Da COMOEDIA - N. 7 - 15 Luglio 1929:
- Festeggiati i 78 anni del grande attore Emilio Zago
Autore: Renato Simoni
ZAGO E IL SETTECENTO
I SETTANTOTTO FRESCHI E VISPI ANNI DI EMILIO ZAGO SONO STATI FESTEGGIATI A VENEZIA: LA CITTA’ HA VOLUTO ONORARE IL SUO GRANDE ATTORE CON UN BUSTO NEL TEATRO GOLDONI E CON UN CALDO, COMMOSSO ELOGIO FATTO DA RENATO SIMONI.
Che bella faccia ben nutrita e sincera, Dio la benedica! Quest’uomo faceva certo i suoi desinaretti alla locanda del Selvadego: cento risi con la quaglietta o con la midolla di manzo e la sua luganiga; un paio di folaghe da spendere bene un pittone, un cappone impastato col balsamo del Perù, la tartufola maligna, una lira di pomi dalla rosa; quattro finocchi e due o tre oncette di formaggio piacentino. Bastava che si lisciasse le guance con la polvere di Cipro, o le toccasse col rossetto, perché – saldi, le se ferma! – venisse avanti, dondolandosi sulle gambotte grosse e sui fianchi larghi. Momolo manganer putto dabbene, putto civile, e con tanto di cuore senza, mai un ducato in scarsella; tutto il giorno a stirar seta e lana e tela alla calandra, ma alla sera, capace di girare per sette od otto conversazioni, nitido, vivo, fresco come un boccolo, col muso lustro e gli occhi curiosi, sempre pronto a schivare le bottonate dell'amata perfida e ad affrontare con letizia un buon bicchiere di vino o una padellata di maroni. Bastava che stringesse le nari, acre e permaloso, fiutando aria cattiva o strizzasse gli occhi diffidenti, o storcesse la bocca smorzata con la pasta terrosa, biascicando prepotenza e malcontento, perché tutti i mariti e i padri parrucconi balzassero vivi davanti a noi, bofonchiando, taroccando o – vegnino a dir el merito - lodando sterminatamente i costumi di una volta, quando i ragazzi non erano così dissipati da andare a vedere i burattini e le scimmie ammaestrate sulla riva degli Schiavoni. Bastava che calzasse una parrucca, che togliesse dall'attaccapanni un tricorno, che impugnasse una canna col pomo d’avorio, che si pavoneggiasse con la pancetta di raso fiorito, ostentando i suoi ciondoli, o porgesse la mano importante al bacio della minore umanità allampanata e atterrita, o disegnasse col piede lucido un dignitoso inchino, o, a colpetti autorevoli, spolverasse via il tabacco dai pizzi della cravatta, perché egli fosse il “cotesan” che sa godere e “sticarla” spendendo opportuno e sagace, il nobiluomo asciutto che regala il vento magnifico della sua protezione, il pampalugo dal codino dimesso che risponde solamente “sior sì”, il borghese assennato, l'anzianotto che fa ancora l’occhio di pesce alle bellezze un po' spampanate, il cavaliere malizioso che sta ad osservare le case delle pelarine, spiando il flusso e il riflusso dalla porta di dietro; il Settecento giovine, il Settecento maturo, il Settecento vecchiardo, il Settecento di garbo, il Settecento avventuriero, il Settecento tanghero e caparbio, il Settecento opaco e rabbuffato, con una umanità e uno stile, dei quali, Emilio, ti ringraziamo riconoscenti e stupiti. E quale è il segreto di questo stile goldoniano del nostro Zago? A me pare un segreto d'amore. Una specie di cura e tenerezza filiale per i personaggi rappresentati, un compiacersi, non di sé, ma di essi, un guardarseli dall'intimo e goderseli quasi; un circondare anche i loro vizietti e gli umori bizzarri di una simpatia sorridente, una comprensione per così dire fisica, pittorica e plastica, delle psicologie e dei caratteri; e un presentare le parole come cose solide e tesoreggiare pulendole e come patinandole con le mani padronali e canonicali, mani da “voglio così”, e da “pax tecun”, corte, larghe, con le dita nane ed aperte, buone a spianar dissensi, a enumerar zecchini, ad agitare le chiavi del forziere e della dispensa, a far ganascini burbanzosi e maliziosi, a soppesare dilemmi positivi o negozietti proficui; mani fattive e pacifiche, anzi pacioccone, modellatrici e conclusive, impataccate di anelloni venerandi; mani costruite e imbottite apposta per correre lungo le sagome e gli spigoli della realtà casalinga, e accarezzarla con piacere goloso, e lisciarla e definirla e precisarla con una confidenza tra brusca e rispettosa, Quanta storia, quanto onore! Ora, sulla pagina aperta della vita di Emilio, sta scritto: “Pax tibi, buona coscienza di veneziano e di artista!”. Pace, si; e la famiglia, e l'ordine comodo delle abitudini, e il dolce scorrere delle ore uguali... Ma la scena, ma quella riga di lumi, e le sere fantastiche per coronare i giorni borghesi, e quello sdoppiarsi e intensificarsi e ardere e splendere e donarsi e conquistare, e far nascere il fremito del pubblico e raccogliere lo strepito dello applauso, ah, il vecchio cuore li chiede ancora e li chiederà sempre!
Renato Simoni