Bellini Teatro Stabile di Napoli presenta:
Cient'e una notte dint'a una notte (1992)
Concerto per voce e città di Tato Russo
- Interpreti principali: Tato Russo, Nash Jazz Group, Gianna Beduschi
- Musiche: Antonio Sinagra
- Scene: Walter De Melito
- Costumi: Dominorosa
- Regia: Tato Russo
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Tato Russo - Gianna Beduschi - Nash Jazz Group
Programma di sala (pagine 54)
- Vi narro le cento e una notte (Santa Di Salvo)
- Poesie? No, invettive (M. D'Amico)
- Quel grido di amore e odio (F. De Ciuceis)
- Le notti poetiche di Tato Russo (C. Morrone)
Quel grido di amore e odio.
Franco de Ciuceis "IL MATTINO" 2 settembre 1992
Concerto per voce e città: così Tato Russo ha voluto definire, nel sottotitolo, lo spettacolo che ha presentato, in unica serata, sulla piazza del Duomo di Casertavecchia, nell'ambito della rassegna "Settembre al Borgo". Concerto anche nel senso etimologico del termine, dove si fondono la voce dell'attore e dei suoi compagni di scena, i versi di cui Tato Russo è autore ed interprete, la voce della città che in essi si specchia e il suono degli strumenti del gruppo jazz che ne asseconda il ritmo. Lo spettacolo nasce appunto da un libro di versi, in cui Tato Russo ha raccolto le sue emozioni, il suo grido di amore-odio per la città mondo che è Napoli, dove il tragico quotidiano si fa vicenda esistenziale, dove le voci e le figure sono tanti frammenti di una storia infinita, sempre nuova e sempre antica. "Cient'e una notte dint'a una notte": così il titolo del libro e dello spettacolo. Come nei racconti favolosi del tempo antico. Ma l'affabulazione lascia presto il posto al disincanto, come annota Carmine de Biase, nel contatto con la realtà cruda, alla rabbia per come la città è sgovernata, alla sofferenza per una camorra che è soprattutto «camorrìa», e cioè atteggiamento mentale che si insinua come tossico nelle vene e nell'azione di tanti, potenti di legge o di malavita e «guagliuni» e povericristi. Che è perdita di civiltà, di amore, di solidarietà. Lo spettacolo si fa spesso invettiva, aspra e dolente nella voce di Tato Russo che si leva a tratti roca e rabbiosa, gridata e disperata, nella concitazione di una lingua napoletana, che è insieme verace e letteraria, ruvida e umorosa. Sul palcoscenico pressocchè nudo, l'attore-poeta-personaggio si sposta da un leggìo all'altro a tenere il suo racconto che talvolta si fa anche canto e che è insieme denunzia e confessione, protesta e pena. Intorno gli fanno da coro con bravura i giovani attori della compagnia, la danzatrice Gianna Beduschi disegna una pantomima, il Nash Jazz Group interviene con il sax di Antonio Balsamo e con Antonio Golino batteria, Sergio Esposito piano, Pietro Condorelli chitarra, Angelo Farias basso. Il risultato scenico è coinvolgente. Non c'è folkore in questa Napoli sanguigna di Tato Russo, anche quando il racconto indulge al bozzetto. E' una Napoli d'ira e di dolore, in cui tuttavia non manca, ancora una volta, desiderio di verità, di rivolta, di speranza.