Il Piccolo Teatro di Milano presenta al Teatro dell'Arte:
Il Re dagli occhi di conchiglia (1962)
- Interpreti: Gian Maria Volontè, Relda Ridoni, Gastone Bartolucci, Egisto Marcucci, Delia Bartolucci, Carlo Cattaneo, Pietro Buttarelli, Carla Bonavera, Mara Dragoni, Luigi Castejon, Angelo Barcella
- Musiche: Raoul Ceroni
- Scene e Costumi: Mario Chiari
- Regia: Ruggero Jacobbi
Programma di sala (pagine 16)
- La stagione 1961/1962
- Le ragioni di una rassegna (Il Piccolo Teatro)
- Africa: poesie e storia (Luigi Lunari)
- Luigi Sarzano
- Il cast
- Il Piccolo Teatro dal 1947
Africa: poesie e storia
Nel cortile di un'immaginaria reggia africana Luigi Sarzano ha ambientato la vicenda del “Re e dagli occhi di conchiglia”. Tra queste mura, davanti al trono del re e al cancello che dà sullo spazio aperto del regno, rivive nella sintesi drammatica una tragedia più volte ripetuta con lievi varianti nella realtà, una tragedia che dalle pagine dei giornali ha spesso attratto la nostra attenzione, anche se - deformata dalla contradditorietà delle versioni o dalla nostra ignoranza di quel mondo tanto diverso e lontano - non sempre ci è riuscito di coglierne esattamente il senso. E' la tragedia dell'Africa; il dramma di un popolo immenso che abita una terra immensamente ricca e che altri popoli più civili hanno depredato 'per secoli, ma che già sta acquistando piena coscienza di se stesso e delle proprie infinite prospettive, e lotta contro il duro giogo che l'opprime per affermare e tradurre in pratica il proprio diritto ad un modo d'essere libero ed autonomo. Dramma a lieto fine, poiché è legge della storia che le lotte per la libertà si concludano sempre come giustizia vuole, ma dramma pur sempre, per il tanto sangue, le tante sofferenze, le lotte che hanno accompagnato c ancora accompagnano la lunga marcia verso la libertà e la pace di questa sterminata armata nera. La tragedia dell'Africa rivive dunque nel “Re dagli occhi di conchiglia”. Rivive stilizzata, ordinata nell'invenzione drammatica, racchiusa nelle tre classiche unità, senza pretendere ad una naturalistica verosimiglianza, ma mirando a una più intima e sottile aderenza alla realtà. E infatti l'Atlaché, il Notabile Anziano, il Colonnello e il Re Ebony Nel hanno colori e toni di favola, ma i loro conflitti sono quelli tragici che scuotono l'A Erica; una loro battuta sarcastica, un loro bisticcio stanno a significare lotte di anni, montagne di morti. E lo spettatore altento non faticherà certo a riconoscere nei vari protagonisti di questo dramma i simboli delle forze che davvero si scontrano in Africa. Vi è l'Attaché: freddo e crudele nella sua raffinata e machiavellica intelligenza, è il portavoce dell'imperialismo, che in cambio di secoli d'oppressione offre la facile adulazione e la vaga promessa. Vi è il Notabile Anziano: il vecchio ministro indigeno ancora legato all'Africa delle usanze native e, dei crudeli riti della selva, chiuso all'idea del progresso, che vede nella liberazione dal dominio dei bianchi soltanto l'occasione per un ritorno all'antica vita tribale. Vi è Padre Francesco, pateticamente legato alla sua quieta e paziente opera di missionario, in un mondo in cui ormai solo la violenza - nel bene come nel male - può avere speranza di riuscita. Vi è il Colonnello, che a differenza del Notabile Anziano ha ben chiara la visione di un'Africa unita c cosciente, aperta al progresso, affrancata si dal dominio oppressivo dei bianchi ma anche dai riti selvaggi della foresta. E vi è infine Ebony, il re nero che ha studiato tra i bianchi, e che è rimasto a mezzo tra l'Africa e l'Europa, incapace ormai di comprendere il linguaggio dei tam-tam del suo popolo, pieno si di un sincero amore per quei suoi sudditi al di là del cancello, ma di un amore che non trova chiarezza d'idee su cui fondarsi per farsi attivo e benefico, e che si rivela anzi oppressivo, poiché è su di esso che specula - corrompendolo in vuota ed isterica retorica paternalistica - la bramosia imperialistica dei bianchi. E non stupisce che proprio questa figura di uomo e re sbagliato, disperatamente solo nel suo duplice ruolo di oppressore e di vittima (l'unico nel dramma ad essere e l'una cosa e l'altra), sia stata quella che ha suscitato la maggiore attenzione dell'autore e chc più si sia accattivato il. suo all'etto partecipe di poeta. Ma neppure potrà stupire che alla fine, quando Ebony cade - come fatalmente deve cadere - vittima delle proprie contraddizioni, l'autore stesso ne pronunci con le parole del Colonnello la dura condanna: “Ebony era servo e criminale”. La verità ha le sue leggi; e al di là di ogni partecipe comprensione per l'ineluttabilità del tragico fato di Ebony e per la sua aperta buona fede, il giudizio nasce come constatazione obbiettiva di una realtà che è al tempo stesso della poesia e della storia.
LUIGI LUNARI