Dal Programma di sala MAME - Il crepuscolo delle madri 1998:
- Lo spettacolo, la scena e la musica.
Autore: Moni Ovadia
Lo spettacolo, la scena, la musica
Lo spettacolo - Sulla soglia del terzo millennio, le impetuose trasformazioni tecnologiche e scientifiche annunciano un'era nuova che sembra preannunciare trasformazioni antropologiche sino a pochi anni fa del tutto inimmaginabili. L'ingegneria genetica ha aperto le porte a una forma di creazione che sembra, nel futuro, poter fare a meno delle leggi generative naturali. Questo nuovo processo generativo ha valenze simboliche e fantasmatiche vertiginose. La "logica maschile" dell'agire "scientifico" sembra aver varcato l'ultima frontiera, per conquistare un territorio che era prerogativa femminile: la pietas generativa della donna, sintesi misteriosa di umano e divino. Per noi, nati e cresciuti ed educati - ultima di migliaia di generazioni - nella realtà e nel mito della madre come unicum generativo, questo evento epocale può suonare come campana a morto di un tipo di essere umano che ha abitato questo pianeta con le conseguenze che conosciamo e che non lo abiterà più. Orfani dunque non solo di nostra madre ma della madre tout court, ci volgiamo con un impulso e una necessità irrefrenabili a contemplare il crepuscolo di questa divinità umana nella sua realtà proteiforme per cantare, nel bene e nel male, le sue glorie.
La scena - Lo spazio in cui si dipana lo spettacolo è un luogo in cui si svolgono delle prove. Ci sono alcune sedie, un pianoforte, dei leggii e un bric à brac di oggetti e cianfrusaglie, rimasugli di prove precedenti e forse di altre epoche. Ci sono anche un'orchestrina di automi e due macchine gobbi, composte di strani ingranaggi che trasportano delle strisce di stoffa su cui si leggono le didascalie esplicative degli accadimenti scenici. Prima dell'inizio di una prova d'orchestra una voce annuncia che la madre è morta. Non si sa di chi sia la madre morta, ma è morta la madre! Si scatenano liturgie, litanie, filastrocche, danze, canti, memorie letterarie, storie e storielle per ritrovare attraverso vari frammenti di madre la madre che ciascuno cerca, vuole o respinge nel suo intimo. Un elenco apocalittico annuncerà il delirio delle mutazioni di un essere materno sempre più separato da sé. Tutti cantano, suonano, parlano, alla disperata ricerca di ricostruire un 'immagine materna che si è infranta definitivamente. La lingua ufficiale di appartenenza, la lingua madre, si mescola con le mamme/lingue straniere improprie, reali o immaginarie. Il tutto diventa una specie di burlesque tragicomico che cerca di portarci in una camera di specchi, di riconoscimenti e disconoscimenti che si riflettono l'uno sull'altro. Uno spettacolo per madri e figli ma non proibito al resto della famiglia.
La musica - La TheaterOrchestra è il segno più pregnante della mia "voglia" teatrale. Dare consistenza scenica alla musica, che pure basta a se stessa, è stato per me l'assillo di diversi lustri, di molti ingenui tentativi messi in atto ancora prima di pensare al teatro vero e proprio. Il suono, il canto, la musica, nei miei lavori, precedono e seguono il farsi dell'evento scenico. Lo sollecitano, lo indirizzano e alla fine lo commentano e ne costituiscono il prolungamento extra moenia. La scena ciò nondimeno rimane il luogo privilegiato, senso ultimo del progetto. Il musicista che, salvo poche eccezioni, è nella consuetudine teatrale "drammaturgicamente" irrilevante, servo di scena virtuale, portatore del suono, tutt'al più forzoso décor, nella TheaterOrchestra si fa elemento costitutivo e fondante dell'opera: corpo sonoro, corpo drammatico. Attore che non interpreta un ruolo ma che accetta di giocar ci, suonatore teatralmente responsabile, coreuta e orchestrale, questo musicista è ineluttabilmente lacerato fra divertimento e sofferenza ciò che gli provoca una prestazione contro natura. Faccia in negativo del saltimbanco, il quale assomma in sé canto e musica come armamentario della sua arte, il musicista teatrante è uomo ad una dimensione convertito coattivamente. Complice “controvoglia" che offre il divertito disagio di un io diviso al palcoscenico e al pubblico del teatro. Quando una dozzina di anni fa detti l'avvio alla fase matura dell'idea TheaterOrchestra, i musicisti che avevo raccolto intorno a me mi guardavano come si guarda a un collega fallito un po' demente che farnetica. In un certo senso questo ero e ancora sono, eppure oggi. Queste mie farneticazioni, nel bene e nel male, vanno in scena. Questo è il mio più grande orgoglio.
MONI OVADIA