Mario Chiocchio presenta:
Il gabbiano (1990)
Di Anton Cechov
- Interpreti principali: Gastone Moschin, Marzia Ubaldi, Gabriele Duma, Umberto Cristofari, Emanuela Moschin, Guido Cerniglia
- Versione: Masolino D'Amico - Mario Missiroli
- Cordinamento musicale: Paolo Terni
- Scene e Costumi: Enrico Job
- Regia: Mario Missiroli
Link Wikipedia
Foto di scena
Programma di sala (pagine 28)
- Il gabbiano secondo Masolino D'Amico
- Profilo biografico
- Vita attraverso le lettere
- Fotografie di Paolo Porto
Il gabbiano secondo Masolino D'Amico
Delle quattro grandi commedie di Anton Cechov – “Il Gabbiano”, “Zio Vania”, “Tre sorelle”, “Il giardino dei ciliegi” - la prima viene talvolta considerata, malgrado il grande scandalo che suscitò al debutto, la meno innovatrice, la più legata a qualcosa come una trama convenzionale e ad un colpo di scena (prima le fu rimproverato che non vi «accade» nulla, poi ci si accorse che dopo tutto alla fine il protagonista si uccide!). Essa fu in ogni caso importantissima anche per la genesi delle altre: senza il suo recupero da parte di Stanislavskij e del suo Teatro d'Arte, un paio di anni dopo il clamoroso fiasco della prima, Cechov avrebbe certamente abbandonato la drammaturgia, e non avrebbe rielaborato il copione giovanile da cui sarebbe nato “Zio Vania”, ne avrebbe scritto i due ultimi testi sublimi. Ma i motivi per visitare “Il Gabbiano” vanno ben oltre la sua collocazione, diciamo così, alle origini del Cechov maggiore, cosa del resto confermata dalla frequenza con cui questo lavoro sempre amatissimo dal pubblico viene riproposto in tutto il mondo. Indicherei uno di questi motivi nella presenza di alcuni temi appassionanti che Cechov tratta solo qui, come per esempio quello del contrasto tra giovani e anziani - il mondo di Kostantin e Nina, fervidi, incerti, sprezzanti dei compromessi, bruciati dalla sensazione di avere già vissuto anche troppo, e il mondo di Madame Arkadina e di Trigorin, egoisti, frivoli, superficiali, ma anche attraenti e adorati da tutti - ovvero quello dell'arte e degli artisti, con gli affermati Arkadina e Trigorin trincerati nei loro privilegi e avidi solo di successo, Konstantin intransigente nella sua ambizione di assoluto, Nina desiderosa di emancipazione e di libertà attraverso la professione di attrice. Sottofondo a tutti i contrasti è poi il tema perenne e sommesso dell'amore, quasi sempre sbagliato, quasi sempre infelice: Medvedenko ama Mascia, che ama Konstantin, che ama Nina, che si innamora di Trigorin, il quale decide freddamente vivere questa passioncella come lo spunto per un breve racconto, senza rinunciare nel frattempo agli affetti di Madame Arkadina... Ma a parte la ferrea struttura che sorregge quasi invisibilmente i quattro atti in apparenza fatti di niente, di piccole banalità quotidiane legate a una vita di villeggiatura - una recita, una partenza, un arrivo, una tombolata - questa commedia, come e forze ancora di più delle altre di Cechov, vive grazie alla shakespeariana serenità con cui l'autore lascia parlare e agire i suoi personaggi senza interferire con loro, ossia senza approvarli e senza condannarli. Le occasioni che “Il Gabbiano” fornisce a interpretazioni sempre nuove sono infinite, perché è proprio come accade quasi sempre nella vita (e nell'arte, quasi mai), nessuno è riducibile a una dimensione sola. In altre parole, nessuno è totalmente buono, ne totalmente cattivo, nessuno ha del tutto torto e nessuno ha completamente ragione. Si può fare di Trigorin, come lo fece il suo primo interprete Stanislavskij, un uomo elegante, raffinato, intelligente, irresistibile; ma può anche darsi che sia solo la piccola provinciale Nina a vederlo così, e l'attore potrà quindi scegliere, invece, di sottolineare la meschinità, la sordidezza. L'avarizia, il bisogno di protagonismo, il rifiuto di invecchiare di Madame Arkadina sono certo sgradevoli difetti; ma sono difetti che chi le sta intorno perdona volentieri in virtù della forza, della vivacità e di altre doti femminili che mettono la madre di Konstantin ben al di sopra della banalità. E alla fine Konstantin si uccide perché è diventato un vero artista e ha scoperto che questo non gli basta, o perché sa di avere fallito? E Nina che è diventata attrice, ma in provincia, ha risolto il suo destino o è sprofondata in un abisso? Questi interrogativi sono naturalmente destinati a rimanere aperti per sempre, ogni risposta non potrà soddisfare che sul momento, relativamente a quel pubblico, a quello spettacolo; la vera grandezza di Cechov sta nella sua disponibilità ad essere letto da tante angolature, e per quanti “Gabbiani” si siano visti, e molti sono stati memorabili (quale altro autore moderno ha stimolato attori e registi con la costanza di Cechov?), non ce n'è mai stato uno che non fosse perlomeno interessante, così come non ce n'è stato uno “definitivo”.
Delle quattro grandi commedie di Anton Cechov – “Il Gabbiano”, “Zio Vania”, “Tre sorelle”, “Il giardino dei ciliegi” - la prima viene talvolta considerata, malgrado il grande scandalo che suscitò al debutto, la meno innovatrice, la più legata a qualcosa come una trama convenzionale e ad un colpo di scena (prima le fu rimproverato che non vi «accade» nulla, poi ci si accorse che dopo tutto alla fine il protagonista si uccide!). Essa fu in ogni caso importantissima anche per la genesi delle altre: senza il suo recupero da parte di Stanislavskij e del suo Teatro d'Arte, un paio di anni dopo il clamoroso fiasco della prima, Cechov avrebbe certamente abbandonato la drammaturgia, e non avrebbe rielaborato il copione giovanile da cui sarebbe nato “Zio Vania”, ne avrebbe scritto i due ultimi testi sublimi. Ma i motivi per visitare “Il Gabbiano” vanno ben oltre la sua collocazione, diciamo così, alle origini del Cechov maggiore, cosa del resto confermata dalla frequenza con cui questo lavoro sempre amatissimo dal pubblico viene riproposto in tutto il mondo. Indicherei uno di questi motivi nella presenza di alcuni temi appassionanti che Cechov tratta solo qui, come per esempio quello del contrasto tra giovani e anziani - il mondo di Kostantin e Nina, fervidi, incerti, sprezzanti dei compromessi, bruciati dalla sensazione di avere già vissuto anche troppo, e il mondo di Madame Arkadina e di Trigorin, egoisti, frivoli, superficiali, ma anche attraenti e adorati da tutti - ovvero quello dell'arte e degli artisti, con gli affermati Arkadina e Trigorin trincerati nei loro privilegi e avidi solo di successo, Konstantin intransigente nella sua ambizione di assoluto, Nina desiderosa di emancipazione e di libertà attraverso la professione di attrice. Sottofondo a tutti i contrasti è poi il tema perenne e sommesso dell'amore, quasi sempre sbagliato, quasi sempre infelice: Medvedenko ama Mascia, che ama Konstantin, che ama Nina, che si innamora di Trigorin, il quale decide freddamente vivere questa passioncella come lo spunto per un breve racconto, senza rinunciare nel frattempo agli affetti di Madame Arkadina... Ma a parte la ferrea struttura che sorregge quasi invisibilmente i quattro atti in apparenza fatti di niente, di piccole banalità quotidiane legate a una vita di villeggiatura - una recita, una partenza, un arrivo, una tombolata - questa commedia, come e forze ancora di più delle altre di Cechov, vive grazie alla shakespeariana serenità con cui l'autore lascia parlare e agire i suoi personaggi senza interferire con loro, ossia senza approvarli e senza condannarli. Le occasioni che “Il Gabbiano” fornisce a interpretazioni sempre nuove sono infinite, perché è proprio come accade quasi sempre nella vita (e nell'arte, quasi mai), nessuno è riducibile a una dimensione sola. In altre parole, nessuno è totalmente buono, ne totalmente cattivo, nessuno ha del tutto torto e nessuno ha completamente ragione. Si può fare di Trigorin, come lo fece il suo primo interprete Stanislavskij, un uomo elegante, raffinato, intelligente, irresistibile; ma può anche darsi che sia solo la piccola provinciale Nina a vederlo così, e l'attore potrà quindi scegliere, invece, di sottolineare la meschinità, la sordidezza. L'avarizia, il bisogno di protagonismo, il rifiuto di invecchiare di Madame Arkadina sono certo sgradevoli difetti; ma sono difetti che chi le sta intorno perdona volentieri in virtù della forza, della vivacità e di altre doti femminili che mettono la madre di Konstantin ben al di sopra della banalità. E alla fine Konstantin si uccide perché è diventato un vero artista e ha scoperto che questo non gli basta, o perché sa di avere fallito? E Nina che è diventata attrice, ma in provincia, ha risolto il suo destino o è sprofondata in un abisso? Questi interrogativi sono naturalmente destinati a rimanere aperti per sempre, ogni risposta non potrà soddisfare che sul momento, relativamente a quel pubblico, a quello spettacolo; la vera grandezza di Cechov sta nella sua disponibilità ad essere letto da tante angolature, e per quanti “Gabbiani” si siano visti, e molti sono stati memorabili (quale altro autore moderno ha stimolato attori e registi con la costanza di Cechov?), non ce n'è mai stato uno che non fosse perlomeno interessante, così come non ce n'è stato uno “definitivo”.
MASOLINO D'AMICO
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