Nostra Signora s.r.l. presenta:
Otello (1985)
Di William Shakespeare secondo Carmelo Bene
- Interpreti: Carmelo Bene, Cristina Borgogni, Isaac George, Filippo Mascherra, Anna Perino, Valerio De Margheriti, Benedetta Fazzini, Marina Polla De Luca
- Musiche: Luigi Zito
- Scene, Costumi e Regia: Carmelo Bene
Programma di sala (pagine 36)
- Otello e le perle dell'infelicità (Giancarlo Dotto)
- Il canto finale (Goffredo Fofi)
- La tragedia impossibile (Agostino Lombardo)
- Cosa mi suggerisce il gioco di Carmelo Bene (Klossowsky)
- Tecnologie della discrittura (Maurizio Grande)
Otello e le perle dell'infelicità
“L’amore consiste nell’essere cretini insieme” (Valery “Mr. Teste”)
Non succede più nulla. Non si recita più. Vallo a dire a Desdemona. Ci vuole del fegato. Meglio ucciderla. Prima che sia troppo tardi. Prima che il sipario si levi, una volta che è stato chiuso per sempre. Pallida in volto e tanto scema, Desdemona funesta la scena. Con il suo riso. Nello sfondo che veglia l’interminabile notte di Otello. Il tragico è tutto qui. Un miracolo d’incomprensione. Che brilla nella futilità di essere lei di Otello la donna che tanto gli manca. Cancellata Desdemona dall’indecenza che la volle nel ruolo di moglie, cancellato l’intrigo (“Basta che qualcosa mi significhi, che qualcuno essere là”- Lacan), eccola tramata, tutta fatta di niente, alle pendici di Otello, della smisurata sua idea di farsi “becco”, di tradirsi. Lei che paziente lo ascolta. E più l’ascolta meno lo capisce, me¬no lo capisce più lo ammira. Così Otello celebra, in perfetta solitudine, le sue nozze con l'infelicità. Il riso di lei nello sfondo pianta i chiodi nella sua bara. Non restava che tingersi di nero. Da Otello a Jago il passo è greve. L'infelicità si fa bestiale. Jago,un duplicato non troppo superfluo. Quando l'attore è fuori di sé. Otello sputa ogni sera in scena il rospo. E ogni sera ne va a cerca tra le bianche coltri del suo letto. Che si macchiano di nero. Questa è la trama. Il bianco si tinge di nero. Giù nei bassifondi del suo umore. Nel rospo che rutta e nero si tinge di bianco. Nel vizio che torna, Otello è lì ogni sera che sputa e ingoia il rospo che lo infelicita. Jago è ogni volta ogni sera che sputa e ingoia il rospo che lo infelicita. Jago è ogni volta la bestia ammansita dal canto. Jago, non altro da Otello. Lo stesso, che Shakespeare divise in due ruoli. Uccisa lei, subito, uccisa in quanto moglie, uccisa in quanto inganno. Otello formica tra sé e sé, nello sterminato letto del suo dispiacere. Talvolta gli capita di peggio. E s'incarna in Jago. Ma poi ritorna. Quella parola che basta. “Il mio cuore è diventato pietra”. Sia l'infelicità benedetta! Se ben cantata. Ma sì, l'infelicità ha il suo prezzo! Otello scrittura gli attori del suo teatrino privato. Li convoca in scena perché giochino attorno, l'evanescente trama di che consistono (“Mi piace avere amici rispettabili. Mi piace essere il peggiore della compagnia” - Swift). Otello s'ingegna nella parodia del suo mortificato amore di sé. Da Macbeth a Otello. La stessa mania che schioda l’attore da sé e lo incatena al piano d'ascolto. Di là echi di spavento, di qua echi d'infelicità. È l'eco che scrive la scena. Il dire è l'avventura. L'avventura è che non c'è più nulla da dire. Non resta che il bravo attore nei panni di Jago. Lui almeno reclama, s'ingrugna, avvampa la cresta del suo io mortificato. Oh, se non ci fosse lui, attore nei panni di Jago, di che disumana scena staremmo qui a parlare... Tradurre tutto Shakespeare in un sospiro. Sdraiare l'azione nella veglia. Se si toglie a Shakespeare l'infelicità così frequentata, di Shakespeare non resta che l'odiosa commedia. . Questa è la disfatta di Otello. Che in fine si affloscia nel riso di lei. In fin di voce.
GIANCARLO DOTTO