Teatro Quirino di Roma presenta Ente Teatrale Italiano:
Otello (1956)
Di William Shakespeare. Traduzione di Salvatore Quasimodo.
- Interpreti principali: Vittorio Gassman, Salvo Randone, Anna Maria Ferrero, Osvaldo Ruggieri, Andrea Bosic, Edmonda Aldini
- Musiche: Fiorenzo Carpi
- Scene e costumi: Giulio Coltellacci
- Danze ideate da: Gilberto Tofano
- Direzione artistica: Gassman - Randone
- 1. Gassman 2. Randone 3. Ferrero 4. Compagnia
Programma di sala (pagine (28)
- Chi debutterà come Jago o Otello (Gassman - Randone)
- Shakespeare (S. Quasimodo)
- Il malinteso del fazzoletto (R. Radice)
- Bozzetti scene e costumi
- Ente Teatrale Italiano
- Il cast - Fotografie
"Chi debutterà come Jago e chi come Otello?" "Come potranno differenziarsi le interpretazioni?" "Userete lo stesso trucco? Scene e costumi varieranno nei due spettacoli?" Queste o simili le domande che con più frequenza ci sono state rivolte prima e durante il periodo di preparazione. Ora, pur convinti che nessuna evidenza basterà a sgombrare, in certuni, un preventivo sospetto, vorremmo dire al nostro pubblico quanto l'idea dell'esibizione virtuosistica della scommessa, della gara della "trovata", sia estranea all'impresa a cui ci accingiamo. Perché è vero, si, che l'alternanza nei ruoli raddoppierà i rischi e le fatiche; ma è anche pensabile - noi questo ci auguriamo - che quattro occhi meglio di due possono scrutare i valori della tragedia, la complessa profondità dei suoi protagonisti. L'esperimento d'altronde non è nuovo, né in assoluto né nelle tradizioni del teatro italiano: proprio perché qualunque attore appena sensibile deve esitare di fronte ad una scelta fra Otello e Jago, termini equidistanti di un conflitto che è insieme equilibrio, e colloquio, e armonia. Non due «rounds" di teatro, dunque, ci proponiamo di offrire; ma semplicemente il frutto di uno studio concorde, maturato nel clima della più aperto collaborazione. Questo non toglie che motivi anche strettamente individualistici siano alla base della nostra avventura: il piacere di misurarsi con un personaggio avvincente - in questo caso anzi con due - resta sempre la più segreta e diretta molla di persuasione per un attore. E forse, proprio di fronte ai testi più venerabili, la timidezza eccessiva, il generico sfoggio di riverenza, sono gli atteggiamenti più disonesti e pretenziosi. Noi non pensiamo di ribaltare teorie e di operare scoperte sensazionali; ma di offrire uno spettacolo, il più possibile fedele e professionistico, al giudizio del pubblico e della critica: un giudizio che attendiamo non tanto come un verdetto ma come il seguito naturale della nostra stessa ricerca. Una considerazione ci dà fiducia: ed è il favore di cui hanno goduto, specie in questi ultimi anni, le grandi opere del repertorio classico, ogni qualvolta sono state proposte non per lo sterile gusto della viva e vitale confronto con lo sensibilità contemporanea.
VITTORIO GASSMAN - SALVO RANDONE
John Middleton Murry, in un capitolo del suo “Shakespeare” intitolato al “fazzoletto di Desdemona”, dando al fazzoletto un valore di amuleto incantato che fa scoprire a Desdemona la gelosia del Moro, definisce “Otello” la tragedia dell'amore umano, e considera Jago come “una fonte di potenza motrice, il cui compito consiste nel portare maturazione quel germe di morte che vi è nell'amore di Otello e di Desdemona”. Jago non uomo, dunque, della realtà, ma un'intelligenza disincarnata. – Siamo già fuori della problematica della gelosia, ed è posizione esatta; però quella del Murry è una verità inventata, una verità intelligente ma astratta. Che “Otello,” non sia, poi, la tragedia della gelosia (la manifestazione più evidente di questa sofferenza è qui un "risultato" privo di svolgimento psicologico), tenteremo di stabilire, proprio esaminando la presunta incongruenza di almeno un personaggio, di Jago, su cui la critica shakespeariana ha sempre insistito. Otelio è la più cospicua vittima della psicosi inconscia di Jago. Prima di uccidersi egli chiarisce la sua natura: “Direte di un uomo che amò da forsennato, non geloso per sua natura, che, istigato continuamente da un malvagio, arrivò alla estrema follia”. La gelosia di Otello, infatti, si esprimerà - ma è sentimento comune degli uomini traditi nell'affetto più profondo - quando Jago prepara la sua macchina diabolica col fazzoletto. Prima, Otello, e lo dice Jago, “è lea1e e franco e giudica onesti tutti, anche quelli che solo all'apparenza sembrano tali”. Il Moro non ha confessioni da fare a se stesso, né ha mai tormentato Desdemona con ombre gelose nate dalla sua mente per naturale diffidenza e cautela. Cassio è stato il suo confidente amoroso, anzi qualcosa di più, e frequenta Desdemona senza allarmi otelliani. Il Moro, mentre riceve l'ordine di partire per la guerra, affida a Jago la moglie perché l'accompagni a Cipro: Desdemona non vuole restare a Venezia lontana da Otello come “moth of the peace”, una larva allo stato di quiete, quando cioè mangia e dorme soltanto. La "gelosia" (non amorosa) cova invece nella tana più buia dell'anima di Jago. Jago, appunto, non è “quello che sembra”, è un essere martirizzato dall’invidia sappiamo, non può essere confessata dall’uomo né ammessa: la coscienza la maschera con altri impulsi giustificativi. L'alibi oscuro di Jago, che estranea il suo complesso d'inferiorità, è l'odio; odio che suscita il desiderio di vendetta. Jago afferma continuamente, a Roderigo e a se stesso, che odia il Moro, perché ha affidato a Cassio una carica militare che spettava a lui, e, ancora, perché è convinto che Otello sia stato l'amante di Emilia. Dice che odia Cassio perché gli ha rubato il posto e perché è bello e amato dalle donne, e potrebbe, anche lui, infilarsi fra le sue lenzuola. Per “vendicarsi”, prepara nella mente “un parto mostruoso” “che l’inferno e la notte metteranno alla luce”. Prepara, in un certo senso, dentro di sé, incatenato dall’invidia, la “sua” fine del mondo. Non è solo l'ansia di diventare luogotenente al posto di Cassio che fa costruire a Jago trame che possono apparire ingenue, ma che partono sempre dal dominio della volontà, che, per Jago, è la forza che ci può fare diventare in un modo piuttosto che in un altro. Ma c'è qualcosa in più, di segreto, che lo spinge ad agire fino alla confusione tra vita e morte. Jago sa “quanto vale”, sa, cioè, di sé, che ha un valore minimo, e invidia Cassio e Otello, gli specchi più luminosi dove vede la sua inferiorità. Jago “crede” di agire per vendetta: è la sua giustificazione morale. Alla fine del dramma non può ripetere che parole della memoria, quasi identiche a quelle di Pilato; le dirà a Otello che chiede perché gli abbia “preso al laccio anima e corpo”.
E' appena l'inizio d'un'indagine, questa, e vuole essere un'indicazione critica. Ecco l’ultima voce di Jago, un mostro inconscio dell'invidia, nel senso suo assoluto: “Quello che sapete, sapete”.
SALVATORE QUASIMODO