La treenmme spettacoli s.r.l. presenta:
Il senatore Fox (1986)
Due tempi di Lugi Lunari
- Interpreti: Renzo Montagnani, Gianni Bonagura, Anna Canzi, Flaminia Lizzani, Massimo Bagliani, Marino Campanaro, Enrico Baroni
- Musiche: Renato Sellani e Giulio Libano
- Scene: Roberto Comotti
- Costumi: Roberto Comotti - Milena Mazzotti
- Regia: Augusto Zucchi
Link Wikipedia
- Renzo Montagnani - Gianni Bonagura - Foto di scena
Programma di sala (pagine 28)
- Appunti di regia (Augusto Zucchi)
- Note d'autore (Luigi Lunari)
- Rassegna stampa
- Il cast
- Studio per la scenografia
- Fotografie di Ivano Corazza
Nota d'autore
La "buona educazione" vorrebbe che l'autore (pardon: l'Autore) si rifiuti di parlare della propria opera, trincerandosi dietro le affermazioni che l'opera stessa deve parlare da sé; che le eventuali intenzioni non servono a nulla se non sono poi confortate dai fatti; che il pubblico non va condizionato con giudizi e avvenimenti a priori. Tutto questo è verissimo; ma è anche vero che un'opera teatrale comunque da sé, che le parole preventive scorrono come acqua fresca sulla rappresentazione, e che se bastasse l'imbonimento sui programmi a far di una commedia quello che non è, potremmo sopprimere la voce "Crisi della drammaturgia" dalla lunga lista delle crisi di cui soffriamo. Qualche informazione, dunque sul Senatore Fox. È una commedia brutalmente contemporanea, con tanto di nomi e di fatti tratti dalla cronaca del nostro tempo. A molti, il sentire in una commedia il nome che so io! - di Fanfani, dà un intenso fastidio, come di uno scadimento nel cabaret, nel varietà, nel giornalismo di secondo piano; ma io credo che questo nasca da una certa veste accademica che il teatro ha assunto ab antiquo nella nostra civiltà, e che perlomeno nel teatro comico e satirico essa vada combattuta. Parliamo dunque di noi, senza trasposizioni storiche e senza allegorie; siamo interessanti, problematici, ironizzabili, e criticabili più di qualsiasi simbolo scelto a rappresentarci, più di qualsiasi precedente storico scelto in virtù di sottili analogie. Certamente, questo vincola di più le commedie al loro momento storico, e ne tarpa le ali che dovrebbero condurre all'immortabilità. Ma Il senatore Fox non ha tante pretese, e comunque questo è l'ultimo degli ingredienti che gli mancano per legittimarle un Posto nella Storia del Teatro. Quando si gioca al calcio e si sbuccia il pallone, la colpa non è quasi mai delle scarpe. Una curiosità è il fatto che Il senatore Fox nasce dal Volpone di Ben Jonson (si è conservato il giochetto dei nomi di animali), secondo un mio personale metodo di lavoro, che consiste nel prendere il nocciolo di una commedia classica, e di provare ad immaginario calato e trasposto nel nostro tempo. Questa operazione si compie per gradi, rende a poco a poco irriconoscibili la situazione e i personaggi originari, e mi permetterebbe addirittura di tacere quei "plagi" di cui vive peraltro la drammaturgia di tutti i tempi. Il senatore Fox è ambientato in una provincia lombarda che potrebbe essere il Varesotto nel sottobosco di un certo costume sottopolitico e sottogernativo che non sarà faticoso riconoscere; e oggetto del contendere è il "potere" che un notabile dell'attuale regime si appresta a lasciare in eredità agli avvoltoi che ne attendono la morte. Vi è intrecciata una storia d'amore che non deriva dal Volpone di Ben Jonson, bensì da gustosa canzoncina di Walter Valdi, a sua volta tratta da una vecchissima barzelletta. Storia d'amore e Ben Jonson trovano il loro principio unificatore in un'aura di cinismo che mi pare appartenere ai nostri tempi, e in una sorta di nemesi storica che associa questo disfacimento dei sentimenti e dei principi alla compagna moralizzatrice con cui il senatore Fox difende ad oltranza il perbenismo della Patria e della Famiglia. Altra curiosità è il fatto che la commedia rispetta le tre unità aristoteliche. Il che è del resto di tutte le mie commedie. Attribuisco questo fatto all'insofferenza per le novità formali cui mi tocca assistere come critico (o spettatore) teatrale; mi capita a volte di dover vedere uno spettacolo seduto in scena, appollaiato su un trespolo, arrampicato su una scala, pericolosamente in bilico su una passerella, sballottato lungo i corridoi bui di un castello sforzesco, mentre gli attori mi spuntano da dietro la scena o da sotto il sedere. Penso sempre, che bello il teatro dove io me ne sto in poltrona e gli attori se ne stanno in scena! Di qui, forse, a livello subconscio, l'adozione della più sperimentata e meno sperimentale delle strutture. E infine: manca l'eroe positivo. La commedia si svolge in un certo ambiente (l'Italia, oggi) che rende difficile l'individuazione di un personaggio tanto essenziale - se vogliamo - ai miei personali dogmatismi. Il bisogno di una positività (alias: il messaggio) dovrebbe nascere per contrasto. La spia che lo denuncia è nel "colpo di scena" finale. È un dettaglio - confesso - di cui mi sento particolarmente fiero: non per il colpo di scena, in sé, ma per quel briciolo di verità che improvvisamente rivela. Ma se a voi non piace, dite pure.
LUIGI LUNARI