Teatro La Fenice di Venezia presenta:
Blaubart (1977)
Opera in un atto. Testo Georg Trakl - Musica di Camillo Togni
- Interpreti principali: Mario Basiola (Blaubart) Dorothy Dorow (Elisabeth) Giancarlo Luccardi (Vecchio) Luis Felipe Giron May (Ragazzo) Orchestra e coro Teatro La Fenice
- Maestro Concertatore: Karl Martin
- Regia: Maria Francesca Siciliani
- Maestro del coro: Aldo Danieli
- Scene e Costumi: Michele Canzoneri
- Figurazioni speciali: Gian Campi e Mario Zanotto
Programma di sala (pagine 120)
- Nello stesso programma "Il Mandarino Meraviglioso" - e "Hyperiun"
- Premessa al gioielliere Barbablù (Mario Bortolotto)
- Argomento
- Interpreti
- Fotografie
L'argomento
Nel febbraio del 1915 Rainer Maria Rilke - in una lettera a Ludwig von Ficker, redattore del «Brenner» - della poesia di Georg Trakl scriveva: «Un paio di linee segnano il limite dell'infinito Indicibile: così sono fatti questi versi. Sono come siepi in una terra in cui la parte delimitata si congiunge continuamente con una pianura cosÌ grande da non paterne immaginare i confini... L'esperienza di Trakl scorre come in immagini specchiate e ricolma tutto lo spazio, che è impenetrabile come lo spazio nello specchio» (trad. di Rodolfo Paoli).
Il testo del dramma di «Blaubart» che Trakl nel 1910 concepì per un complesso di burattini (la disperazione, per essere espressa, deve fingersi finta) comprende quattro personaggi: Barbablù, Elisabetta, il Vecchio e il Ragazzo (Herbert). L'opera si apre con un PROLOGO, che il Coro inizia e conclude attorno al fuggevole intervento delle apparizioni del Ragazzo, del Vecchio e di Barbablù. Le tre scene dell'opera si svolgono all'interno del castello di Barbablù. Nella I SCENA il Vecchio e il Ragazzo - quasi rifrazioni estreme della figura di Barbablù - assistono da una camera del castello all'uscita degli sposi dalla chiesa: al Ragazzo, in preda alle visioni ed ai presentimenti sempre più disperati dell'inaccettabile, il Vecchio risponde imperturbabile con la calma stanca saggezza dei suoi innumerevoli anni. La scena termina con il suicidio del Ragazzo; il Vecchio cade in ginocchio. La Rapsodia per orchestra allaccia la prima scena alla II SCENA, molto breve: entrano Barbablù ed Elisabetta, essa è in ansia per i presaggi avvertiti nelle luci e nelle voci. Barbablù schernisce e congeda il Vecchio, che piangendo si inchina davanti al suo signore, baciandogli le mani pallide e invocando per esse la misericordia divina. Il Rondeau di Vaillant, intermezzo tra la seconda e la terza scena, inserisce il testo originale del quattrocentista francese a mo' di madrigale galante scherzoso: si immagina una strada sotto le finestre del castello, dove passano e fanno buffonerie alcuni giovinastri nei panni dei « Moriskentanzer » di Erasmus Grasser (oggi allo Stadtmuseum di Mlinchen). La III SCENA si compone di sette pezzi: nel Preludio Barbablù, dopo l'apostrofe alla luna, vuole rincuorare la tremante Elisabetta e promette di cantarle una canzone, già altre volte udita in simile notte. La Canzone di Barbablù si suddivide in tre parti, la prima e l'ultima nel tono della ballata popolaresca e misteriosa, la parte centrale quasi soliloquio drammatico e minaccioso. Il Postludio dà inizio all'opera di seduzione di Barbablù, nella insinuante alternanza di immagini ora dolcissime ora roventi: amore, possesso, distruzione, sofferenza, coagulo di sensualità e raffinatezza. Il Canto di amore di Elisabetta è la bruciante testimonianza della offerta e della dedizione. La Transizione incomincia con il graduale spegnersi di tutte le stelle, cui segue - in risposta alle domande di Elisabetta sulla chiavetta d'oro al collo di Barbablù - la rivelazione del segreto della camera nuziale: «il suo segreto è putredine e morte, fiorito dalla più profonda miseria della carne ». Batte la mezzanotte e il Coro inserisce sommessamente il testo della VII poesia dell'Inno alla Notte dello stesso Trakl "fiori udii morire sulla terra". Il Delirando corre alla catastrofe del terrore di Elisabetta e della esaltazione di Barbablù e si conclude nella rima fatale: TOT (morte) NOT (sventura). Barbablù trascina Elisabetta in un abisso. Il Coro suggella la rima con un «GOTT» (Dio) urlato e tutto il Finale non è che una eco della vocale O. Sulla scena, dapprima rimasta vuota e sempre più oscura, riappare Barbablù insanguinato; come ebbro compie alcuni passi e cade quasi falciato davanti ad un Crocifisso: nel silenzio e nella tenebra la voce di Barbablù si spegne sussurrando: GOTT.