Telegiornale, per esempio quando un ministro va all'estero e fa un discorso in francese. Purfroppo sono occasioni che capitano di rado. Torniamo a Rudy, cioè a Rodolfo Guglielmi detto Valentino. Non si vuol rubare il mestiere agli scrittori di riviste, ma insomma la storia di questo tipetto straordinario che arriva in America senza un soldo e in cinque anni fa una carriera sbalotditiva e trova anche il modo di morire al momento giusto, è già una storia curiosa, che autorizzava mille interpretazioni, purché lontane dal solito cliché e se possibile irriverenti e maIiziose (e la materia non mancava proprio). Invece s'è scelta la strada opposta. Il cliché è stato mantenuto anzi lo si è come mummifcato: però gli si è affiancato un personaggio nuovo, il Guglielmi da Castellaneta: tentando evidentemente di acchiappare con una sola fava tutto uno stormo di piccioni. E cioè: parecchio straniamento alla Brecht, un pizzico di effetti paleoavanguardistici tipo Piccola cìttà di Wilder, più una buona manciata di pirandellismo. Il tutto sulla solita solfa del povero emigrante italiano che va a far fortuna in America e ci riesce però non riesce a comprarsi un po' di terra; mentre la sua povera vecchia mamma restata a casa non fa neppure in tempo a godersi come meritava un po' del successo del figlio. Aggiungete poi donne e donnine, un po' di proibizionismo, un po' di jazz, un po' di tensioni razziali, un carabiniere in alta uniforme, e la maledetta appendicite che stronca il giovine sul fior degli anni. La minestra è pronta. Non si sa come, sono rimasti fuori Al Capone e la pasta di Napoli. Se Mastroianni avesse dei tans - ma non li ha perché è un attore serio - potrebbero forse divertirsi, un po' sadicamente, a vederlo alle prese con un personaggio che gli somiglia tanto poco; a sentirlo cantare con la voce che ha; a guardare il suo tip tap di quarantenne in forma (Valentino ne aveva venticinque, quando ballava). Dovrebbero però anche constatare che, al vivo, su un palcoscenico grande, l'immagine piena del Mastroianni cinematografico non riesce a incamarsi del tutto: al Sistina è un'altra cosa, un altro tipo di presenza. Ma che gioco ingrato e tortuoso gli è toccato: "Guglielmi non era Valentino - (e finn qui passi) - e io poi non sono neanche Guglielmi ma proprio io, Marcello Mastroianni, che mi voglio levare il gusto di recitare nella rivista, ricuperandola epicamente". E difatti se c'è stato un tempo in cui il teatro serio andava cercando i modelli di straniamento nella rivista e nell'avanspettacolo, oggi quel tempo è andato; oggi il circolo s'è chiuso, e tocca alla rivista, con la scusa del musical, ad andare a cercate i suoi modelli nella rivista come se l'immaginavano trent'ami fa Brecht e gli espressionisti. È proprio vero che a teatro non c'è di peggio che la cultura. E il pubblico? Il pubblico accorre e cerca anche di prenderci gusto; rimane abbagliato dalle scene sontuose, dai costumi bellissimil cerca dietro i personaggi appena appena abbozzati gli attori che vede in occasioni migliori: questa è la bella Occhini, questa nientemeno la Borboni, questa la Lojodice... Come se la caveranno? Se la cavano bene, se si pensa alle sciagurate battute che devono dire. Però anche qui siamo in pieno giuoco delle parti: la Villi si penseiebbe che è l'attrice più a suo agio, col suo passato di grande soubrette! invece no, la più riuscita è la Dandolo, che per quanto ne so soubrette non è mai stata se non al Piccolo di Milano, naturalmente con Brecht; e poi ha la voce e il talento che ha, e tutti gli applausi veri se li becca lei, e giustamente.