IL RITORNO DI EVELINA PAOLI ALLE SCENE
In un ora non lieta per la nostra scena di prosa, quando più vanno assottigliandosi le fila degli attori e parecchi di essi, anche dei migliori, s'allontanano dal teatro, o delusi, scoraggiati o distratti da altri miraggi (a quanto s'assicura, nel prossimo anno abbandoneranno il palcoscenico Tatiana Pavlova, Maria Melato, Vera Vergani e forse Elsa Merlini: qualcuna per l'anno comico, qualche altra per sempre, si dice, come la Vergani) il migliore attore del nostro tempo, il più moderno e il più originale indubbiamente, Ruggero Ruggeri, dopo un volontario esilio fin troppo lungo, è tornato invece a recitare, e noi abbiamo avuto la sensazione che egli ubbidisse finalmente a un dovere altissimo. E allo stesso sentimento del dovere ci pare che ubbidisca oggi un’altra valorosa italianissima attrice. Evelina Paoli, apprestandosi a tornare a quelle scene da cui volle quattordici anni or sono, troppo presto appartarsi.
Il nome di questa attrice è indissolubilmente legato nei nostri ricordi, ad uno dei maggiori avvenimenti della vita teatrale italiana di questi ultimi cinquant’anni, la rappresentazione nel 1907 della “Nave” di Gabriele d'Annunzio, allo Stabile del Teatro Argentina di Roma, e alla più perversa creatura del teatro dannunziano, Basiliola.
Chi non ricorda Evelina Paoli con la bella esile persona avvolta nel fastoso mantello della Faledra lussuriosa, spietata, ambiziosa, invasata da un demoniaco spirito di distruzione! La sua figura di despota cappeggiava in tutta la tragedia, più che protagonista quasi unica e centro di un'immensa tela di ragno a cui nessuno sfuggiva. Gli occhi cupi sotto i neri capelli alti e ondulati quasi alla greca, gli zigomi salienti, le labbra sottili e perverse, i denti stretti, dritta, ferma con la corta sciabola di arrembaggio nel pugno, in quei momenti veramente statuaria, raggiava da tutto il corpo un fremito di concupiscenza. La crudeltà pareva scolpita nel suo corpo, che a momenti s'inarcava in felini atteggiamenti di pantera. Alla prima rappresentazione della “Nave”, il pubblico, come travolto anch’esso nella finzione della tragedia, alla fine del quarto atto cominciò a gridare come forsennati “Vogliamo Basiliola!” “Viva Basiliola!”. Lo spirito dionisiaco era passato dalla scena alla sala. Fu per Evelina Paoli un trionfo, che si ripeté in ogni città d'Italia; e in lei pubblico e critica salutarono una delle migliori forze della nostra scena drammatica. Ma se quella fu per la Paoli la grande clamorosa affermazione, già da qualche anno la giovane attrice aveva dato la misura del suo eccezionale temperamento. Non figlia d'arte, fiorentina di nascita e di spirto, d'una buona famiglia borghese rivolta più alle pratiche religiose che alla fragile gloria del palcoscenico, Evelina Paoli era entrata giovanissima in una Compagnia primaria, quella di Cesare Rossi e di Andrea Maggi, di cui erano prime attrici Giannina Udina ed Elisa Severi, anch'esse da parecchi anni esuli dalla scena, e seconda donna Alda Borelli e Ferruccio Garavaglia, attor giovane. Cesare Rossi era un ottimo maestro, e sotto la sua guida la Paoli era rimasta due anni, imparando a recitare e a perdere il suo schietto accento fiorentino. Poi l'aveva scritturata Eleonora Duse, come attrice giovane; e finalmente era passata nella Compagnia di Teresina Mariani. Nel suo volume di profili di attrici e di attori Alessandro Varaldo assicura che la prima rivelazione al pubblico di Evelina Paoli avvenne nel 1904, al Politeama Regina Margherita di Genova, in una novità di Bernestein, Joujou, una lunga commedia d'analisi nella quale la Paoli riportò tale successo da essere spinta innanzi alla ribalta dalla stessa Teresina Mariani. Ed accoglienze non meno entusiastiche ebbe poche sere dopo la giovane attrice nell'Altro pericolo di Donnay. L'eco ne giunse sino ad Ermete Zacconi, che l'anno successivo la volle al suo fianco nella trionfale tournée nel Sud America. Poi, il povero Edoardo Boutet - un grande conoscitore di cose di teatro e un acuto discopritore di attori - nel dar vita alla famosa Stabile del Teatro Argentina di Roma (il più felice e luminoso esperimento d'arte scenica che si sia avuto in Italia) non aveva esitato a mettere accanto a Ferruccio Garavaglia questa attrice non ancora molto nota al gran pubblico; e non s'era ingannato. Nella Crisi di Marco Praga prima, poi nel ruolo di Cassandra nell'Orestiade, e successivamente nelle Donna onesta di Giannino Antona Traversi, e finalmente nella dannunziana Nave, la personalità drammatica di Evelina Paoli era balzata in primo piano e s'era solidamente affermata. La voce, nitida, sonora, tagliente, e la movibilità del volto erano le principali caratteristiche di questa attrice. La sua maschera tragica era così facilmente mutabile che di rado si ripeteva, sì che si sarebbe potuto dire fosse il suo viso quasi uno specchio sul quale si affacciassero innumerevoli successive visioni senza che alcuna vi si fermasse.
Tre anni Evelina Paoli rimase alla Stabile romana; poi fu prima attrice con Flavio Andò e Antonio Gandusio e per un altro anno con Ruggero Ruggeri. Nei giorni che precedettero l'entrata in guerra dell'Italia recitò ancora nella Nave; quindi, improvvisamente, abbandonò la scena, ed una malattia la tenne lontana per alcuni anni. Pareva decisa a non ritentare la prova. Ma in lei, sotto la cenere, continuava ad ardere il fuoco sacro dell'arte; e finalmente oggi, nel pieno vigore della sua maturità, snella come al tempo della Nave, con la bella voce immutata, s'è decisa, come Ruggero Ruggeri, a rientrare con animo agguerrito nel teatro. Il volontario esilio di Evelina Paoli durava già da troppo, e noi non possiamo che rallegrarci nell'apprendere il ritorno alle scene di questa nostra attrice che sente di avere intatte le sue migliori energie e moltiplicato il suo ardore, e molto spera nel pubblico che le fu per parecchi anni fedelissimo. Con chi potrà fare Compagnia, ancora non sa. Per ora molto essa si preoccupa del problema del repertorio, poiché non vuole ripercorrere la strada del passato. Ambisce trovarsi in nuove belle battaglie, cimentarsi in forme teatrali più rispondenti allo spirito e ai gusti del nostro tempo, ed ha in animo perciò di rivolgersi ai migliori autori italiani d'oggi perché con opere nuove la accompagnino nello svolgimento e nell'affermazione della sua iniziativa. Spera la Paoli che Luigi Pirandello le affidi l'interpretazione di una delle nuovissime cinque opere drammatiche che ha scritto in questi ultimi mesi: il Lazzaro, per esempio, dove è una magnifica poderosa parte di madre, il fervore non le fa difetto, e la sua volontà è tenace. La fortuna certo le arride nuovamente.
MARIO CORSI