I LEGNANESI presentano:
Il cortile dei miracoli (1979)
Due tempi di Felice Musazzi
- Interpreti: Felice Musazzi, Tony Barlocco, Renato Lombardi, Gigi Campisi, Giuseppe Parini, Luigi Zoni, Alberto Destrieri, Mario Lino, Ciro e la Compagnia de I LEGNANESI
- Musiche: Giampiero Ziglioli
- Coreografie: Tony Barlocco
- Scene e Costumi: Angelo Poli
- Regia: Felice Musazzi
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Foto di scena
Programma di sala (pagine 48)
- In principio e prima di tutto era il cortile
- I travestiti della brianza (Annarosa Pedol)
- Il programma
- La Compagnia
- Glossario dialettale
- Fotografie di Gabriele Colombo
I travestiti della brianza
Tra i talenti di Fellini universalmente apprezzati risalta la pigrizia. Eppure il gran Federico se ne andò, interrompendo le riprese di “Amarcord”, ad assistere ad una delle loro prove “perché - dichiarò ai teatranti sbalorditi - voglio capire come fate a comunicare così direttamente con il pubblico”. La stessa domanda l'hanno fatta, ai Legnanesi, Flaiano, Soldati e Visconti. Ma, per l'amordiddio, e per dare a ciascuno il suo, a scoprirli non sono stati né Fellini né Visconti, ma, l'Alberto Arbasino che li scovò in Brianza; quindi se ne innamorò, non a Taranto ma a Milano, quindi li seguì assiduo e - ci tiene enormemente a farlo sapere, lui che ha un rapporto misterioso con la sua anagrafe - almeno per venti dei trent'anni che li hanno visti bruciare a Milano i record di incassi. E' questa forse l'unica eccezione di teatro privato in un sistema teatrale interamente pubblico, se pubblico è ciò che si sovvenziona con denaro di tutti e privato ciò che si mantiene con i suoi soli mezzi. Mai un soldo di finanziamento, mai un contributo e il “tutto esaurito” non per tre giorni, ma per trent'anni, appunto. I Legnanesi, la sola istituzione che non appartenga né al Comune, né allo Stato, ma solo e unicamente al suo pubblico o, forse, al pubblico e basta, è un teatro di soli uomini che non vuole dire affatto un teatro per uomini soli, un teatro “en travesti”, che non vuole dire affatto un teatro “gay”. Sono travestiti da donne vere, popolane o “parvenues” come la Teresa e la Mabilia che, attraverso stàgioni e “tournée”, rinnovandosi e restando fedeli a sé stesse hanno inventato (hanno “messo su” direbbero dalle loro parti) una straordinaria macchina di spettacolo che come recita il nostro Alberto: “Supera vittorioso l'esame del nazional-popolare ed è assolutamente appostissimo dal punto di vista del kitsch”. Chi non si accontentasse di ciò che gli piace, e i Legnanesi piacciono, e desiderasse essere rassicurato da illustri ascendenze ricorderà che il travestirsi in teatro è cosa antica e diffusissima in ogni angolo del mondo, e che ha invaso un po' tutti i generi, dal melodramma al café-chantant. Nato dall'imposizione del tabù etico-religioso che vietava alle donne l'esibizione pubblica e il lavoro promiscuo in scena, il travestitismo raggiunse nel teatro elisabettiano una perfetta soluzione divenendo una costante espressiva che influenzava in modo sostanziale le intuizioni artistiche, le scelte drammaturgiche e il lavoro di palcoscenico. All'origine di questo nostro teatro dei Legnanesi c'è la stessa proibizione di ammettere le donne al palcoscenico. La stessa soluzione, lo stesso aggiramento dell’ostacolo incontrato prima e da altri si ripropone dove l’ostacolo era risorto. Un veto posto dal Cardinal Shuster sul finire degli Anni Quaranta, impediva che i luoghi femminili della “farsa scritta” da Felice Musazzi capocomico dei Legnanesi fosse interpretata da donne. Ma il fiuto teatrale di Shuster si dimostrò formidabile: mai veto doveva dimostrarsi – per quel che almeno ci riguarda – più “ispirato”. Qualcuno di noi per non mandare la recita a monte vestì abiti femminili. Il successo fu clamoroso. Da allora la farsa che raccontava la storia di gente senza storia, dei “povericrist”, che nasceva dal cortile dando voce all'universo del quotidiano, attraverso i personaggi di Teresa, la madre, intrepida, arrabbiata ed esplosiva, in zoccoli grembiule e crocchia grigia e Mabilia, la figlia, regina e vittima di tutte le illusioni del consumismo e del boom - quasi maschere della commedia dell'arte - è diventata oggi una gran rivista con costumi e scenografie opulente. Ha preso vita il sogno sognato da sempre della Mabilia di fare non più e non solo la miss ai concorsi di bellezza, non più, e non solo di andare in fabbrica coi tacchi a spillo e in risaia con le volpi e le piume, ma di fare finalmente, non senza le scale e le dodici girls dodici, di fare, lei, la Mabilia, l'entrata della Wandissima. Niente da invidiare quindi alla Grande Eugène di Parigi, al Roky Horror Show di Londra o a gran parte del teatro ispirato al gusto “camp” nordamericano, perché è fuor di discussione che anche rispetto a questo, come dice l'esegeta, siamo appostissimo.
Annarosa Pedol - Tratto da ODISSEA 2000