Teatro alla Scala di Milano presenta al Castello Sforzesco:
Orfeo (1983)
Azione scenica per voci, danzatori e suoni. Dal testo di Angelo Poliziano. Dalle scene di Leonardo Da Vinci
- Interpreti: Marylin Schmiege (Soprano) - Balletto L'Ensamble Italia
- Elaborazione del testo: Roberto Guiducci
- Elaborazione drammaturgica: Luciano Damiani
- Musiche: Giancarlo Chiaramello
- Coreografia: Micha van Hoeche
- Scene e Costumi: Luciano Damiani
- Regia: Luciano Damiani
Programma Edizioni Teatro alla Scala (pagine 50)
- Da Vinci e la messa in scena di Orfeo (Roberto Guiducci)
- Fabula di Orfeo
- Prima nota per Orfeo - seconda nota
- L'Orfeo secondo Micha van Hoeche (Paola Calvetti)
- Bozzetti delle scene e dei costumi di Luciano Damiani
- Fotografie delle prove
Da Vinci e la messa in scena di Orfeo
Non lo sapeva neppure il Carducci, che scrisse una lunga e importante introduzione critica a “Rime, Orfeo e Stanze” del Poliziano nel 1863 (I). Leonardo da Vinci mise in scena un Orfeo, con alta probabilità proprio quello del Poliziano, con una straordinaria regia. Gli appunti di Leonardo (appartenenti al codice Arundel e databili 1508, cioè al tempo della seconda “Vergine delle Rocce”) descrivono un momento dello spettacolo: “Quando si apre il Paradiso di Plutone allor sian diavoli che sonino in dodici olle (vasi di terracotta) a uso di voce infernali; quivi sia la morte, le furie, Cerbero, molti putti nudi che pianghino; quivi fochi fatti di vari colori ... movino ballando”. Il riferimento sembra specifico all'Inferno dell'Orfeo. Ma ciò che determina ancora più questa specificità è proprio il macchinismo teatrale. Infatti l'Orfeo del Poliziano si svolge in un ambiente pastorale collinoso, e questa è l'impostazione di base delle scene. Ma ad un certo punto, si hanno il viaggio di Orfeo agli Inferi, la sua permanenza nell'Ade, il suo ritorno sulla terra, di nuovo un tentativo di discesa e, infine, il suo restare desolatamente nel mondo essendosi per sempre chiuso l'aldilà che contiene Euridice. Come mutare tante volte scena? Dai disegni si può dedurre che Leonardo abbia inventato un meccanismo molto complesso per aprire e chiudere e, poi, socchiudere e richiudere definitivamente la collina centrale della scena di base, potendo così far apparire e scomparire la caverna degli Inferi. Ma Leonardo non deve essersi accontentato di questo aspetto già molto spettacolare, perché aveva progettato un saliscendi per far salire e discendere, fino al loro svanire, i personaggi. I disegni di Leonardo sono conservati nel “Codice Arundel” foll 231 v e 224 r (foglio unico). Lo specialista di Leonardo, Carlo Pedretti, Professore di Storia dell'Arte italiana all'Università della California a Lo Angeles, dopo aver confermata l'ipotesi dell'Orfeo, dà ulteriori indicazioni: (2) “Un foglio dello stesso tempo, Codice Atlantico fol. 131 v-a, contiene lo schizzo della struttura di un palcoscenico ... Appena accennato al centro della scena è il contorno nel quale si può riconoscere la sagoma di una montagna”. “Si potrebbe infine considerare il noto disegno di Windsor n. 12387, nel quale è un imponente scenario di formazioni rocciose che hanno lo stesso carattere di quelle nello schizzo della montagna ancora chiusa nella scena per l'Orfeo ... : un'esplosione, in basso, getta pietre e fumo tutt'intorno come a precedere l'effetto scenico dell'apparizione del dio degli Inferi“. Comunque questi disegni sono ciò che di più dettagliato è rimasto delle “messe in scena” di Leonardo perché di altri spettacoli e delle feste non restano che minime tracce salvo che per la “Danae” di Baldassarre Taccone (1946) (Codice Atlantico fol. 358 v-b) interpretata per la prima volta da Maria Herzfeld nel 1920. La scoperta di Leonardo scenografo e regista è, dunque, recente. (3) E nell' “Omaggio a Leonardo” come architetto teatrale, che si intende dare in occasione del cinquecentesimo del suo arrivo a Milano, si è badato assai più allo “spirito” leonardesco in questi suoi progetti scenografici che alla stretta filologia. Sarebbe stata, del resto, impossibile la “semplice riproduzione” dei meccanismi quattrocenteschi anche se le suggestioni di Leonardo per una rappresentazione degli Inferi dell'Orfeo di Poliziano sono prepotentemente attuali proprio per la dinamica usata. Ma veniamo al testo. Il Poliziano, ancora molto giovane, aveva scritta di getto, intorno al 1480, una prima stesura dell'Orfeo per il Cardinale Gonzaga. L'opera fu, poi, rielaborata ed ampliata da Poliziano stesso e da altri. E', quindi, probabile che Leonardo abbia usata una di queste edizioni per una rappresentazione forse data a Milano per Carlo D'Amboise. Il Carducci definisce l'Orfeo come un primo esperimento di dramma laico anche se lo schema resta legato alla “sacra rappresentazione”. Mercurio, all'inizio, spiega tutta la vicenda. Così la tragedia diviene un lungo feed•back. Si ricomincia con Aristeo che racconta ai suoi compagni del suo innamoramento per Euridice. Si ha un intermezzo con una stupenda canzone pastorale: “Udite, selve, mie dolce parole, / poi che la ninfa mia udir non vole”. Quindi Aristeo fa la sua dichiarazione d'amore ad Euridice che non risponde e fugge. Intanto Orfeo canta in latino un elogio sui Gonzaga. Alla fine del canto, un pastore rivela ad Orfeo la dura realtà della morte di Euridice. Orfeo si dispera: “Euridice mia bella, o vita mia, / senza te non convien che in vita stia” e “Pietà, pietà del misero amatore, / pietà vi prenda, o spiriti infernali!”. Plutone si stupisce che il canto di Orfeo possa arrestare le pene di Sisifo e di Tantalo e far ammutolire Cerbero e le Furie. Minosse consiglia Plutone di diffidare. Ma Orfeo insiste: o ritornerà sulla terra con Euridice o resterà negli Inferi e, quindi, morirà. Intercede Proserpina per lui presso Plutone: anche la Morte sta piangendo mentre ascolta Orfeo, dunque gli Dei devono fare una eccezione. Plutone, allora, propone il patto: Orfeo potrà riportare sulla terra Euridice se non si volterà a guardarla fino all’uscita dagli Inferi.. L'Orfeo polizianesco non fa in tempo a recitare alcuni versi di gioia, ripresi da Ovidio, che si volta. Ed Euridice è perduta. Ma il Poliziano non sembra entrare nel profondo del mito greco. Il suo Orfeo rinascimentale si volta per la sua vanagloria di aver vinto la sfida. Per la cultura ellenica l'offerta di Plutone doveva, invece, apparire falsa e tragicamente inattuabile perché un amante greco non avrebbe mai potuto parlare senza guardare ed anche abbracciare l'amante tanto le varie manifestazioni dell'Eros, spirituali e fisiche, erano indissolubilmente intrecciate in quella civiltà. A questo punto l'Orfeo di Poliziano cerca di tornare agli Inferi e, poiché una Furia glielo impedisce, canta la sua fedeltà ad Euridice, nega di poter avere un altro amore per una donna ed elogia l'omosessualità. Allora le Baccanti lo fanno a pezzi. Anche qui sfugge al Poliziano il grande significato dato da Euripide alle Baccanti riprendendo le origini antichissime del mito: l'orgia bacchica rappresentava un momento in cui veniva ripristinata l'eguaglianza e dove le donne avevano uguale libertà ed uguale potere degli uomini. Ma questa condizione non era ormai più riproducibile in società divenute maschiliste. L'orgia doveva essere calunniata come fautrice di un disordine insopportabile e la rivendicazione egualìtaria doveva finire in tragedia. Le Baccanti non potevano, allora, che ritornare all'ordine costituito. Le Baccanti del Rinascimento, invece, bevono in cori allegrissimi e scomposti concludendo l'opera e consentendo alla Corte, che aveva assistito allo spettacolo, di cominciare la sua festa. Leonardo effettua la regia proprio nel contesto di questi festeggiamenti, come ne aveva realizzati tanti. E si hanno luci e apparizioni e fuochi e musiche. E successivi “colpi di scena” nel significato etimologico del termine. L'intensità del mito si scioglie nella sonorità della festa. Ma anche nel Quattrocento l'angoscia della morte era incombente e se ne tentava l'esorcismo proprio con l'invito all'immediatezza del piacere. Cantava, infatti, il Poliziano: “Ascolta, donna, un po' le mia parole, / chè d'ogni cosa el savio pensa al fine / .... Ove le son testé rose e viole, / saranno sterpi e secche poi le spine. / Usa, madonna, tua bella età verde: / chi ha tempo e tempo aspetta, tempo perde.” Il Poliziano stesso morì a soli quarant'anni. Carducci insiste molto sulla popolarità e sulla fortuna che ebbe l'Orfeo quando fu rappresentato ad un pubblico più vasto di quello di corte: “quella discesa all'inferno dové toccare la fantasia”. Infatti Leonardo, con un curioso lapsus freudiano, l'Inferno lo chiama “Paradiso di Plutone”.
(1) Ora ripubblicati, con l'introduzione stessa, a cura di Sergio Marconi presso Feltrinelli, 1981. Un'altra edizione è: Angelo Poliziano, “Poesie italiane”, introduzione di Mario Luzi, Testo e note a cura di Saverio Orlando, Rizzoli, BUR, 1976. (2) Carlo Pedretti. “Leonardo Architetto”, (Electa, 1978), pagg. 294•295. (3) Si veda in proposito il volume “Teatro del Quattrocento”, Le Corti Padane, a cura di Antonia Tissoni Benvenuti e Maria Pia Mussini Sacchi, UTET, 1983 con molte notazioni interpretative e una ricca bibliografia a cui ci rifacciamo completamente. Si veda anche Vittore Branca, “Poliziano e l'umanesimo della parola”, (Einaudi, 1983).
ROBERTO GUIDUCCI