Compagnia Stabile del Teatro Ghione presenta:
Il malato immaginario (1986)
Di Moliére
- Interpreti: Renato De Carmine, Ileana Ghione, Gianni Musy, Mico Cundari, Maretta De Carmine, Bianca Galvan, Valentina Turi, Roberto Chevalier, Anglo Lelio, Toni Orlandi, Luciano Turi
- Traduzione: Luigi Lunari
- Musiche: Christopher Axworthy
- Scene: Eugenio Guglielminetti
- Costumi: Daniela De Carmine
- Regia: Mario Morini
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Programma di sala (pagine 36)
- Il Malato Immaginario (J. Copeau)
- Note di regia (Mario Morini)
- I medici a Parigi ai tempi di Molière (Jacques Wilhlm)
- Cronologia della vita e delle opere di Molière
- Stagione 1986/87
Note di regia
"Nel piccolo mondo del Malade imaginaire sembra veder naufragare il mito solare dell'età di Luigi XIV. Ed è un naufragio in uno stagno alquanto limaccioso. AI grande tema dell'esaltazione della luce, alla cui celebrazione teatrale aveva partecipato anche Molière, qui si succedono toni sporchi, nerastri, alla Daumier. Ai costumi che nei balletti glorificavano lo splendore della luce, costumi d'argento, di velluto, di raso, carichi di ricami, di ornamenti, di pietre preziose dai colori accesi con alti turbanti ornati di pennacchi e di fiori, qui si sostituiscono i tetri, umilissimi oggetti che popolano la camera di un malato, gli abiti consunti dall'abitudine col proprio male e con i suoi immondi rimedi”.
Così scrive Giovanni Macchia nel suo bel saggio su "Il malato immaginario" di Molière e in questa cupa atmosfera senza luce si consuma la storia di un personaggio eterno: Argante, il malato, un uomo che adagio, adagio, si è costruito un guscio protettivo, il nero guscio della malattia, rifugio putrescente dalla realtà che, per l'uomo, ha come punto estremo e inevitabile la morte. Argante esorcizza la paura della morte attraverso la malattia, il suo unico credo è la scienza, in quanto la sola arma che l'uomo ha per opporsi e allontanare la morte. In questa nera stanza Argante sembra essere solo col proprio corpo, un corpo che non gli concede un attimo di tregua, un corpo che egli è costretto costantemente a spiare per avere la certezza d'esistere. Argante è malato nei sentimenti è un gigantesco monolite d'egoismo, incapace d'amare e quindi di vivere. Incontrarlo è incontrare, sotto le spoglie estreme del paradosso, l'Egoismo ottuso dell'uomo d'oggi tutto teso nell'ascolto di se stesso e nel tentativo disperato e ridicolo di cancellare in un vitalismo estenuante la morte. Il protagonista de "Il Malato immaginario" sembra essere la summa dei grandi personaggi molièriani, in lui convivono la disperazione di Alcesti, l'ipocrisia di Tartuffo, l'avarizia di Arpagone. Argante è l'essenza estrema e congiunta di tutti questi personaggi, non è solo una parte di Molière, ma è, forse, tutta la sua opera. E questo personaggio gigantesco, assiduo frequentatore dei palcoscenici di tutto il mondo, non è forse un po’ parente nei suoi ripetitivi percorsi (poltrona, comoda, letto quando si tormenta chiedendosi "dodici passi in lungo o in largo"), nel suo degrado fisico, nella sua chiusura all'aria del mondo, nel suo rinchiudersi in una sfera egotista che funzionalizza la presenza degli altri alle proprie esigenze, non è forse un po' parente dei beckettiani Winnie, imprigionata nel suo buco, del dispotico Hamm, di Vladimiro ed Estragone ancorati nel loro spazio di terra dove aspettano? Ma Molière tesse il suo prezioso telo drammaturgico coi fili della farsa, del gioco d'amore, della comicità, del dramma, della commedia di costume. Veste i suoi personaggi con la lucidità di un uomo che sa cogliere il tempo in cui vive; li segna con i toni cristallini del ragionamento filosofico beffeggiandone l'ottusa cecità al futuro, li accompagna dolci e liberi nelle storie d'amore, li punisce con la sferza della burla e, impudico, si stupisce di un mondo nel quale "non ci sono più bambini". Accanto ad Argante vive Tonina, unico contatto di Argante con il reale, un personaggio di serva che viene da lontano, più raffinata della Martine de "Les femmes savantes", meno esuberante della Nicole de "Le bourgeois gentilhomme", più determinata nell'azione della Dorine de "Le tartuffe", in Tonina soffia vitale e impetuoso il vento dell'irriverente intelligenza di Sganarelle. La voce di Molière squarcia il velo della finzione nelle parole di Beraldo, specchio, coscienza critica del fratello Argante, ma più ancora momento di paradosso e di crudele autoironia. Il sangue di Molière scorre nelle vene sia di Argante, sia di Beraldo che sa vedere la società che lo circonda con gli occhi presbiti dell'intellettuale capace di rendere palpabile l'utopia della libertà. Tuttavia, né le trame ordite da Tonina, né l'intelligenza di Beraldo, anche quando si trasforma in burla, riusciranno a sottrarre Argante dal guscio impenetrabile della sua malattia. Riusciranno, forse, solo a trasformarsi per un momento in sogno, un'allucinazione, un'illusione, un breve incubo dal quale Argante esce nella condizione in cui vi era entrato, perché la burla che gli gioca l'esterno non potrà mai essere così assoluta come quella che Argante ha giocato a se stesso quando ha scelto di rifugiarsi nel linguaggio vischioso di una malattia immaginaria.
MARIO MORINI