Il Piccolo Teatro della Città di Milano presenta:
La lanzichenecca (1964)
Due tempi (5 quadri) di Vincenzo Di Mattia
- Interpreti principali: Arnoldo Foà, Ilaria Occhini, Sandro Merli, Umberto Ceriani, Cesare Polacco, Alfio Petrini, Armando Alzelmo
- Musiche: Raoul Ceroni
- Scene: Carlo Tommasi
- Costumi: Enrico Job
- Regia: Virginio Puecher
Programma di sala (pagine 48)
- La stagione 1964/1965
- Presentazione
- Nicolò Macchiavelli - le milizia mercenarie
- Note di Regia (Virginio Puecher)
- Disegni d'epoca
- Il Piccolo Teatro dal 1947
Nel panorama nonostante tutto assai mosso del teatro italiano, la novità di Vincenzo Di Mattia si inserisce con un suo accento particolare. Di Mattia è un giovane drammaturgo. Non so - perchè non lo voglio sapere - da dove venga, che cosa abbia fatto prima, che cosa sia la sua vita. Mi accontento di ricostruirla - questa vita, questo “fatto prima” - deducendone i dati dai suoi modi di scrivere; che sono modi abbastanza allarmanti, segni di un'epoca, diversi comunque dai nostri modi un po' paciosi di pensare, che si affidavano al razionalismo, al realismo, alle “idee ricevute” delle ideologie di moda tra gli anni '50 e '60. Di Mattia - chiunque esso sia - scrive con una penna che è contemporanea, con la mancanza di rispetto tipica di chi non ha avuto “sofferenze di guerra” al proprio attivo. E' un giovane, un uomo nuovo che espone pubblicamente il suo pensiero sulle cose di questa terra con una grinta ironica che é forse l'espressione più vera delle nuove generazioni. Come non ascoltarlo, anche se il nostro senso della grammatica teatrale potrà risultarne un po' urtato? Dico questo non perché Di Mattia sia una specie di “angry man” ma perché non è sempre facile seguirlo nelle sue svolte impreviste, nei suoi tagli secchi, nei suoi modi sempre analogici di dire le cose. Il nostro teatro in questi anni è rimasto un po' indietro rispetto alle altre discipline artistiche: si è fatto storicistico con lo storicismo, neocapitalistico con il neocapitalismo, avanguardistico con l'avanguardismo, ma sempre con un po' di ritardo, sempre o quasi sempre per ragioni di galateo culturale. Il tutto, senza molti drammi e senza grossi patemi d'animo. Di Mattia di patemi d'animo, invece, ne ha parecchi e se li espone è perchè non li ha risolti. Si trova nella condizione ideale del poeta: uno che cerca di essere chiaro per via d'oscurità, come qualche poeta deve aver detto. Il suo è un teatro di discussione, non di dimostrazione, di intuizione, non di ragionamento. Potrà sembrare a qualcuno che il suo modo di affrontare il nostro tempo ricollegandosi a dati di fatto storicamente lontani (il “XV secolo” del suo testo) sia un modo di sfuggire la realtà: in effetti è un modo di conglobarla, di porsi con occhi aperti davanti e dietro sul fronte della storia (oggi - domani - ieri; ieri -. domani - oggi; domani - oggi - ieri) per rivoltarne i significati così come il contadino fa con la terra. Senza che la sua intenzione traspaia mai in maniera didascalica, ci siamo dentro un po' tutti in questa Lanzichenecca: reazionari e rivoluzionari. Su tutti incombe il personaggio più inventato della commedia, quella tridimensionale Giuditta ragazzo-donna-dirigente che è un po' la somma degli ingrati fantasmi coi quali dividiamo il nostro tempo: la nostra paura-rispetto per le macchine, le nostre inquietudini metafisiche, la nostra quotidiana inerzia di fronte alle parole, siano esse democrazia, congiuntura, fascismo, resistenza, eccetera eccetera. Due parole per dire come io personalmente ho affrontato la commedia? Abolendo ogni barriera tra ieri e oggi. Si parla di soldati di ventura, (che è il tema della commedia) come di commesse di banane, IRI, banche. Ho pensato continuamente a un museo rileggendo le pagine della commedia, ed è giusto che lo spettacolo risulti qualcosa fra il museo e una esposizione di “idee ricevute”. Con quel tanto di grottesco e di ironico che hanno tutti i “monumenti” quando lo spirito che li amministra è in via di mummificazione.
VIRGINIO PUECHER